La Costituzione della Repubblica Italiana
Principi fondamentali
Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
È facile, fin troppo facile respingere migranti che fuggono per la maggior parte dalla fame e dalla guerra. Trattati come rifiuti tossici. I forti con i deboli diventano pavidi, a loro volta, se si tratta di ostacolare ben altri traffici sul mare, gestiti dalle mafie. Se navi cariche di autentici rifiuti tossici possono venire inabissate senza che nessuno se ne accorga, spargendo attorno miasmi venefici.
Preludi di morti prossime future, cause scatenanti di morti passate come quelle di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin assassinati presumibilmente perché stavano indagando sullo smaltimento di rifiuti pericolosi, oppure loro malgrado in questo si erano imbattuti lavorando ad altre inchieste.
Lo scoop della nave affondata nel Tirreno è stato de “il manifesto”, la documentazione è corposa e altra se ne potrebbe aggiungere.
Il vero rifiuto tossico, lo sappiamo, non si trova però in fondo al mare, ma da quindici anni sta avvelenando il Paese in cui vivo. Sarà necessaria, a suo tempo, una gigantesca disinfestazione. Ma non so se ci riusciremo.
Le prime pagine riprodotte sono del 12 ,13 e 16 settembre 2009. Il dossier è corposo, ma è quello che faccio con il cartaceo inserito nell’apposita cartellina. Solo che qui è tutto assieme.
Come sempre è da leggere o consultare poco alla volta. Per non avvelenarsi l’anima.
MISTERI
La nave dei veleni
di Andrea Palladino - CETRARO (COSENZA)
È stata avvistata a
«Sembra un fantasma, il primo di tanti, che oggi prende corpo». È un magistrato con i piedi saldamente per terra Bruno Giordano. Da meno di un anno dirige
Il piccolo robot guidato da un lungo cavo giallo sta scendendo in queste ore sul fondale, per ridare un nome a quell'ombra intravista a fine aprile dai ricercatori della Regione Calabria. Viene calato da un battello che normalmente si occupa di ricerche archeologiche, di anfore e navi romane. Dallo schermo il fantasma inizia a riprendere un volto. Già l'altro ieri un particolare sonar calato molto vicino al fondale aveva iniziato a disegnare i primi tratti: si vede la prua, la poppa, si legge quasi distintamente lo scafo, si può misurare la lunghezza, pari a un campo di calcio, circa 110-
È un pezzo di verità che sta affiorando dal mare calabrese. Ed è probabilmente il tassello chiave della lunga e complessa storia delle navi dei veleni che dalla metà degli anni '80 fino ad almeno il 1993 nessuno ha potuto raccontare fino in fondo. Alcuni nomi sono noti, come
A parlare per primo del relitto ritrovato al largo di Cetraro è stato un collaboratore di giustizia legato alla 'ndrangheta. È Francesco Fonti, 52 anni, che raccontò nel 2006 di come avesse organizzato l'affondamento della "Cunsky", al largo della costa calabra. Secondo il suo racconto il principale locale di 'ndrangheta della zona costiera tra Paola e Cetraro aveva trasportato a bordo della nave l'esplosivo necessario all'affondamento. La "Cunsky", secondo il suo racconto, conteneva 120 fusti di scorie radioattive. Subito dopo il racconto di Fonti l'Arpacal si è messa silenziosamente alla ricerca del relitto. Quando è apparsa una sagoma sul limite delle acque territoriali al largo di Cetraro subito è scattata l'attenzione della Procura di Paola. «Devo ringraziare il coraggio e la determinazione dell'assessore regionale Greco - ha riconosciuto il procuratore Bruno Giordano - che è stato essenziale per la ricerca del relitto». Ed è curioso constatare l'assenza ingiustificata della Marina militare, che fino ad ora non ha fornito nessun supporto alla ricerca.
«Appena avremo le fotografie del relitto - ha continuato il Procuratore di Paola - potremmo avere la certezza che la sagoma individuata sia una nave, certezza che ancora non possiamo avere». Una prudenza più che doverosa quella del procuratore Bruno Giordano, visto che le precedenti inchieste si sono arenate di fronte a muri di gomma o depistaggi quasi invisibili.
Questa mattina - mare permettendo - i tecnici regionali cercheranno di riportare in Procura l'immagine del relitto. È il vero tesoro che il Tirreno calabrese potrà restituire, riaffermando verità negate per anni e ricostruendo un pezzo della storia nascosta del nostro paese.
il manifesto (11 settembre 2009)
IL PENTITO
«Così abbiamo affondato tre imbarcazioni con le scorie»
«Io stesso mi sono occupato di affondare navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Nel settore avevo stretto rapporti nei primi anni '80 con la grande società di navigazione privata Ignazio Messina, di cui avevo incontrato un emissario con il boss Paolo De Stefano di Reggio Calabria. Ci siamo visti in una pasticceria del viale San Martino a Messina, dove abbiamo parlato della disponibilità di fornire alla famiglia di San Luca navi per eventuali traffici illeciti. Fu assicurato che non ci sarebbero stati problemi, e infatti in seguito è successo. Per la precisione nel 1992, quando nell'arco di un paio di settimane abbiamo affondato tre navi indicate dalla società Messina: nell'ordine
il manifesto (11 settembre 2009)
INCHIESTE Da Amantea a Bosaso, Somalia
Da Ilaria Alpi alla Rosso, il filo nero delle scorie
di A. Pal. - CETRARO (COSENZA)
C'è un filo rosso che lega la costa tra Cetraro e Amantea - in provincia di Cosenza - con la strada per Bosaso, in Somalia, dove persero la vita Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Una scia di verità nascoste per anni, di depistaggi, di documenti svaniti nel nulla, di trafficanti di armi che utilizzavano la loro rete di contatti per far sparire i peggiori rifiuti. Delle navi dei veleni si era occupata anche la commissione sulla morte in Somalia della giornalista e dell'operatore del Tg3, guidata dall'avvocato Taormina e, in parte, la commissione bicamerale sui rifiuti. Una pista investigativa che era nata proprio sulla riva di Amantea, dove il 14 dicembre del 1990 si era insabbiata la nave Rosso. Prima dell'ultimo viaggio aveva cambiato il nome, da Rosso a Jolly Rosso, visto che nell'ambiente della marina mercantile era stata associata ai tanti viaggi carica di veleni in giro per il mediterraneo. Era destinata - molto probabilmente - ad essere affondata, come
Nel 1995 il maresciallo dei carabinieri Nicolò Moschitta - che collaborava a un'indagine sulle navi dei veleni dell'allora pm di Reggio Calabria Neri - iniziò ad interessarsi dello spiaggiamento della Jolly Rosso. «Ci occupavamo di quella nave - ha raccontato il 19 novembre del 2004 alla commissione bicamerale sui rifiuti - perché eravamo venuti a conoscenza che a bordo erano state ritrovate delle carte che sembravano progetti, un programma, addirittura, delle battaglie navali». Carte identiche a quelle che erano state ritrovate a Cravasco di Pavia nella casa di un ingegnere ritenuto esperto di traffici di rifiuti, Giorgio Comerio. «Avevamo scoperto che questa persona - continua il racconto del maresciallo Moschitta - aveva progettato l'inabissamento in mare di rifiuti radioattivi attraverso penetratori che si dovevano depositare, secondo la sua tecnica, nei fondali marini». Il progetto aveva la sigla Odm - Oceanic Disposal Management - e, secondo le indagini dell'epoca, derivava da un progetto europeo degli anni '80 bloccato dopo Chernobyl. Secondo Moschitta Comerio aveva stretto accordi con diversi paesi africani, tra i quali
il manifesto (11 settembre 2009)
COMMENTO | di Gianni Mattioli, Massimo Scalia
Allarme scorie
Lo scoop del manifesto riporta a galla, è il caso di dirlo, l'annosa vicenda delle navi dei veleni, delle "carrette" a perdere che "armatori" tanto criminali quanto astuti facevano affondare, a partire dagli anni '80, attorno alle coste italiane, soprattutto a sud, per smaltire rifiuti tossici o addirittura radioattivi a costo zero invece che a quelli, elevati, previsti. Di più, la perdita delle carrette affondate veniva risarcita dalle case assicuratrici. Nessuna meraviglia quindi se furono i Lloyds di Londra tra i primi a denunciare 39 affondamenti presso le coste italiane.
Nonostante l'impegno della Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti ("Ecomafie") che appoggiò con determinazione l'azione delle procure più sensibili e attente alla questione, non si cavò un ragno da un buco, incluse le ricerche fatte espletare dall'Anpa per la "Rigel", affondata nel
Si capì subito che il traffico di rifiuti pericolosi aveva alte complicità, si ammantava di progetti "internazionali" quali l'Oceanic Disposal Management di Giorgio Comerio, che intendeva inabissare nei fondali più scoscesi - tipo quelli della Calabria, ma non solo - i "penetratori", cioè dei contenitori ogivali carichi di scorie tossiche e radioattive. Il traffico attraversava tutto il Mediterraneo, aveva superato lo stretto di Suez per raggiungere le coste della Somalia e la "Ecomafie" fu la prima sede istituzionale a ufficializzare l'ipotesi della waste connection - armi ai signori della guerra somali in cambio di territorio per lo smaltimento dei rifiuti tossici - alla base dell'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che attendono ancora giustizia.
Oggi la solerzia di una procura e le precise indicazioni di un pentito cominciano a togliere veli a una verità che era rimasta indimostrata. Ma in quale contesto avviene questo "svelamento"?
Le ricerche del robot a largo di Cetraro avvengono non troppo lontano dalla "collina del Cesio 137", ritornata alla ribalta pochi giorni fa. E viene fuori l'immagine di un Paese in cui la labilità dei controlli è troppo spesso un argine immaginario all'incosciente avidità di ditte e operatori, che si sono storicamente avvalsi della criminalità organizzata, fossero i Casalesi o la 'ndrangheta, per smaltire rifiuti di ogni genere. Si scorge sempre più corposa la minaccia di contaminazioni radioattive in territori già lesi da una loro fragilità di fondo, dal disboscamento selvaggio, da un abusivismo demenziale. Un Paese vulnerato e vulnerabile dove "garantire la sicurezza" è un obiettivo che non riguarda solo la violenza "metropolitana" e non, ma addirittura la capacità e la volontà di assicurare almeno quella fisica. Un Paese che, a proposito di radioattività, non ha ancora un deposito per i rifiuti di "seconda categoria", quelli più gestibili, per colpa di un governo che, proprio col piglio militaresco usato con il decreto Scanzano (novembre 2003) rivelò una vena autoritaria e al tempo stesso fallimentare rispetto alla soluzione del problema.
Un governo che si fa vanto del nucleare e marcia imperturbabile, in una direzione reazionaria, nel senso più proprio della parola, rispetto alla politica dei tre 20% della Ue, divenuta riferimento per Obama e la stessa Cina.
Fa rabbrividire che si possa affrontare il nucleare e il suo complesso ciclo nello stesso modo con cui si acquisisce il titolo di miglior premier degli ultimi 150 anni. Affronti almeno Berlusconi, al suo quarto governo, la gestione delle scorie del nucleare, assai modesto, che si è fatto da noi.
Mentre Scajola va avanti intrepido, fa annusare la mappa dei siti che gli hanno passato Enel e Edf e propone: perché no una centrale atomica a Termini Imerese? Si potrebbe pensare a una riconversione industriale e occupazionale dell'area. Magari trova anche qualche sindacalista disposto a credergli.
il manifesto (12 settembre 2009)
SUL LUOGO DEL RELITTO
di Andrea Palladino - AMANTEA (COSENZA)
L'eredità di morte della Jolly Rosso
Temperatura del suolo più alta di sei gradi, una macchia rossa visibile dai satelliti, radioattività sei volte più elevata del normale. E tante morti di tumore. Accade ad Amantea, perla della Calabria. Dove il 14 dicembre del '90 si arenò una nave dei veleni. E dove ora si sospetta siano sepolti i rifiuti nucleari. Mentre in mare si cercano le scorie affondate dalla 'ndrangheta
Il vicolo stretto che sale nel centro storico di Amantea si apre, dopo alcune curve, sulla spettacolare visione del Tirreno. Il municipio - un edificio ottocentesco - ha le finestre spalancate sulla vegetazione mediterranea, che scende fino alla spiaggia. Al primo piano oggi non c'è un sindaco, ma una commissione prefettizia, chiamata ad amministrare questo paese di 13 mila abitanti. Nella segreteria i funzionari, tra una pratica e l'altra, sfogliano gli atti della commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti che il 19 novembre del 2004 si è occupata dello spiaggiamento della nave dei veleni,
Quello che molte autorità hanno negato dal 14 dicembre del 1990 - quando la nave Jolly Rosso si arenò sulla spiaggia di Formiciche, poco a sud dal centro cittadino - oggi è divenuta una verità incontrovertibile. Una cava dismessa, a pochi chilometri dalla spiaggia, sulla strada che sale verso Serra D'Aiello, contiene residui nucleari non naturali, che provocano un aumento della temperatura del suolo di circa sei gradi. Una macchia rossa visibile anche dai satelliti, dove gli strumenti dei tecnici dell'Arpacal e dei Vigili del Fuoco hanno segnato un valore di radioattività fino a sei volte superiore ai valori di fondo normalmente presenti nella zona. «I tecnici ci hanno spiegato - racconta il procuratore di Paola Bruno Giordano - che si tratta di radionuclidi non presenti in natura, frutto cioè dell'industria nucleare». Secondo quanto hanno ricostruito fino ad oggi i tecnici inviati dall'assessore regionale all'ambiente Silvestro Greco, il materiale radioattivo sarebbe interrato ad una profondità di circa trenta metri. La presenza, dunque, di radionuclidi di Cesio
La cava con il materiale radioattivo si trova a
Nella costa tra Lametia Terme e Cetraro si percepisce una sorta di cappa plumbea quando si cerca di parlare di rifiuti e di 'ndrangheta. Le persone muoiono ma non parlano. Arrivano in Procura sapendo che ormai hanno pochi mesi di vita e tra le righe fanno capire di sapere. Ma poi davanti ai verbali rimangono muti, silenziosi, e ritrattano. Le navi dei veleni, i vascelli a perdere mandati qui per nascondere nel mare gli scarti industriali che nessuno voleva spaventano ancora. È meglio morire in silenzio, nella costa di Amantea, che tradire un segreto che dura dal 14 dicembre del 1990.
il manifesto (12 settembre 2009)
CETRARO Un naufragio mai dichiarato
Quella nave fantasma sul fondo del Tirreno
di A.Pal. - CETRARO (COSENZA)
Il piccolo robot Rav che dovrà filmare il relitto disegnato dai sonar a
«Aspetto le immagini per poter affermare con certezza che si tratti di una nave», spiegava anche ieri il procuratore Bruno Giordano. Tanta prudenza per mantenere l'indagine che si sta riaprendo sulle "navi a perdere" salda su elementi oggettivi e incontrovertibili. Troppi depistaggi e interessi inconfessabili - che hanno fatto naufragare le precedenti inchieste - richiedono una dose supplementare di prudenza.
Questa mattina la nave Copernaut Franca - che effettua le ricerche, con i fondi dell'assessorato regionale all'ambiente - ripartirà, per tentare l'operazione di documentazione video. «Continueremo ad oltranza - ha spiegato l'assessore Silvestro Greco, che testardamente sta supportando
La posizione del relitto corrisponde esattamente con il racconto del pentito della 'ndrangheta - legato al clan Muto - Francesco Fonti. Fu lui che nel 2006 raccontò per primo di tre navi affondate al largo della costa cosentina, cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Secondo il suo racconto la forma apparsa sui sonar della Copernaut Franca sarebbe lo scafo della Cunsky, vascello adibito al trasporto. Un naufragio in realtà mai dichiarato.
il manifesto (12 settembre 2009)
Naufragio con archiviazione
il manifesto (12 settembre 2009)
IL GIALLO
La morte dell'investigatore De Grazia, nel '95
«L'inchiesta fu funestata dalla morte di un investigatore, il capitano di corvetta Natale De Grazia. L'avevo salutato al telefono proprio il giorno della sua morte, il 2 dicembre 1995. Stava andando a fare delle verifiche sui registri nautici e accertamenti sull'affondamento di alcune di quelle navi sospette. Era in viaggio con dei colleghi. Dopo cena, si erano rimessi in macchina, diretti a
il manifesto (12 settembre 2009)
EDITORIALE |
Un fantasma che riemerge dal passato
di Andrea Palladino - CETRARO (COSENZA)
Erano voci, quasi leggende, o fantasmi, come ha raccontato al manifesto il Procuratore di Paola Bruno Giordano, che da cinque mesi si era messo con ostinazione alla caccia della nave fantasma, della prima nave dei veleni ritrovata. Poi, piano piano, le ombre che i sonar della Copernaut Franca - la nave messa a disposizione dall'assessore all'ambiente Silvestro Greco - hanno preso una forma, divenendo sempre più definite, contornate. I primi dati arrivati sul tavolo della Procura riguardavano le misure, enormi: 110-
La conferma ufficiale del ritrovamento del relitto riapre la pagina più oscura del traffico di veleni che l'Italia ha esportato, nascosto, interrato e inabissato per almeno un decennio. I tanti depistaggi, le morti di giornalisti, come Ilaria Alpi - che in Somalia inseguiva i fantasmi dei traffici di armi e rifiuti - e di investigatori, come il capitano di corvetta Natale De Grazia - che pagò con una morte mai spiegata la sua ostinata ricerca della verità - non sono alla fine riusciti a nascondere il corpo del delitto, lo scafo di una delle navi dei veleni.
Ora rimane da stabilire con certezza il nome della nave, il carico, l'armatore e chi organizzò quell'ultimo viaggio. Il primo dato certo è che il naufragio non esiste sui registri delle Capitanerie di porto. Per lo stato al largo di Cetraro non è mai affondato alcun vascello mercantile. E come nei migliori gialli gli investigatori dovranno dare ora un nome al cadavere. Il punto di partenza per riaprire e analizzare diciassette anni di fascicoli archiviati è la dichiarazione del pentito Francesco Fonti. Fu lui per primo - ascoltato dalla Dda calabrese nel 2006 - a raccontare di tre navi che la 'ndrangheta ha fatto affondare nelle acque calabresi. Una di queste era «
Riscontri nel registro navale
Fino ad oggi il racconto del collaboratore di giustizia era stato ritenuto inaffidabile. Ma gli elementi di riscontro che il manifesto è in oggi in grado di ricostruire sono tanti.
Sul registro navale la "Lottinge-Samantha-Cunski-Shahinaz" risulta rottamata sulla spiaggia di Alang, in India, nel distretto di Bhavnagar, il 23 gennaio del 1992. Il luogo indicato come destinazione finale è particolare. Alang è un gigantesco cimitero di navi cargo, dove centinaia di uomini, donne e bambini smontano con mezzi di fortuna i relitti portati qui dagli armatori. Impossibile, cioè, avere un riscontro certo dell'avvenuto smantellamento, a parte i supporti solo cartacei.
I dati della Cunski - presenti sul registro navale - sono incredibilmente corrispondenti con il profilo disegnato dal sonar. La lunghezza della nave è di
La storia delle navi dei veleni era iniziata ad essere conosciuta - e denunciata - tra il 1987 e il
La via libanese
Nel
L'operazione libanese del
Nel recupero, però, risultarono coinvolte anche altre navi, secondo gli studi effettuati da Greenpeace:
Le accuse di Greenpeace vennero smentite dal governo italiano nel 1995. Per l'allora ambasciatore italiano Carlo Calia, l'unica nave coinvolta era
Anni di depistaggi
È difficile dunque oggi ricostruire con assoluta certezza quello che è stato un vero e proprio giallo internazionale, che ha coinvolto il nostro paese per un intero decennio. L'Italia venne additata dalle organizzazioni ecologiste - come il Wwf e Greenpeace - come un paese canaglia dal punto di vista ambientale.
L'anno della svolta fu probabilmente il 1989, quando venne firmato l'accordo per bloccare i trasporti internazionali di rifiuti. Probabilmente la via degli affondamenti delle navi nel mediterraneo - per poter occultare le scorie tossiche e radioattive - si aprì dopo questo accordo, che rendeva difficile e rischioso lo sbarco dei rifiuti nei paesi africani. L'organizzazione delle navi a perdere, l'occultamento del carico - magari falsificando le carte di bordo - la manomissione dei registri navali per nascondere gli affondamenti e la fitta attività di disinformazione e di depistaggio dovevano avere necessariamente l'appoggio di una rete di complicità di alto livello.
il manifesto (13 settembre 2009)
Morto mentre indagava, gli intitolano lungomare
Il lungomare di Amantea, dove si arenò
il manifesto (13 settembre 2009)
INTERVISTA | di A. Pal. - CETRARO (COSENZA)
L'ASSESSORE ALL'AMBIENTE
La regione al governo: «Vogliamo sapere dove sono le altre navi»
«Ora vogliamo la verità, vogliamo che il governo ci dica dove sono le altre navi». È quasi emozionato l'assessore all'Ambiente della regione Calabria, Silvestro Greco, mentre apprende la notizia del ritrovamento del relitto sui fondali marini al largo di Cetraro. E la cosa a cui tiene di più è far arrivare il ringraziamento «di tutti i calabresi» al procuratore Bruno Giordano, per aver usato «grande sensibilità» su un problema così importante per la salute pubblica.
Quanto è costata l'intera operazione?
Il costo sostenuto dall'Arpacal (agenzia regionale di protezione dell'ambiente Calabria, ndr) per l'intera operazione in mare è stato di 70.000 euro.
Davvero poco, dunque.
Le cose se si vuole si fanno. Bisogna dire però che abbiamo avuto la fortuna di intavolare un rapporto straordinario con un procuratore di grande sensibilità, il dott. Bruno Giordano, che voglio ringraziare a nome di tutti i calabresi. Ma ora come regione vogliamo la verità, vogliamo sapere dove sono le altre navi. Il governo le deve trovare, subito.
È questo che chiedete al governo?
Non solo: a terra devono fare immediatamente degli studi analizzando il suolo, l'acqua e l'aria. Non possono pensare di cavarsela sostenendo che non c'è alcun pericolo per la salute pubblica.
Ma voi qualche analisi l'avete già fatta, o no?
Abbiamo raccolto e analizzato le caratteristiche degli inquinanti in tutte le discariche normali dei comuni dell'area. Ma il sito che la procura ha individuato, dove sarebbero sotterrate le scorie radioattive, è più a nord. E io, come regione, non ho gli strumenti per intervenire.
Perché?
La competenza per i radio nuclidi non è regionale. Però come regione devo dare una risposta, immediatamente, alla popolazione. Voglio sapere cosa c'è nella nave.
Quali crede siano attualmente i rischi per la popolazione?
Non c'è un problema per farsi un bagno, e nemmeno per i pescatori. Ma potrebbe esserci una contaminazione della rete trofica (rete alimentare marina, ndr). Ora ovviamente dovranno essere fatti tutti i rilievi del caso. Deve essere chiaro, però, che se il governo non agisce lo faremo noi. Ci sostituiremo all'esecutivo, ma faremo pagare loro il conto. Non aspetteremo oltre, non possiamo lasciare la gente nella paura.
Preoccupato?
Mi preoccupa molto la storia delle navi dei veleni. Queste sostanze contaminanti possono creare un danno incalcolabile con ovvie ripercussioni su tutte le specie marine e sull'uomo.
Quali sono state le fasi di tutta l'operazione di ritrovamento della nave?
La prima impronta era stata trovata dalla procura. Io sono stato avvisato il 13 maggio scorso e il 15 ho inviato la comunicazione al ministro dell'Ambiente. Ma non so se e come il ministero si sia mosso. Quattro giorni fa è partita la nave con il sea scan sonar che ha delineato un prima impronta del relitto. A quel punto con le boe si è delimitato il campo attorno alla nave e infine è stato calato nelle profondità marine il Rov, il robot.
È stato un lavoro inconsueto, questo, per lei?
Anni fa, quando mi occupavo del coordinamento scientifico dell'Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, ndr), ho condotto un lavoro in Libano di recupero ambientale. Ma farlo in casa mia è un'altra cosa, mi fa impressione.
il manifesto (13 settembre 2009)
SCHEDA
ISTITUZIONI
1987-1992 anni sporchi: chi c'era a Palazzo Chigi
La vicenda della Cunski e delle altre navi dei veleni abbraccia un arco di tempo che va dal 1987 al
il manifesto (13 settembre 2009)
BRUTTA SCORIA
Cunski e altre sei navi dei veleni
di Andrea Palladino - ROMA
La procura di Paola conferma che il relitto avvistato al largo delle coste calabresi sarebbe quello del mercantile carico di scorie. L'ultimo nome era Shahinaz ed era stato acquistato dalla Alzira, società con sede nelle Antille. Greenpeace indica luoghi e date di altri affondamenti
Sembra avere un nome certo il relitto della nave mercantile avvistato sul fondo del Tirreno, a venti miglia nautiche (circa
Dalla prima analisi del filmato realizzato dal robot Rav emerge che la prua presenta un largo squarcio, con i lembi della lamiera rivolti verso l'esterno, segno di una probabile esplosione a bordo. «Di fianco alla nave - spiega il procuratore di Paola Bruno Giordano - sono visibili due fusti», da dove sono stati prelevati dei campioni, inviati ai laboratori di analisi.
Tutto fa dunque pensare che il relitto sia realmente la prima "nave a perdere", utilizzata per il trasporto - sola andata - di rifiuti tossici e radioattivi. L'ultimo proprietario del cargo risulta essere una società di armatori con sede a Saint Vincent, nelle Antille. Si tratta della Alzira Shipping Corporation, come risulta dagli archivi Starke-Schell Registers inglesi, una delle fonti più attendibili per ricostruire la storia di un vascello. Questa società acquistò la nave nel 1991 da un'altra compagnia, cambiando il nome da Cunski a Shahinaz. Dal registro
I dati certi, almeno per ora, sono questi. L'identificazione definitiva e provata del relitto arriverà probabilmente nei prossimi giorni, quando saranno analizzate le tante immagini che il robot subacqueo sta ancora raccogliendo. Il passo successivo - quello più difficile - sarà quello di identificare il carico trasportato, il porto di provenienza e la società che organizzò il trasporto. La ricostruzione della catena delle responsabilità sarà il punto di partenza per iniziare a fare luce sulla stagione delle navi dei veleni.
Un mare di scorie
Particolarmente dettagliato era un elenco informale preparato da Greenpeace: sei navi, con relative coordinate del presunto affondamento. Si tratta della Four Star I, della Anni,
Nessuna risposta è mai venuta dallo stato italiano, che ha in sostanza ignorato la questione fino ad oggi. Se alla regione Calabria sono bastati 70 mila euro e pochi giorni di ricerca per localizzare e filmare il Cunski, poco o nulla è stato fatto da parte del ministero dell'Ambiente o della marina mercantile. Nessuna spedizione, nessuna task force, nessun Rav mandato a verificare la presenza dei relitti. Solo oggi, dopo il clamore del ritrovamento, il ministro Prestigiacomo promette il supporto del governo per recuperare il Cunski, senza specificare se saranno cercati anche gli altri vascelli.
Il coinvolgimento dei governi
Il 3 agosto del 2004, dopo diverse interrogazioni e interpellanze, l'allora ministro ai rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi forniva a Montecitorio una sorta di versione ufficiale sull'intera vicenda. E sono parole pesanti: «È emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico d'armi». Un traffico che ha goduto, secondo Giovanardi, di protezioni istituzionali: «Numerosi elementi - continua il ministro - indicano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio».
Le navi a perdere sono nulla più della punta di iceberg. Oltre alle complicità istituzionali e all'azione diretta della criminalità organizzata - la manovalanza per il "lavoro sporco" - ci sono ovviamente le aziende. Si chiamano stakeholders, sono i mediatori che possiedono la logistica, la conoscenza di campo, la rete di contatti. Un nome è già ampiamente noto. È
il manifesto (15 settembre 2009)
IL FACCENDIERE
Comerio e il network dei rifiuti nucleari
di A. Pal. – ROMA
La mattina del 24 settembre
Comerio non faceva segreto della sua principale attività. Da diversi anni proponeva a quei paesi che non riconoscevano gli ultimi accordi internazionali varati per bloccare la dispersione dei rifiuti radioattivi di entrare nel ricchissimo business dell'affondamento delle scorie. Aveva brevettato, con la sua Odm, un particolare missile che poteva essere riempito con gli scarti dell'industria nucleare e lanciato da navi attrezzate nei fondali argillosi dei mari. Sul sito - che è rimasto attivo fino a un paio d'anni fa - Comerio mostrava documenti, piani, accordi, mappe con i possibili siti. Le zone selezionate per l'inabissamento erano quasi tutte vicine alla costa africana.
I collegamenti della rete di Comerio con la questione delle navi a perdere sono molti. Sulla Jolly Rosso - la nave spiaggiata ad Amantea, che, secondo le inchieste dell'epoca, terminate con l'archiviazione, era destinata ad inabissarsi con diverse scorie -
Secondo il dossier del 1997 di Greenpeace
La gestione finanziaria della Odm, spiegava Greenpeace, era affidata ad un socio di Comerio, Filippo Dollfus, che secondo l'organizzazione ambientalista avrebbe avuto a sua volta contatti con David Mills, l'avvocato condannato per avere testimoniato il falso favorendo Silvio Berlusconi.
La risposta di Giorgio Comerio alle accuse di Greenpeace fu dura. In un documento intitolato "Il grande bluff di Greenpeace" accusò 11 attivisti di aver scassinato la porta degli uffici della Odm a Lugano, sottraendo diversi documenti. Rispetto alla rete ricostruita dal dossier, Comerio era categorico: «Nessuno aveva a che fare o ha avuto a che fare con
I riscontri alla denuncia di Greenpeace sono in realtà molti. Lo stesso Giorgio Comerio sul sito della Odm parla di contatti con
il manifesto (15 settembre 2009)
GLI AMBIENTALISTI
Petizione on line del Wwf: «Ora bonificare l'area»
Per l'associazione all'opera «una rete ecocriminale internazionale»
«Il ritrovamento della nave a largo delle coste calabresi è solo un piccolo spaccato di quel traffico illegale su cui il Wwf richiama fin dal 1997 la necessità di indagare e che coinvolge con molta probabilità una rete internazionale ben organizzata». Anche il Wwf interviene sulla vicenda del ritrovamento della Cunski. «Per anni - afferma Michele Candotti, direttore generale del Wwf Italia - sono stati coperti traffici illeciti i cui responsabili erano ben conosciuti, ad esempio, dalla commissione bicamerale sulla gestione del ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, verità che erano e sono sotto gli occhi di tutti. Quali sono allora le coperture istituzionali che hanno garantito sinora lo svolgimento di questi traffici? Questi sono i temi che devono essere affrontati se si vuole evitare che nei mari italiani o di altre nazioni e in zone franche gestite dai vari signori della guerra vengano usati come pattumiera per i nostri rifiuti tossici di origine industriale». «Perfino all'epoca dello tsunami del 2004 - continua Candotti - che colpì i paesi del sud-est asiatico, alcune popolazioni della costa settentrionale somala vennero colpite da patologie insolite che lo stesso Unep riferiva a gravi fenomeni di inquinamento provocato dai rifiuti disseppelliti dal maremoto. Sono molte, infatti, le aree dove cercare le navi dei veleni: non solo
Sul sito del Wwf è stata lanciata una petizione al presidente del Consiglio per chiedere di approfondire le ricerche sull'area e per avviare al più presto le operazioni di bonifica. «Qui, nel 2001, un camion proveniente da Caserta sbandò proprio in vicinanza della discarica e si ribaltò. Dal camion fuoriuscirono sacchi e liquidi tossici e la zona venne subito perimetrata per impedire a cittadini e passanti di attraversarla. Non si seppe mai cosa contenevano quei sacchi, nonostante le denunce».
il manifesto (15 settembre 2009)
INTERVISTA | di Andrea Palladino – ROMA
SOMALIA CONNECTION
«I nostri bidoni tossici a Bosaso»
Intervista a Francesco Fonti, il pentito della 'ndrangheta che ha fatto ritrovare il relitto della Cunski: «Abbiamo portato migliaia di fusti radioattivi in Africa. Quando arrivavamo al porto della città somala i militari italiani facevano finta di non vedere. Sono convinto che Ilaria Alpi è stata uccisa perché ha visto proprio lì cose che non doveva vedere»
Francesco Fonti - collaboratore di giustizia della 'ndrangheta - iniziò a raccontare ai magistrati antimafia l'organizzazione dei traffici dei rifiuti nel Mediterraneo e nel Corno d'Africa nel 2005. Partendo dalla sua deposizione
Nel suo memoriale e in alcune deposizioni lei ha affermato che alcuni gruppi criminali calabresi avrebbero esportato rifiuti pericolosi verso paesi africani. Cosa ricorda di quel periodo?
Noi - mi riferisco alla 'ndrangheta - abbiamo portato migliaia di fusti tossici e radioattivi in Somalia. Però nessuno, con tutte le dichiarazioni che ho fatto, con tutto quello che ho presentato ha voluto approfondire.
Ha fornito elementi concreti?
Sì, anche una mappa della Somalia dove evidenziavo i posti dove erano stati allocati questi bidoni e container, ma tutti hanno negato. Addirittura sono stato convocato quando c'è stata la commissione d'inchiesta presieduta da Taormina, quella sulla morte di Ilaria Alpi. La direzione politica è stata quella di negare, negare, negare che ci fossero stati questi viaggi e questi depositi radioattivi o nocivi in Somalia. In realtà
La 'ndrangheta organizzava i traffici verso
Sì.
In che periodo?
Parliamo sempre prima del '94. Prima nell'87 e nel '92.
Nelle sue deposizioni ha parlato anche della morte di Ilaria Alpi. Perché?
L'idea che mi son fatto è stata quella che Ilaria Alpi è stata uccisa perché ha visto quello che non doveva vedere nel porto di Bosaso, precisamente lì.
Ed è importante il luogo?
Il porto di Bosaso è dove noi abbiamo fatto attraccare una nave. Allora il porto di Bosaso era particolare in quanto c'è una barriera corallina. A quei tempi era presidiata dai militari italiani. Quando arrivava qualcosa di illecito da scaricare tipo armi o rifiuti, non vedevano niente perché erano stati istruiti dai loro comandanti a girarsi dall'altra parte. In Somalia arrivavano le armi sia perché Ali Madhi oppure l'altro signore della guerra avevano sempre bisogno di armamenti nuovi. Ma anche perché transitavano per l'Eritrea, per il Kenya e arrivavano quasi tutte tra Mogadiscio e il porto di Bosaso.
L'organizzazione che gestiva le armi era anche la stessa che portava i rifiuti?
Le strutture erano sempre le stesse.
Lei partecipò direttamente all'organizzazione del trasporto?
Sì. Una nave almeno, per quello che posso dire, l'ho mandata io. Organizzai la cosa dall'Italia e questi fusti furono caricati nel porto di Livorno, in uno dei pescherecci della flotta somala che era stata regalata, da Craxi, ai somali,
E quindi Ilaria Alpi, secondo lei, avrebbe visto qualcosa legato a queste navi?
Io penso più che altro a qualcosa legato a uno scarico particolare. Da qualche nave, qualcosa nello scarico è andato storto. Lei ha voluto, insieme al suo cameraman, filmare questo qualcosa che poi l'ha portata a essere presa di mira... Se non erro mi sembra che alcuni suoi appunti particolari erano spariti... Lei aveva degli appunti che sono scomparsi nel percorso della salma dalla Somalia all'Italia.
Nel 1994 vennero uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Cosa ha pensato di quell'agguato?
Ho collegato dentro di me questa situazione con i traffici dei rifiuti. Però mi ero ripromesso - anche perché ero stato condizionato da qualche personaggio - di non parlare di storie di rifiuti, ma solamente di stupefacenti.
All'epoca aveva già iniziato a collaborare...
Sì. Quando ho cominciato a collaborare con il dottor Macrì avevo un pensiero solo: scappare. Poi, conoscendo a fondo il dottor Macrì, la sua umanità, la sua correttezza, mi sono deciso e convinto a proseguire su quella strada lì. Però all'inizio la mia idea era di farmi portare in un posto e fuggire. Invece non ce l'ho fatta perché non potevo tradire le aspettative e la fiducia che mi aveva dato Macrì. Una carica di umanità che mi ha colpito molto.
Lei fino al 2005 non ha voluto parlare dei traffici di rifiuti. Perché?
Avevo avuto dal '
Che peso ha per la 'ndrangheta - a livello economico - il traffico dei rifiuti?
Io le posso dire che negli anni in cui ero organico io, a seconda dei carichi, della pericolosità dei carichi, si andava da una cifra (in lire) di 3-4 miliardi fino anche a 30 miliardi. Cifre importanti.
il manifesto (16 settembre 2009)
COMMENTO | di Marco Mancassola
Le molte scorie dell'Italia che verrà
Racconta Alan Weisman nel suo memorabile saggio «Il mondo senza di noi» di alcuni esperti di semiologia alle prese con un problema. Il loro lavoro è quello di elaborare segnali di pericolo per delimitare aree dove vengono seppellite scorie tossiche e radioattive che rimarranno velenose, letteralmente, per centinaia di migliaia d'anni. Come rendere comprensibile il pericolo a chi verrà dopo di noi, lontanissimi discendenti che di certo comunicheranno con simboli diversi dai nostri? Come far capire loro che qualcuno, nel passato, è stato stupido ed egoista al punto di abbandonare in quei luoghi veleni tanto duraturi? Dovrebbe bastare questo atto di inciviltà cosmica, produrre rifiuti che infesteranno il mondo ben oltre la nostra morte, a lasciarci sgomenti per il resto dei nostri giorni. Ma lo sgomento aumenta nel caso di quei luoghi, come l'Italia, dove non ci si preoccupa neppure di segnalare il pericolo: ci si limita magari ad affidare i rifiuti a servizievoli organizzazioni che li fanno affondare, perché no?, in un braccio di mare. Lo scempio dei relitti marini tossici, di cui abbiamo avuto nuove notizie proprio grazie a questo giornale, si aggiunge alla storia di un paese che dimostra da sempre una strepitosa capacità di avvelenare e avvelenarsi. Nell'ampio catalogo dell'inciviltà occidentale, l'inciviltà italiana non perde occasione di distinguersi come la più attivamente autodistruttiva.
D'altro canto, questa vicenda di scorie sottomarine non sembra scuotere più di tanto un paese alle prese con una varietà crescente di altre scorie. E non soltanto di tipo ambientale. Quando pensiamo al nostro futuro ce lo auguriamo anzitutto pulito, ben sapendo che l'assenza di veleni è condizione primaria perché la vita possa esprimere se stessa: questo non riguarda solo l'habitat fisico ma anche il nostro futuro morale, politico, culturale. Riguarda insomma il futuro della nostra coscienza. Per questo le navi cariche di rifiuti tossici sul fondo dei mari sembrano fatalmente destinate a mescolarsi, in questo bizzarro momento della nostra storia di cittadini italiani, a una quantità di altre tossine ed eredità velenose pronte a infestare la nostra vita. Le scorie che questo presente politico si appresta a lasciare potrebbero essere anche fisiche, pensiamo ai deliranti progetti di tornare a produrre energia nucleare, ma saranno anzitutto scorie dell'anima collettiva. Scorie magari incapaci di provocare tumori fulminanti ma ai pericoli delle quali sarebbe bene prepararsi. È cosa ovvia che il nostro sommo uomo di governo non sia eterno ed è altrettanto ovvio, lo confermano le cronache politiche degli ultimi tempi, che molti lavorano già nella prospettiva del dopo. Anche da parte di voci amiche si sente montare, forse un poco ingenuamente, l'attesa per il grande giorno in cui l'uomo uscirà dai giochi. Questo uomo non durerà a lungo, d'accordo, eppure bisogna forse chiedersi quanto durerà la sua eredità. Quanto persistenti saranno fenomeni come la paralisi di tante coscienze, la miseria logica in cui è precipitata ogni forma di dibattito pubblico o il devastante senso di irrealtà che allegramente ci avvolge.
Sappiamo che le tossine radioattive possono devastare la vita nel suo intimo, fin dentro il suo prezioso patrimonio genetico. Allo stesso modo abbiamo imparato come altre tossine immateriali possano devastare la civiltà di un paese nel suo profondo, fin dentro i suoi intimi presupposti. Da quando si è presentato sulla scena pubblica, questo uomo ha diffuso in modo scrupoloso le sue tossine morali. E questo paese glielo ha permesso. Ora, l'avvelenamento di ogni principio democratico pone domande che vanno ben oltre la durata dell'avvelenatore. A ben guardare, lasciare in eredità il proprio veleno è l'atto più nichilista che esista: significa condannare chi verrà dopo di noi oppure, peggio ancora, pensare che nessuno verrà dopo di noi.
Certo, accadrà che un giorno potremo guardarci indietro. Il lungo periodo in cui quel piccolo uomo dominava i nostri discorsi e l'intera vita del nostro paese sarà passato, lontano, ci apparirà come un ricordo dai confini irreali, quasi una sorta di macabro sogno. Ma quello strano ricordo potrà essere chiuso solo se saremo riusciti a liberarci delle sue eredità. Sarà possibile? Ci riusciremo? Basterà una generazione per smaltire certe tossine? Quanto ci vorrà, ad esempio, perché la parola «democrazia» torni ad avere in noi una risonanza reale? E soprattutto, ciò che dovremo in tutti i modi scongiurare: l'eredità di quell'uomo non innescherà processi politici persino più amari dell'uomo stesso?
il manifesto (16 settembre 2009)
«Ilaria stava indagando sulla Shifco a Bosaso»
Nella relazione di minoranza della commissione parlamentare sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è evidenziato con chiarezza il peso dei traffici di armi e rifiuti tra i moventi dell'agguato contro al giornalista e l'operatore del Tg3. Riportiamo un breve estratto che spiega l'importanza del porto di Bosaso e delle navi della Shifco. «Ilaria voleva andare a Bosaso e c'è andata. Ha svolto il suo lavoro muovendosi come poteva in quell'ambiente ostile, facendo domande sui traffici illeciti, come ha confermato il Sultano di Bosaso nell'audizione in Commissione. Ilaria ha cercato di raccogliere informazioni sul sequestro della nave Shifco, voleva salire a bordo per verificare il contenuto del trasporto, visto che si diceva che la navi di cui Mugne si era appropriato, servissero per il traffico delle armi. In una informativa del Sismi c'era la notizia di una minaccia che Ilaria avrebbe ricevuto a Bosaso. I cooperanti di Africa 70 avevano dovuto abbandonare Bosaso a causa delle minacce ricevute. Lo scontro tra le due fazioni in lotta nel Ssdf, partito che controllava Bosaso e il mare prospiciente, era ancora in essere. Mentre i gruppi fondamentalisti islamici duramente sconfitti dal Ssdf tra il '92 e il '93 cercavano di rientrare a Bosaso. Bosaso era una realtà pericolosa e molto importante dal punto di vista geopolitico ed economico. Per questo non è accettabile sottovalutare questa realtà al solo scopo di sostenere la causale del rapimento andato a male piuttosto che la causale dei traffici illeciti. Il fatto che
il manifesto (16 settembre 2009)
In Calabria una nave dell'Ispra
Interventi sulla terraferma e in mare sono stati assicurati ieri dal ministero dell'Ambiente nel corso di incontri che la task force attivata per il caso della "nave dei veleni", ha avuto con l'assessore all'ambiente della regione Calabria, Silvio Greco. In particolare, si legge in una nota del ministero, scatterà subito la caratterizzazione e l'eventuale messa in sicurezza e quindi bonifica del sito presso il quale sarebbe stato rilevato un livello di radioattività al di sopra della norma. Per quanto riguarda la situazione nella zona in cui è stato individuato il relitto, si sta dirigendo alla volta della Calabria la nave Astrea dell'Ispra, specificamente attrezzata per le rilevazioni di inquinamento marino. Sulle navi dei veleni, fa sapere il deputato del Pd Ermete Realacci, il governo risponderà oggi nel corso di un question time. Da destra, invece, il senatore Antonio Gentile del Pdl, componente della Commissione parlamentare antimafia, scrive al presidente dell'organismo Beppe Pisanu per chiedergli di inserire in agenda una visita in Calabria. Il Copasir sentirà la prossima settimana i capi di Aise e Aisi, Bruno Branciforte e Giorgio Piccirillo.
il manifesto (16 settembre 2009)
Un collage di notizie messe insieme in modo davvero notevole. Resta sconcertante notare come, ogni volta che si gratta appena un pò cercando collegamenti frammentati di notizie, si componga un quadro di realtà nauseante che mai arriva a rimanere sotto osservazione per più di pochi giorni per poi nuovamente inabissarsi. Forse è questa la vera difficoltàoggi: mantenere l'attenzione fissa su alcune notizie. Troppe ogni giorno, e a tenr banco sono spesso i gossip sulle notizie, più che le notizie stesse...Complimenti per il lavorone...
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