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Era impossibile resistere alla tentazione di non rilanciare anche qui il pezzo di Travaglio, postato nel blog www.vivamarcotravaglio.splinder.com Lo imponevano la strettissima attualità e la necessità di diffondere sempre più, sempre meglio, informazioni che in tv non passeranno mai. Per esempio a "Ballarò", terminato un'ora fa, sarebbe stata opportuna (ed esplosiva) la presenza di Marco Travaglio il quale, già solo leggendo la sua "bananas" odierna, avrebbe realizzato una sana informazione. Ma questo appartiene a "Telesogni".
Ego me absolvo
di Marco Travaglio
da “l’Unità” del 27 settembre 2005
Giustizia è fatta anche stavolta. E non sappiamo se siano più spiritosi i giudici quando scrivono che “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, o l’avv. on. prof pres. Gaetano Pecorella che esulta per la “sentenza giusta e attesa”. E’ una bella lotta. I codici prevedono la formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato”:il “più” è una chicca, uno strepitoso svolazzo che condensa in tre lettere cinque anni di porcherie legislative mai viste prima nel mondo, e nemmeno in Italia. Il fatto era reato quando Berlusconi l’ha commesso, ma non lo è più da quando Berlusconi l’ha abolito. Il tutto con l’aiuto dell’amabile presidente della Commissione Giustizia, che è anche il suo avvocato: un avvocato talmente bravo che difende il cliente non solo nelle aule di giustizia, ma anche in quelle parlamentari. Ora questo mattatore della satira giudiziaria spiega che “non esistono leggi ad personam, ma soltanto leggi giuste: se il falso in bilancio non crea effetti nocivi di rilievo non merita di essere punito”. Pare quasi che il fatto fosse un capannone abusivo, eccesso di velocità, un divieto di sosta. Che cos‘è invece il ‘fatto” che “non costituisce più reato”? Un‘intera società con sede nelle isole del Canale,
, sui cui conti
di Milano ha dimostrato essere transitati dal 1989 al ‘96, un miliardo dì euro finalizzati a operazioni illecite come la corruzione di giudici tramite l’apposito Previti, operazioni finanziarie proibite (finanziamento di prestanomi per mascherare le reali proprietà di Telecinco in Spagna e di Telepiù in Italia) e finanziamenti a partiti e uomini politici tra i quali primeggia Bettino Craxi (21 miliardi sul conto personale Northern Holding). Sulla mega-stecca a Craxi, proprio negli anni 1990-’91, nel pieno della legge Mammì, c’è già una sentenza definitiva della Cassazione, che dichiara colpevoli sia Berlusconi sia Craxi (reato accertato ma prescritto nel 1999). Questo il fatto che, ad avviso del gentile Pecorella, “non crea effetti nocivi e non merita di essere punito “. Resta da capire perché, se erano così regolari quelle operazioni non furono compiute in Italia alla luce del sole e registrate sui bilanci Fininvest, ma furono affidate alla All Iberian che non compariva nei libri contabili, anzi Berlusconi giurò e spergiurò di non averla mai sentita nominare (“Vi pare che uno col mio senso estetico chiamerebbe una sua società con quel nome?”).
Sarebbe bastato poco, per arrivare alla condanna: la denuncia di un azionista contro gli amministratori che gli hanno mentito. Ma, come dice Piercamillo Davigo, dichiarare punibile il falso in bilancio a querela del socio è come dichiarare punibile il furto a querela del ladro. Di solito è l’azionista che trucca o fa truccare i bilanci. Soprattutto in Fininvest, dove l’unico azionista ai tempi del fatto era Berlusconi. L‘idea che si denunciasse per farsi condannare era azzardata. Lui non si denuncia. Lui si assolve. Il pm Francesco Greco aveva chiesto la prescrizione del reato, ma giustamente i giudici hanno preferito l’altra formula: il fatto non è più reato perché l’imputato l’ha depenalizzato. Si è assolto per legge. E un vero peccato che l’autoassoluzione, istituto inedito nel resto del mondo, non sia alla portata di tutti. Sarebbe divertente introdursi a Villa San Martino, a Villa
e a Villa Bermuda per svaligiarne il prelibato contenuto, poi candidarsi al Parlamento e lì depenalizzare il furto con scasso perché “non crea effetti nocivi di qualche rilievo e non merita di essere punito “. Dopodichè, una volta assolti perché il fatto non è più reato, felicitarsi per “la sentenza giusta e attesa” O, come han detto in coro i berluscones, perché “si fa finalmente strada la verità”. O, come ha osservato Scajola, perché “viene demolito un altro mattone del castello accusatorio”. O, come ha notato un giurista del calibro di Landolfi, “è la fine del linciaggio”.
Resta un mistero perché
si sia battuto come un leone per scongiurare la prescrizione e strappare l’assoluzione con quella bella formula. Il suo illustre cliente, infatti, ha già ottenuto sei prescrizioni per altrettanti reati accertati (gli ultimi due, per fatti senza “effetti nocivi”come la corruzione del giudice Squillante e un falsetto in bilancio da 1550 miliardi di lire nascosti su 64 società offshore e sottratti al fisco), grazie al gentile omaggio delle attenuanti generiche. E tutte e sei le volte gli avvocati esultarono per la sua “assoluzione” Forse l’ottimo Pecorella ha finalmente scoperto la differenza fra assoluzione e prescrizione. E poi dicono che i processi non servono.