venerdì 18 settembre 2009

Una brutta scoria italiana







La Costituzione della Repubblica Italiana


           


Principi fondamentali


Art. 11


L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.















È facile, fin troppo facile respingere migranti che fuggono per la maggior parte dalla fame e dalla guerra. Trattati come rifiuti tossici. I forti con i deboli diventano pavidi, a loro volta, se si tratta di ostacolare ben altri traffici sul mare, gestiti dalle mafie. Se navi cariche di autentici rifiuti tossici possono venire inabissate senza che nessuno se ne accorga, spargendo attorno miasmi venefici.


Preludi di morti prossime future, cause scatenanti di morti passate come quelle di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin assassinati presumibilmente perché stavano indagando sullo smaltimento di rifiuti pericolosi, oppure loro malgrado in questo si erano imbattuti lavorando ad altre inchieste.


Lo scoop della nave affondata nel Tirreno è stato de “il manifesto”, la documentazione è corposa e altra se ne potrebbe aggiungere.


Il vero rifiuto tossico, lo sappiamo, non si trova però in fondo al mare, ma da quindici anni sta avvelenando il Paese in cui vivo. Sarà necessaria, a suo tempo, una gigantesca disinfestazione. Ma non so se ci riusciremo.


Le prime pagine riprodotte sono del 12 ,13 e 16 settembre 2009. Il dossier è corposo, ma è quello che faccio con il cartaceo inserito nell’apposita cartellina. Solo che qui è tutto assieme.


Come sempre è da leggere o consultare poco alla volta. Per non avvelenarsi l’anima.


 


MISTERI


La nave dei veleni


di Andrea Palladino - CETRARO (COSENZA)


 


È stata avvistata a 20 miglia dal porto di Cetraro, nel Tirreno calabrese. Oggi l'immersione per avere la conferma che si tratta della Cunsky, «nave a perdere» con 120 fusti di scorie radioattive affondata dalla 'ndrangheta. La prima prova dopo 20 anni di sospetti, denunce e omertà

«Sembra un fantasma, il primo di tanti, che oggi prende corpo». È un magistrato con i piedi saldamente per terra Bruno Giordano. Da meno di un anno dirige la Procura di Paola, con soli due sostituti - contro i sei previsti - e fascicoli che pesano. Ma oggi è quasi emozionato, aspetta con ansia la chiamata dal battello che l'assessorato all'ambiente della regione Calabria gli ha dato per ridare corpo a quel fantasma. Per ora dalla Procura confermano che gli strumenti hanno individuato senza ombra di dubbio una sagoma, di forma semicircolare, la cui immagine è assolutamente compatibile con lo scafo di una nave. Un relitto affondato a venti miglia nautiche al largo del porto di Cetraro, a una trentina di chilometri da Paola, su un fondo sabbioso a 483 metri di profondità. Un'ombra che da qualche mese insegue il procuratore Giordano, arrivato qui dagli uffici giudiziari di Reggio Calabria, abituato ad inchieste di 'ndrangheta, a pentiti dal gioco sottile, a killer spietati. Una "sagoma" che molto probabilmente appartiene ad una delle decine di navi a perdere, le carrette lanciate nel Tirreno e nei mari africani con migliaia di bidoni di rifiuti pericolosissimi, radioattivi, scorie della peggiore industria del nord Italia. Navi sparite dai registri navali, che per quasi vent'anni sono state cercate e, finora, mai trovate.


Il piccolo robot guidato da un lungo cavo giallo sta scendendo in queste ore sul fondale, per ridare un nome a quell'ombra intravista a fine aprile dai ricercatori della Regione Calabria. Viene calato da un battello che normalmente si occupa di ricerche archeologiche, di anfore e navi romane. Dallo schermo il fantasma inizia a riprendere un volto. Già l'altro ieri un particolare sonar calato molto vicino al fondale aveva iniziato a disegnare i primi tratti: si vede la prua, la poppa, si legge quasi distintamente lo scafo, si può misurare la lunghezza, pari a un campo di calcio, circa 110-120 metri, con una larghezza di 20. Ora i tecnici della regione - che testardamente l'assessore regionale all'ambiente Greco ha messo a disposizione del Procuratore Bruno Giordano - attendono che il mare sia perfettamente calmo per calare il piccolo robot. E quando l'obiettivo manderà le immagini sul ponte di comando si potrà avere la conferma ultima sull'identità del relitto.


È un pezzo di verità che sta affiorando dal mare calabrese. Ed è probabilmente il tassello chiave della lunga e complessa storia delle navi dei veleni che dalla metà degli anni '80 fino ad almeno il 1993 nessuno ha potuto raccontare fino in fondo. Alcuni nomi sono noti, come la Zanoobia, i cui rifiuti si sospetta siano in parte finiti nella discarica di Borgo Montello, vicino Latina. O come la Rigel, la prima nave di cui si ha notizia certa, affondata al largo di capo Spartivento, nello Ionio calabrese, il 21 settembre 1987, o come la Jolly Rosso, incappata in una sorta di incidente di percorso e arenata a una sessantina di chilometri a sud da Cetraro, sulla spiaggia di Formiciche, ad Amantea. Sono nomi di vascelli - che secondo alcune fonti sarebbero almeno una quarantina - destinati a trasportare rifiuti tossici e nucleari verso i paesi africani, come la Somalia, o ad essere affondate al largo delle coste meno controllate, come quelle calabresi. Era il sistema di gestione dei peggiori rifiuti che molte industrie avevano adottato per almeno un decennio, prima che si aprissero le discariche abusive dei casalesi in Campania. Un sistema che è stato possibile coprire grazie a complicità di altissimo livello, un vero e proprio network - come lo chiamò Greenpeace - fatto di faccendieri, pezzi dei servizi segreti, trafficanti d'armi e cosche della 'ndrangheta calabrese. E se fino ad oggi della questione se ne sono occupati qualche decina di Procure, almeno due commissioni parlamentari (quella sui rifiuti e quella sulla morte di Ilaria Alpi), diversi investigatori e le principali associazioni ambientaliste italiane, mancava la prova principe, ovvero un "corpo", un "cadavere". I tanti depistaggi avevano infatti impedito di ritrovare almeno una delle navi a perdere. Nel caso della Rigel, ad esempio, le coordinate fornite agli assicuratori dopo l'affondamento non corrispondevano. O, in altri casi, le navi che tanti testimoni raccontavano essere state affondate risultavano, almeno sulla carta, rottamate.


A parlare per primo del relitto ritrovato al largo di Cetraro è stato un collaboratore di giustizia legato alla 'ndrangheta. È Francesco Fonti, 52 anni, che raccontò nel 2006 di come avesse organizzato l'affondamento della "Cunsky", al largo della costa calabra. Secondo il suo racconto il principale locale di 'ndrangheta della zona costiera tra Paola e Cetraro aveva trasportato a bordo della nave l'esplosivo necessario all'affondamento. La "Cunsky", secondo il suo racconto, conteneva 120 fusti di scorie radioattive. Subito dopo il racconto di Fonti l'Arpacal si è messa silenziosamente alla ricerca del relitto. Quando è apparsa una sagoma sul limite delle acque territoriali al largo di Cetraro subito è scattata l'attenzione della Procura di Paola. «Devo ringraziare il coraggio e la determinazione dell'assessore regionale Greco - ha riconosciuto il procuratore Bruno Giordano - che è stato essenziale per la ricerca del relitto». Ed è curioso constatare l'assenza ingiustificata della Marina militare, che fino ad ora non ha fornito nessun supporto alla ricerca.


«Appena avremo le fotografie del relitto - ha continuato il Procuratore di Paola - potremmo avere la certezza che la sagoma individuata sia una nave, certezza che ancora non possiamo avere». Una prudenza più che doverosa quella del procuratore Bruno Giordano, visto che le precedenti inchieste si sono arenate di fronte a muri di gomma o depistaggi quasi invisibili.

Questa mattina - mare permettendo - i tecnici regionali cercheranno di riportare in Procura l'immagine del relitto. È il vero tesoro che il Tirreno calabrese potrà restituire, riaffermando verità negate per anni e ricostruendo un pezzo della storia nascosta del nostro paese.


il manifesto (11 settembre 2009)


 




IL PENTITO


«Così abbiamo affondato tre imbarcazioni con le scorie»


«Io stesso mi sono occupato di affondare navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Nel settore avevo stretto rapporti nei primi anni '80 con la grande società di navigazione privata Ignazio Messina, di cui avevo incontrato un emissario con il boss Paolo De Stefano di Reggio Calabria. Ci siamo visti in una pasticceria del viale San Martino a Messina, dove abbiamo parlato della disponibilità di fornire alla famiglia di San Luca navi per eventuali traffici illeciti. Fu assicurato che non ci sarebbero stati problemi, e infatti in seguito è successo. Per la precisione nel 1992, quando nell'arco di un paio di settimane abbiamo affondato tre navi indicate dalla società Messina: nell'ordine la Yvonne A, la Cunski e la Voriais Sporadais. La Ignazio Messina contattò la famiglia di San Luca e si accordò con Giuseppe Giorgi alla metà di ottobre. Giorgi venne a trovarmi a Milano, dove abitavo in quel periodo, e ci vedemmo al bar New Mexico di Corso Buenos Aires per organizzare l'operazione per tutte le navi. La Yvonne A, ci disse la Ignazio Messina, trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunski 120 bidoni di scorie radioattive e la Voriais Sporadais 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive. Ci informò anche che le imbarcazioni erano tutte al largo della costa calabrese in corrispondenza di Cetraro, provincia di Cosenza. lo e Giorgi andammo a Cetraro e prendemmo accordi con un esponente della famiglia di ndrangheta Muto, al quale chiedemmo manodopera. Ci mettemmo in contatto con i capitani delle navi tramite baracchino e demmo disposizione a ciascuno di essi nell'arco di una quindicina di giorni di muoversi. La Yvonne A andò per prima al largo di Maratea, la Cunski si spostò poi in acque internazionali in corrispondenza di Cetraro e la Voriais Sporadais la inviammo per ultima al largo di Genzano. Poi facemmo partire tre pescherecci forniti dalla famiglia Muto e ognuno di questi raggiunse le tre navi per piazzare candelotti di dinamite e farle affondare, caricando gli equipaggi per portarli a riva. Gli uomini recuperati sono stati messi su treni in direzione nord Italia. Finito tutto, io tornai a Milano, mentre Giuseppe Giorni andò a prendere dalla Ignazio Messina i 150 milioni di lire per nave che erano stati concordati. So per certo che molti altri affondamenti avvennero in quel periodo, almeno una trentina, organizzati da altre famiglie, ma non me ne occupai in prima persona». (dalla deposizione del pentito Francesco Fonti)


il manifesto (11 settembre 2009)


 


INCHIESTE Da Amantea a Bosaso, Somalia


Da Ilaria Alpi alla Rosso, il filo nero delle scorie


di A. Pal. - CETRARO (COSENZA)


 


C'è un filo rosso che lega la costa tra Cetraro e Amantea - in provincia di Cosenza - con la strada per Bosaso, in Somalia, dove persero la vita Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Una scia di verità nascoste per anni, di depistaggi, di documenti svaniti nel nulla, di trafficanti di armi che utilizzavano la loro rete di contatti per far sparire i peggiori rifiuti. Delle navi dei veleni si era occupata anche la commissione sulla morte in Somalia della giornalista e dell'operatore del Tg3, guidata dall'avvocato Taormina e, in parte, la commissione bicamerale sui rifiuti. Una pista investigativa che era nata proprio sulla riva di Amantea, dove il 14 dicembre del 1990 si era insabbiata la nave Rosso. Prima dell'ultimo viaggio aveva cambiato il nome, da Rosso a Jolly Rosso, visto che nell'ambiente della marina mercantile era stata associata ai tanti viaggi carica di veleni in giro per il mediterraneo. Era destinata - molto probabilmente - ad essere affondata, come la Rigel e Cunsky, il relitto che i tecnici della Regione Calabria e della Procura di Paola stanno individuando a largo di Cetrara. L'operazione però incontrò degli intoppi. I marinai qualche ora prima dell'insabbiamento chiesero aiuto e vennero salvati dagli elicotteri della Guardia costiera. La nave rimase senza governo, imbarcando acqua e si adagiò sulla riva della spiaggia di Formiciche, a sud di Amantea.


Nel 1995 il maresciallo dei carabinieri Nicolò Moschitta - che collaborava a un'indagine sulle navi dei veleni dell'allora pm di Reggio Calabria Neri - iniziò ad interessarsi dello spiaggiamento della Jolly Rosso. «Ci occupavamo di quella nave - ha raccontato il 19 novembre del 2004 alla commissione bicamerale sui rifiuti - perché eravamo venuti a conoscenza che a bordo erano state ritrovate delle carte che sembravano progetti, un programma, addirittura, delle battaglie navali». Carte identiche a quelle che erano state ritrovate a Cravasco di Pavia nella casa di un ingegnere ritenuto esperto di traffici di rifiuti, Giorgio Comerio. «Avevamo scoperto che questa persona - continua il racconto del maresciallo Moschitta - aveva progettato l'inabissamento in mare di rifiuti radioattivi attraverso penetratori che si dovevano depositare, secondo la sua tecnica, nei fondali marini». Il progetto aveva la sigla Odm - Oceanic Disposal Management - e, secondo le indagini dell'epoca, derivava da un progetto europeo degli anni '80 bloccato dopo Chernobyl. Secondo Moschitta Comerio aveva stretto accordi con diversi paesi africani, tra i quali la Somalia. E nella sua casa, in una cartella nominata "Somalia", i carabinieri trovarono copia del certificato di morte di Ilaria Alpi, poi sparito dalle carte processuali. «Quando ero già in pensione - spiega Moschitta - lessi un'intervista con la figlia del sindaco di Mogadiscio, la quale disse che Ilaria Alpi si stava occupando in quel momento di inabissamento in mare di rifiuti nucleari». Ovvero il progetto di Giorgio Comerio e la storia delle navi a perdere, che ieri è riaffiorata al largo delle coste calabresi.


il manifesto (11 settembre 2009)


 


 


COMMENTO   |   di Gianni Mattioli, Massimo Scalia


Allarme scorie


Lo scoop del manifesto riporta a galla, è il caso di dirlo, l'annosa vicenda delle navi dei veleni, delle "carrette" a perdere che "armatori" tanto criminali quanto astuti facevano affondare, a partire dagli anni '80, attorno alle coste italiane, soprattutto a sud, per smaltire rifiuti tossici o addirittura radioattivi a costo zero invece che a quelli, elevati, previsti. Di più, la perdita delle carrette affondate veniva risarcita dalle case assicuratrici. Nessuna meraviglia quindi se furono i Lloyds di Londra tra i primi a denunciare 39 affondamenti presso le coste italiane.

Nonostante l'impegno della Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti ("Ecomafie") che appoggiò con determinazione l'azione delle procure più sensibili e attente alla questione, non si cavò un ragno da un buco, incluse le ricerche fatte espletare dall'Anpa per la "Rigel", affondata nel 1987 in prossimità di capo Spartivento nel sud della Calabria (non si trovò nulla: forse non fu felice la scelta della società operativa cui venne affidata la ricerca).


Si capì subito che il traffico di rifiuti pericolosi aveva alte complicità, si ammantava di progetti "internazionali" quali l'Oceanic Disposal Management di Giorgio Comerio, che intendeva inabissare nei fondali più scoscesi - tipo quelli della Calabria, ma non solo - i "penetratori", cioè dei contenitori ogivali carichi di scorie tossiche e radioattive. Il traffico attraversava tutto il Mediterraneo, aveva superato lo stretto di Suez per raggiungere le coste della Somalia e la "Ecomafie" fu la prima sede istituzionale a ufficializzare l'ipotesi della waste connection - armi ai signori della guerra somali in cambio di territorio per lo smaltimento dei rifiuti tossici - alla base dell'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che attendono ancora giustizia.

Oggi la solerzia di una procura e le precise indicazioni di un pentito cominciano a togliere veli a una verità che era rimasta indimostrata. Ma in quale contesto avviene questo "svelamento"?

Le ricerche del robot a largo di Cetraro avvengono non troppo lontano dalla "collina del Cesio 137", ritornata alla ribalta pochi giorni fa. E viene fuori l'immagine di un Paese in cui la labilità dei controlli è troppo spesso un argine immaginario all'incosciente avidità di ditte e operatori, che si sono storicamente avvalsi della criminalità organizzata, fossero i Casalesi o la 'ndrangheta, per smaltire rifiuti di ogni genere. Si scorge sempre più corposa la minaccia di contaminazioni radioattive in territori già lesi da una loro fragilità di fondo, dal disboscamento selvaggio, da un abusivismo demenziale. Un Paese vulnerato e vulnerabile dove "garantire la sicurezza" è un obiettivo che non riguarda solo la violenza "metropolitana" e non, ma addirittura la capacità e la volontà di assicurare almeno quella fisica. Un Paese che, a proposito di radioattività, non ha ancora un deposito per i rifiuti di "seconda categoria", quelli più gestibili, per colpa di un governo che, proprio col piglio militaresco usato con il decreto Scanzano (novembre 2003) rivelò una vena autoritaria e al tempo stesso fallimentare rispetto alla soluzione del problema.

Un governo che si fa vanto del nucleare e marcia imperturbabile, in una direzione reazionaria, nel senso più proprio della parola, rispetto alla politica dei tre 20% della Ue, divenuta riferimento per Obama e la stessa Cina.


Fa rabbrividire che si possa affrontare il nucleare e il suo complesso ciclo nello stesso modo con cui si acquisisce il titolo di miglior premier degli ultimi 150 anni. Affronti almeno Berlusconi, al suo quarto governo, la gestione delle scorie del nucleare, assai modesto, che si è fatto da noi.

Mentre Scajola va avanti intrepido, fa annusare la mappa dei siti che gli hanno passato Enel e Edf e propone: perché no una centrale atomica a Termini Imerese? Si potrebbe pensare a una riconversione industriale e occupazionale dell'area. Magari trova anche qualche sindacalista disposto a credergli.


il manifesto (12 settembre 2009)


 


SUL LUOGO DEL RELITTO


di Andrea Palladino - AMANTEA (COSENZA)


L'eredità di morte della Jolly Rosso


 


Temperatura del suolo più alta di sei gradi, una macchia rossa visibile dai satelliti, radioattività sei volte più elevata del normale. E tante morti di tumore. Accade ad Amantea, perla della Calabria. Dove il 14 dicembre del '90 si arenò una nave dei veleni. E dove ora si sospetta siano sepolti i rifiuti nucleari. Mentre in mare si cercano le scorie affondate dalla 'ndrangheta

Il vicolo stretto che sale nel centro storico di Amantea si apre, dopo alcune curve, sulla spettacolare visione del Tirreno. Il municipio - un edificio ottocentesco - ha le finestre spalancate sulla vegetazione mediterranea, che scende fino alla spiaggia. Al primo piano oggi non c'è un sindaco, ma una commissione prefettizia, chiamata ad amministrare questo paese di 13 mila abitanti. Nella segreteria i funzionari, tra una pratica e l'altra, sfogliano gli atti della commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti che il 19 novembre del 2004 si è occupata dello spiaggiamento della nave dei veleni, la Jolly Rosso. Leggono, riga dopo riga, il racconto di chi ha condotto per diciannove anni indagini complesse, che hanno portato gli investigatori lontano, fino alla Somalia, sulle tracce dell'ultima inchiesta di Ilaria Alpi. Scorrono le dichiarazioni degli investigatori, che si sono trovati davanti personaggi dello spessore di Giorgio Comerio, l'ingegnere che vendeva siluri per inabissare in mare i rifiuti radioattivi. Vogliono capire, vorrebbero che qualcuno riuscisse a spiegare le tante morti per tumore della città chiamata, tempo addietro, la perla della Calabria. «Io sono l'unica sopravvissuta della mia famiglia», racconta una donna, sentendo la necessità di sottolineare i perché che girano nelle vie di Amantea. «Anche noi abbiamo avuto dei morti tra i familiari - fanno eco altri funzionari - e quando andiamo all'ospedale di Cosenza per accompagnare qualcuno, ci sentiamo dire "un altro paziente da Amantea"».


Quello che molte autorità hanno negato dal 14 dicembre del 1990 - quando la nave Jolly Rosso si arenò sulla spiaggia di Formiciche, poco a sud dal centro cittadino - oggi è divenuta una verità incontrovertibile. Una cava dismessa, a pochi chilometri dalla spiaggia, sulla strada che sale verso Serra D'Aiello, contiene residui nucleari non naturali, che provocano un aumento della temperatura del suolo di circa sei gradi. Una macchia rossa visibile anche dai satelliti, dove gli strumenti dei tecnici dell'Arpacal e dei Vigili del Fuoco hanno segnato un valore di radioattività fino a sei volte superiore ai valori di fondo normalmente presenti nella zona. «I tecnici ci hanno spiegato - racconta il procuratore di Paola Bruno Giordano - che si tratta di radionuclidi non presenti in natura, frutto cioè dell'industria nucleare». Secondo quanto hanno ricostruito fino ad oggi i tecnici inviati dall'assessore regionale all'ambiente Silvestro Greco, il materiale radioattivo sarebbe interrato ad una profondità di circa trenta metri. La presenza, dunque, di radionuclidi di Cesio 137 a quella profondità non sarebbe dovuta ai residui di Chernobyl, che, ovviamente, sono sparsi solo in superficie. Sarebbe dunque questa cava - distante pochissimi chilometri d'area dalla città di Amantea - una delle origini dell'alto tasso di tumori. Quella macchia - larga pochi metri - è ora un disastro ambientale che non potrà essere risolto solo dall'assessore Greco, o dalla Procura di Paola. Dal ministero dell'ambiente, che è stato già ampiamente informato sul ritrovamento, non è per ora arrivata una risposta concreta. Ma la presenza di sostanze radioattive vicino ad Amantea non è solo un brutto grattacapo per le autorità ambientali. È soprattutto la conferma che in questa terra i traffici di rifiuti nucleari e tossico-nocivi sono avvenuti. Non una legenda metropolitana, come qualcuno ancora oggi si ostina a sostenere. Ed ora c'è un timore diffuso, che appare immediatamente ascoltando i racconti sottovoce delle persone. Pochi volevano ascoltare le denunce del comitato di Amantea, intitolato a Natale De Grazia, il capitano della marina morto misteriosamente mentre indagava sulle navi dei veleni. Ragazzi che furono ascoltati con attenzione e nella commissione sui rifiuti, dove - già nel 2004 - chiedevano verità e giustizia, ma considerati spesso delle Cassandre nel loro paese. Oggi continuano a riunirsi, a documentare la vicenda della Jolly Rosso, di quel vascello arrivato per caso sulla spiaggia che li ha visti crescere.

La cava con il materiale radioattivo si trova a 300 metri dal greto del fiume Oliva - in una zona chiamata Foresta - dove per diversi anni gli inquirenti di Paola avevano cercato, inutilmente, il carico della nave Jolly Rosso. Diverse voci, mezze testimonianze e qualche documento preparato dai pochi ostinati investigatori che hanno studiato le migliaia di pagine dell'inchiesta sulle navi dei veleni, portavano verso la valle del fiume Oliva. Ma le scorie radioattive sembravano sparire nel nulla. Nel fiume si era trovato di tutto, metalli pesanti e veleni pericolosissimi, a dimostrazione che la costa calabra è uno sversatoio usato abbondantemente dalle ecomafie. Proprio qualche mese fa gli stessi tecnici che hanno rilevato le radiazioni nella cava, avevano scoperto un sarcofago di cemento vicino alla briglia del fiume Oliva. Una volta effettuato il carotaggio, all'interno sono stati prelevati campioni di mercurio e di altri resti dell'industria chimica. Un lavoro incredibile, quello delle mafie ambientali in Calabria, fatto con cura, organizzazione.


Nella costa tra Lametia Terme e Cetraro si percepisce una sorta di cappa plumbea quando si cerca di parlare di rifiuti e di 'ndrangheta. Le persone muoiono ma non parlano. Arrivano in Procura sapendo che ormai hanno pochi mesi di vita e tra le righe fanno capire di sapere. Ma poi davanti ai verbali rimangono muti, silenziosi, e ritrattano. Le navi dei veleni, i vascelli a perdere mandati qui per nascondere nel mare gli scarti industriali che nessuno voleva spaventano ancora. È meglio morire in silenzio, nella costa di Amantea, che tradire un segreto che dura dal 14 dicembre del 1990.


il manifesto (12 settembre 2009)


 


 


CETRARO Un naufragio mai dichiarato


Quella nave fantasma sul fondo del Tirreno


di A.Pal. - CETRARO (COSENZA)


 


Il piccolo robot Rav che dovrà filmare il relitto disegnato dai sonar a 20 miglia nautiche al largo del porto di Cetraro è rimasto fermo sul ponte della nave dell'assessorato regionale all'ambiente anche ieri. Il mare era troppo agitato per mantenerlo stabile, a 483 metri di profondità, dove risulta adagiato un oggetto che ha tutta l'aria di essere una delle navi dei veleni scomparse nel mediterraneo tra gli anni '80 e '90. Un relitto lungo 110-120 metri e largo 20, con l'inconfondibile forma di uno scafo rovesciato, adagiato su un fondale sabbioso.

«Aspetto le immagini per poter affermare con certezza che si tratti di una nave», spiegava anche ieri il procuratore Bruno Giordano. Tanta prudenza per mantenere l'indagine che si sta riaprendo sulle "navi a perdere" salda su elementi oggettivi e incontrovertibili. Troppi depistaggi e interessi inconfessabili - che hanno fatto naufragare le precedenti inchieste - richiedono una dose supplementare di prudenza.


Questa mattina la nave Copernaut Franca - che effettua le ricerche, con i fondi dell'assessorato regionale all'ambiente - ripartirà, per tentare l'operazione di documentazione video. «Continueremo ad oltranza - ha spiegato l'assessore Silvestro Greco, che testardamente sta supportando la Procura di Paola - fino a quando non avremo le immagini del relitto». Greco è un biologo marino, un ricercatore calabrese che ama profondamente il Tirreno. La persona con la giusta sensibilità e competenza che questa inchiesta aspettava.


La posizione del relitto corrisponde esattamente con il racconto del pentito della 'ndrangheta - legato al clan Muto - Francesco Fonti. Fu lui che nel 2006 raccontò per primo di tre navi affondate al largo della costa cosentina, cariche di rifiuti tossici e radioattivi. Secondo il suo racconto la forma apparsa sui sonar della Copernaut Franca sarebbe lo scafo della Cunsky, vascello adibito al trasporto. Un naufragio in realtà mai dichiarato. La Capitaneria di Porto ha spiegato che nella zona al largo di Cetraro non risultano adagiati battelli. Si tratta, dunque, di una presenza fantasma, mai registrata sul Rina, il registro navale italiano, o nei database dei Lloyd, gli assicuratori delle navi mercantili. Lo stesso nome Cunsky è praticamente introvabile negli archivi dei mercantili, anche se la sua esistenza non è stata finora smentita dalla Marina o dai principali armatori. La documentazione fotografica del relitto - che sta per arrivare sul tavolo del procuratore Bruno Giordano - è dunque il passo fondamentale per poter riaprire le inchieste sulle navi dei veleni, i mercantili "a perdere" che per almeno un decennio sono stati volutamente affondati con a bordo stipati rifiuti pericolosi. Un traffico con un valore stimato enorme, considerando che lo smaltimento dei 10 mila fusti della nave Zanoobia - che sbarcò a Genova nel maggio del 1988 - costò allo stato italiano circa 250 miliardi di lire. Cifre che salgono ulteriormente con i premi assicurativi che sarebbero stati pagati agli armatori.


il manifesto (12 settembre 2009)


 


 




LA NAVE


Naufragio con archiviazione


 


La Jolly Rosso era stata noleggiata dal governo italiano per andare a recuperare in Libano 9532 fusti di rifiuti tossici nocivi esportate in quel luogo illegalmente da aziende italiane. È restata in disarmo nel porto di La Spezia dal 18 gennaio 1989 al 7 dicembre 1990. Il 14 dicembre del 1990 alle 7.55 della mattina la nave lancia il mayday nave a 15 chilometri al largo della costa di Falerna, in Calabria. Alle 10 e un quarto il capitano e gli altri 15 membri dell'equipaggio vengono recuperati. La nave non affonda al largo ma viene trascinata dalla corrente verso riva, sulla spiaggia Formiciche di Amantea Era salpata dal porto di la Spezia il 4 dicembre, aveva fatto scalo a Napoli e poi a Malta. Il 22 dicembre 1990 la società Messina affida alla società Siciliana Offshore e Calabria navigazione le operazioni di recupero del combustibile sparso. Operazione che secondo i carabinieri termina il 29 gennaio 1991. A gennaio 1991 il Gip Fiordalisi (lo stesso dell'inchiesta sul Sud ribelle) archivia tutto. La demolizione della nave è completata a giugno 1991.


il manifesto (12 settembre 2009)


 


 


IL GIALLO


La morte dell'investigatore De Grazia, nel '95


«L'inchiesta fu funestata dalla morte di un investigatore, il capitano di corvetta Natale De Grazia. L'avevo salutato al telefono proprio il giorno della sua morte, il 2 dicembre 1995. Stava andando a fare delle verifiche sui registri nautici e accertamenti sull'affondamento di alcune di quelle navi sospette. Era in viaggio con dei colleghi. Dopo cena, si erano rimessi in macchina, diretti a La Spezia. De Grazia improvvisamente ha reclinato il capo. Né io né il collega Neri abbiamo mai avuto informazioni precise sui dati necroscopici. De Grazia aveva 39 anni e non aveva patologie. La mia intima convinzione è che l'abbiano ucciso: era un ufficiale davvero in gamba, in procinto di scovare prove sull'affondamento delle navi». Così il procuratore Nicola Pace che condusse l'inchiesta sulla Jolly Rosso.


il manifesto (12 settembre 2009)


 


 


EDITORIALE   |   LA SCOPERTA


Un fantasma che riemerge dal passato


di Andrea Palladino - CETRARO (COSENZA)


 


Erano voci, quasi leggende, o fantasmi, come ha raccontato al manifesto il Procuratore di Paola Bruno Giordano, che da cinque mesi si era messo con ostinazione alla caccia della nave fantasma, della prima nave dei veleni ritrovata. Poi, piano piano, le ombre che i sonar della Copernaut Franca - la nave messa a disposizione dall'assessore all'ambiente Silvestro Greco - hanno preso una forma, divenendo sempre più definite, contornate. I primi dati arrivati sul tavolo della Procura riguardavano le misure, enormi: 110-120 metri di lunghezza per 20 metri di larghezza. Dati che, insieme alla posizione del relitto, confermavano il racconto fatto da Francesco Fonti, il pentito di 'ndrangheta che nel 2006 aveva confessato di aver fatto parte di una organizzazione pagata per far saltare in aria e inabissare ben tre navi con scorie tossiche e radioattive. Poi nel primo pomeriggio di ieri dal ponte della Copernaut Franca è partito il segnale, la comunicazione che il robot Rav aveva filmato un lungo scafo di una nave mercantile, con un largo squarcio a prua e un oggetto - che sembra un bidone - schiacciato sul fianco. Il procuratore Bruno Giordano era quasi emozionato al telefono. Non ama i teoremi e ne fa un vanto investigativo. Tanti anni di Dda e inchieste sui peggiori omicidi di 'ndrangheta hanno rafforzato il suo piglio di giudice con i piedi per terra, concreto, abituato a parlare solo sui fatti incontrovertibili. Ed era quella immagine, quel filmato che aspettava per avere la certezza definitiva di aver colto il bersaglio.


La conferma ufficiale del ritrovamento del relitto riapre la pagina più oscura del traffico di veleni che l'Italia ha esportato, nascosto, interrato e inabissato per almeno un decennio. I tanti depistaggi, le morti di giornalisti, come Ilaria Alpi - che in Somalia inseguiva i fantasmi dei traffici di armi e rifiuti - e di investigatori, come il capitano di corvetta Natale De Grazia - che pagò con una morte mai spiegata la sua ostinata ricerca della verità - non sono alla fine riusciti a nascondere il corpo del delitto, lo scafo di una delle navi dei veleni.

Ora rimane da stabilire con certezza il nome della nave, il carico, l'armatore e chi organizzò quell'ultimo viaggio. Il primo dato certo è che il naufragio non esiste sui registri delle Capitanerie di porto. Per lo stato al largo di Cetraro non è mai affondato alcun vascello mercantile. E come nei migliori gialli gli investigatori dovranno dare ora un nome al cadavere. Il punto di partenza per riaprire e analizzare diciassette anni di fascicoli archiviati è la dichiarazione del pentito Francesco Fonti. Fu lui per primo - ascoltato dalla Dda calabrese nel 2006 - a raccontare di tre navi che la 'ndrangheta ha fatto affondare nelle acque calabresi. Una di queste era «la Cunski, che si spostò in acque internazionali - ricorda Fonti - in corrispondenza di Cetraro». Ovvero nel luogo dove il Rav calato dalla nave Copernaut Franca ha filmato il relitto.


Riscontri nel registro navale


Fino ad oggi il racconto del collaboratore di giustizia era stato ritenuto inaffidabile. Ma gli elementi di riscontro che il manifesto è in oggi in grado di ricostruire sono tanti. La Cunski era una nave da cargo registrata nel 1956, con bandiera britannica. Da allora ha cambiato nome quattro volte: è uscita dai cantieri come Lottinge, nel 1974 diventa Samantha M., nel 1975 Cunski e poco prima di affondare - nel 1991 - viene rinominata Shahinaz.

Sul registro navale la "Lottinge-Samantha-Cunski-Shahinaz" risulta rottamata sulla spiaggia di Alang, in India, nel distretto di Bhavnagar, il 23 gennaio del 1992. Il luogo indicato come destinazione finale è particolare. Alang è un gigantesco cimitero di navi cargo, dove centinaia di uomini, donne e bambini smontano con mezzi di fortuna i relitti portati qui dagli armatori. Impossibile, cioè, avere un riscontro certo dell'avvenuto smantellamento, a parte i supporti solo cartacei.


I dati della Cunski - presenti sul registro navale - sono incredibilmente corrispondenti con il profilo disegnato dal sonar. La lunghezza della nave è di 116,3 metri, misura compatibile con il dato raccolto di 110-120 metri. Ed anche la data della presunta rottamazione - gennaio del 1992 - combacia con il racconto del collaboratore, almeno nel caso della Cunski.

La storia delle navi dei veleni era iniziata ad essere conosciuta - e denunciata - tra il 1987 e il 1988. In quegli anni diverse navi partivano dai porti italiani dirette verso le coste africane e latino-americane. È il caso della Lynx, che venne respinta dal governo venezuelano dopo la verifica del carico. Ed è il caso delle navi affondate nella costa calabrese.

La via libanese


Nel 1988 in Libano le autorità ricevono una denuncia di un enorme carico di rifiuti tossici venuti dall'Italia un anno prima. Fu considerato il principale scandalo ambientale degli anni '80, tanto da servire come stimolo per la definizione della convenzione di Basilea del 1989 che proibisce l'esportazione incontrollata dei rifiuti. Il carico, che era stato organizzato dalla società di Opera, vicino Milano, Jelly Wax, diretta da Giorgio Pent era composto - secondo un report di Greenpeace dell'11 maggio 1995 - da 15.800 barili e 20 container, con pesticidi, esplosivi, solventi, farmaci scaduti e metalli pesanti. La Jelly Wax era una vera esperta in questo tipo di affari ed aveva organizzato nello stesso anno il viaggio della Lynx, facendo da intermediario con decine di industrie chimiche del nord Italia. Un modo per ridurre oltremodo i costi di smaltimento, spedendo carichi pericolosi verso paesi che si pensava li accettassero senza andare per il sottile.


L'operazione libanese del 1988 in realtà non andò in porto. Il governo italiano venne chiamato dalle autorità locali e di fatto costretto a riprendersi il carico indesiderato. Il 23 agosto arriva a Beirut una delegazione di esperti, guidata da Cesarina Ferruzzi - rappresentante all'epoca della società Mont.eco del gruppo Montedison, ed oggi presidente della Anida, associazione di Confindustria delle imprese di servizi ambientali - per organizzare il viaggio di ritorno delle scorie portate in Libano. Dopo pochi giorni attracca nel porto di Beirut «il mercantile jugoslavo Cunski - raccontò ai giornalisti Cesarina Ferruzzi - con a bordo materiali e attrezzature per la bonifica». Fu dunque la Cunski una delle navi coinvolte nel recupero delle scorie.

Nel recupero, però, risultarono coinvolte anche altre navi, secondo gli studi effettuati da Greenpeace: la Jolly Rosso - poi arenatasi al largo di Amantea - e le altre due navi citate dal collaboratore Francesco Fonti, la Voriais Sporadais e la Yvonne.


Le accuse di Greenpeace vennero smentite dal governo italiano nel 1995. Per l'allora ambasciatore italiano Carlo Calia, l'unica nave coinvolta era la Jolly Rosso. Ma sembrano oggi esistere altri indizi che rafforzerebbero l'ipotesi del coinvolgimento delle altre navi. Un documento dell'assemblea generale delle Nazioni unite del 18 luglio 1989 riporta, ad esempio, una denuncia venuta dalle autorità egiziane sull'affondamento della nave "Yvon" nel mediterraneo, dopo aver lasciato il porto libanese con un carico di rifiuti. Lo stesso coinvolgimento della Cunski nell'operazione di bonifica era stato affermato - come già detto - dagli esperti italiani giunti a Beirut nell'agosto del 1988.

Anni di depistaggi


È difficile dunque oggi ricostruire con assoluta certezza quello che è stato un vero e proprio giallo internazionale, che ha coinvolto il nostro paese per un intero decennio. L'Italia venne additata dalle organizzazioni ecologiste - come il Wwf e Greenpeace - come un paese canaglia dal punto di vista ambientale.


L'anno della svolta fu probabilmente il 1989, quando venne firmato l'accordo per bloccare i trasporti internazionali di rifiuti. Probabilmente la via degli affondamenti delle navi nel mediterraneo - per poter occultare le scorie tossiche e radioattive - si aprì dopo questo accordo, che rendeva difficile e rischioso lo sbarco dei rifiuti nei paesi africani. L'organizzazione delle navi a perdere, l'occultamento del carico - magari falsificando le carte di bordo - la manomissione dei registri navali per nascondere gli affondamenti e la fitta attività di disinformazione e di depistaggio dovevano avere necessariamente l'appoggio di una rete di complicità di alto livello.


il manifesto (13 settembre 2009)


 


 AMANTEA

Morto mentre indagava, gli intitolano lungomare


Il lungomare di Amantea, dove si arenò la Jolly Rosso con il suo carico di morte, è stato intitolato da un comitato civico e su proposta dell'associazione Da Sud a Natale de Grazia, morto misteriosamente mentre indagava proprio sulla Jolly Rosso. Il 15 luglio scorso decine di associazioni, gruppi, comitati, artisti e semplici cittadini si sono dati in tutta Italia per riscrivere - dal basso - la toponomastica delle nostre città. Strade, piazze, stazioni, scuole sono state simbolicamente intitolate - da nord a sud - alle vittime innocenti della criminalità organizzata. E così, mentre a Reggio Calabria veniva ricordato l'impegno e il sacrifico della giornalista Ilaria Alpi, uccisa in Somalia il 20 marzo '94 insieme al cameraman Milan Hrovatin perché stava conducendo un'inchiesta giornalistica sul traffico internazionale di armi e rifiuti tossici, contemporaneamente ad Amantea veniva apposto sulla targa della piazza dedicata agli "eroi del mare" un'applicazione in cartoncino con la dicitura "Lungomare Natale De Grazia ucciso dalla 'ndrangheta e dallo Stato". Natale De Grazia, capitano di fregata in servizio presso la procura della repubblica di Reggio Calabria, morì dopo aver bevuto un caffè durante il tragitto che da Reggio Calabria l'avrebbe condotto a La Spezia per raccogliere importanti deposizioni sullo spiaggiamento della Jolly Rosso.


il manifesto (13 settembre 2009)


 


 


INTERVISTA   |   di A. Pal. - CETRARO (COSENZA)


L'ASSESSORE ALL'AMBIENTE


La regione al governo: «Vogliamo sapere dove sono le altre navi»


 


«Ora vogliamo la verità, vogliamo che il governo ci dica dove sono le altre navi». È quasi emozionato l'assessore all'Ambiente della regione Calabria, Silvestro Greco, mentre apprende la notizia del ritrovamento del relitto sui fondali marini al largo di Cetraro. E la cosa a cui tiene di più è far arrivare il ringraziamento «di tutti i calabresi» al procuratore Bruno Giordano, per aver usato «grande sensibilità» su un problema così importante per la salute pubblica.

Quanto è costata l'intera operazione?


Il costo sostenuto dall'Arpacal (agenzia regionale di protezione dell'ambiente Calabria, ndr) per l'intera operazione in mare è stato di 70.000 euro.

Davvero poco, dunque.


Le cose se si vuole si fanno. Bisogna dire però che abbiamo avuto la fortuna di intavolare un rapporto straordinario con un procuratore di grande sensibilità, il dott. Bruno Giordano, che voglio ringraziare a nome di tutti i calabresi. Ma ora come regione vogliamo la verità, vogliamo sapere dove sono le altre navi. Il governo le deve trovare, subito.

È questo che chiedete al governo?


Non solo: a terra devono fare immediatamente degli studi analizzando il suolo, l'acqua e l'aria. Non possono pensare di cavarsela sostenendo che non c'è alcun pericolo per la salute pubblica.

Ma voi qualche analisi l'avete già fatta, o no?


Abbiamo raccolto e analizzato le caratteristiche degli inquinanti in tutte le discariche normali dei comuni dell'area. Ma il sito che la procura ha individuato, dove sarebbero sotterrate le scorie radioattive, è più a nord. E io, come regione, non ho gli strumenti per intervenire.

Perché?

La competenza per i radio nuclidi non è regionale. Però come regione devo dare una risposta, immediatamente, alla popolazione. Voglio sapere cosa c'è nella nave.

Quali crede siano attualmente i rischi per la popolazione?


Non c'è un problema per farsi un bagno, e nemmeno per i pescatori. Ma potrebbe esserci una contaminazione della rete trofica (rete alimentare marina, ndr). Ora ovviamente dovranno essere fatti tutti i rilievi del caso. Deve essere chiaro, però, che se il governo non agisce lo faremo noi. Ci sostituiremo all'esecutivo, ma faremo pagare loro il conto. Non aspetteremo oltre, non possiamo lasciare la gente nella paura.


Preoccupato?

Mi preoccupa molto la storia delle navi dei veleni. Queste sostanze contaminanti possono creare un danno incalcolabile con ovvie ripercussioni su tutte le specie marine e sull'uomo.

Quali sono state le fasi di tutta l'operazione di ritrovamento della nave?

La prima impronta era stata trovata dalla procura. Io sono stato avvisato il 13 maggio scorso e il 15 ho inviato la comunicazione al ministro dell'Ambiente. Ma non so se e come il ministero si sia mosso. Quattro giorni fa è partita la nave con il sea scan sonar che ha delineato un prima impronta del relitto. A quel punto con le boe si è delimitato il campo attorno alla nave e infine è stato calato nelle profondità marine il Rov, il robot.


È stato un lavoro inconsueto, questo, per lei?


Anni fa, quando mi occupavo del coordinamento scientifico dell'Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, ndr), ho condotto un lavoro in Libano di recupero ambientale. Ma farlo in casa mia è un'altra cosa, mi fa impressione.


il manifesto (13 settembre 2009)


 


 


SCHEDA

ISTITUZIONI

1987-1992 anni sporchi: chi c'era a Palazzo Chigi


La vicenda della Cunski e delle altre navi dei veleni abbraccia un arco di tempo che va dal 1987 al 1992. A Palazzo Chigi il testimone passava di mano in mano quasi ogni anno, fermo restando la coalizione di pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli). Dopo il primo governo di Giovanni Goria (28.07.87 - 13.04.88), arriva alla presidenza del consiglio dei ministri per la prima volta Ciriaco De Mita (13.04.88 - 22.07.89), a cui succede Giulio Andreotti per il sesto governo (22.07.89 - 12.04.91) e, di seguito ma senza i repubblicani, per il settimo mandato (12.04.91- 24.04.92). Ma in tutti questi anni a dirigere il ministero dell'Ambiente c'è un solo uomo: Giorgio Ruffolo. Membro della direzione nazionale del Psi, attualmente è esponente importante del Pd. Solo con le elezioni politiche del 4 aprile 1992, quando a Palazzo Chigi arriva Giuliano Amato (28.06.'92 - 28.04.'93), l'Ambiente viene affidato prima a Carlo Ripa di Meana che si dimette nel marzo 1993 e lascia il posto a Valdo Spini. Allora esisteva anche il ministero della Marina Mercantile affidato prima a Giovanni Prandini (promosso a ministro dei lavori pubblici ma poi arrestato per tangenti nel 1992) e poi a Carlo Vizzini (dal Psdi al Pdl).


il manifesto (13 settembre 2009)


 




BRUTTA SCORIA


Cunski e altre sei navi dei veleni


di Andrea Palladino - ROMA


 


La procura di Paola conferma che il relitto avvistato al largo delle coste calabresi sarebbe quello del mercantile carico di scorie. L'ultimo nome era Shahinaz ed era stato acquistato dalla Alzira, società con sede nelle Antille. Greenpeace indica luoghi e date di altri affondamenti

Sembra avere un nome certo il relitto della nave mercantile avvistato sul fondo del Tirreno, a venti miglia nautiche (circa 38 chilometri) dal porto di Cetraro, in provincia di Cosenza. Per la Procura di Paola la probabilità che si tratti della Cunski - come anticipato venerdì da il manifesto - una nave da cargo uscita nel 1956 dai cantieri navali britannici, è estremamente alta.

Dalla prima analisi del filmato realizzato dal robot Rav emerge che la prua presenta un largo squarcio, con i lembi della lamiera rivolti verso l'esterno, segno di una probabile esplosione a bordo. «Di fianco alla nave - spiega il procuratore di Paola Bruno Giordano - sono visibili due fusti», da dove sono stati prelevati dei campioni, inviati ai laboratori di analisi.


Tutto fa dunque pensare che il relitto sia realmente la prima "nave a perdere", utilizzata per il trasporto - sola andata - di rifiuti tossici e radioattivi. L'ultimo proprietario del cargo risulta essere una società di armatori con sede a Saint Vincent, nelle Antille. Si tratta della Alzira Shipping Corporation, come risulta dagli archivi Starke-Schell Registers inglesi, una delle fonti più attendibili per ricostruire la storia di un vascello. Questa società acquistò la nave nel 1991 da un'altra compagnia, cambiando il nome da Cunski a Shahinaz. Dal registro la Cunski-Shahinaz risulta poi demolita ad Alang il 23 gennaio 1992.


I dati certi, almeno per ora, sono questi. L'identificazione definitiva e provata del relitto arriverà probabilmente nei prossimi giorni, quando saranno analizzate le tante immagini che il robot subacqueo sta ancora raccogliendo. Il passo successivo - quello più difficile - sarà quello di identificare il carico trasportato, il porto di provenienza e la società che organizzò il trasporto. La ricostruzione della catena delle responsabilità sarà il punto di partenza per iniziare a fare luce sulla stagione delle navi dei veleni.


Un mare di scorie


La Cunski - o meglio ancora, la Shahinaz - è solo una delle tante navi a perdere che a cavallo tra gli anni '80 e '90 sono state fatte affondare con carichi micidiali. Le associazioni ambientaliste - Legambiente, Greenpeace e Wwf - negli anni '90 avevano segnalato un elenco di navi sparite nel nulla. Dossier e studi consegnati alla commissione bicamerale sui rifiuti, che per diversi anni si è occupata della vicenda.


Particolarmente dettagliato era un elenco informale preparato da Greenpeace: sei navi, con relative coordinate del presunto affondamento. Si tratta della Four Star I, della Anni, la Comandante Rocio, della Euroriver, della Irini e della Marco Polo. Tutti vascelli cargo che oggi sarebbero sul fondale del Tirreno, carichi di scorie. In alcuni casi è già possibile riscontrare i dati forniti da Greenpeace con i registri navali. Il luogo di affondamento della Euroriver, ad esempio, corrisponde perfettamente con quanto venne dichiarato dagli armatori. Sarà, però, necessario verificare tutte le navi che risultano in qualche maniera coinvolte. È quello che chiede oggi la Procura di Paola e l'assessore regionale all'ambiente Greco.

Nessuna risposta è mai venuta dallo stato italiano, che ha in sostanza ignorato la questione fino ad oggi. Se alla regione Calabria sono bastati 70 mila euro e pochi giorni di ricerca per localizzare e filmare il Cunski, poco o nulla è stato fatto da parte del ministero dell'Ambiente o della marina mercantile. Nessuna spedizione, nessuna task force, nessun Rav mandato a verificare la presenza dei relitti. Solo oggi, dopo il clamore del ritrovamento, il ministro Prestigiacomo promette il supporto del governo per recuperare il Cunski, senza specificare se saranno cercati anche gli altri vascelli.


Il coinvolgimento dei governi


Il 3 agosto del 2004, dopo diverse interrogazioni e interpellanze, l'allora ministro ai rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi forniva a Montecitorio una sorta di versione ufficiale sull'intera vicenda. E sono parole pesanti: «È emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico d'armi». Un traffico che ha goduto, secondo Giovanardi, di protezioni istituzionali: «Numerosi elementi - continua il ministro - indicano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio».

Le navi a perdere sono nulla più della punta di iceberg. Oltre alle complicità istituzionali e all'azione diretta della criminalità organizzata - la manovalanza per il "lavoro sporco" - ci sono ovviamente le aziende. Si chiamano stakeholders, sono i mediatori che possiedono la logistica, la conoscenza di campo, la rete di contatti. Un nome è già ampiamente noto. È la Jelly Wax, che organizzò gran parte dei viaggi delle navi verso paesi extraeuropei come il Libano e il Venezuela. Ma all'origine della filiera ci sono soprattutto le grandi industrie, i produttori delle scorie. «Ad alimentare il mercato illecito - scriveva la commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti il 25 ottobre del 2000 - sono anche le industrie a rilevanza nazionale ed internazionale, comprese aziende a rilevante partecipazione di capitale pubblico». Industrie che hanno utilizzato la rete semiclandestina delle navi a perdere per ottenere uno «smaltimento al minor costo, senza alcun controllo sulla destinazione finale del rifiuto».


il manifesto (15 settembre 2009)


 


IL FACCENDIERE


Comerio e il network dei rifiuti nucleari


di A. Pal. – ROMA


 


La mattina del 24 settembre 1997 a Lugano, nel Canton Ticino, fu l'inizio di un brutto periodo per l'ingegner Giorgio Comerio. La sede della sua società, la Oceanic Disposal Management Inc. - registrata a Tortola, nelle Isole Vergini Britanniche - venne letteralmente assaltata dai militanti di Greenpeace, con uno striscione in tre lingue: «Stop alla mafia dei rifiuti». In mano avevano un dossier, preparato nei mesi precedenti l'azione, con il titolo eloquente di "The network".

Comerio non faceva segreto della sua principale attività. Da diversi anni proponeva a quei paesi che non riconoscevano gli ultimi accordi internazionali varati per bloccare la dispersione dei rifiuti radioattivi di entrare nel ricchissimo business dell'affondamento delle scorie. Aveva brevettato, con la sua Odm, un particolare missile che poteva essere riempito con gli scarti dell'industria nucleare e lanciato da navi attrezzate nei fondali argillosi dei mari. Sul sito - che è rimasto attivo fino a un paio d'anni fa - Comerio mostrava documenti, piani, accordi, mappe con i possibili siti. Le zone selezionate per l'inabissamento erano quasi tutte vicine alla costa africana.


I collegamenti della rete di Comerio con la questione delle navi a perdere sono molti. Sulla Jolly Rosso - la nave spiaggiata ad Amantea, che, secondo le inchieste dell'epoca, terminate con l'archiviazione, era destinata ad inabissarsi con diverse scorie - la Capitaneria di Porto trovò i progetti e le mappe della Odm. Lo stesso armatore Ignazio Messina confermò poi - davanti alla commissione bicamerale rifiuti - che nei mesi precedenti il naufragio vi era stato un contatto con Comerio. Il faccendiere - come venne definito anche dal ministro Carlo Giovanardi - aveva cercato di comprare proprio la Jolly Rosso per attrezzarla con i lanciamissili speciali della Odm. La conformazione della nave - una Ro.Ro., ovvero con l'apertura per i carico di container a poppa - si prestava particolarmente alla realizzazione dei sistemi di inabissamento delle scorie.

Secondo il dossier del 1997 di Greenpeace la Odm sarebbe stata collegata in Italia ad una rete di almeno 26 aziende. Tra queste - continua la denuncia di Greenpeace - ci sarebbero state importanti industrie italiane e internazionali, tra le quali la Castalia - società all'epoca del gruppo Iri, coinvolta nello smaltimento dei fusti della nave Zanoobia - la Termomeccanica e la Compagnie Generale des Eaux.


La gestione finanziaria della Odm, spiegava Greenpeace, era affidata ad un socio di Comerio, Filippo Dollfus, che secondo l'organizzazione ambientalista avrebbe avuto a sua volta contatti con David Mills, l'avvocato condannato per avere testimoniato il falso favorendo Silvio Berlusconi.

La risposta di Giorgio Comerio alle accuse di Greenpeace fu dura. In un documento intitolato "Il grande bluff di Greenpeace" accusò 11 attivisti di aver scassinato la porta degli uffici della Odm a Lugano, sottraendo diversi documenti. Rispetto alla rete ricostruita dal dossier, Comerio era categorico: «Nessuno aveva a che fare o ha avuto a che fare con la Odm». Ironica la sua risposta sui collegamenti con il mondo industriale italiano: «Naturalmente citavano il solito Berlusconi, presente come il prezzemolo».


I riscontri alla denuncia di Greenpeace sono in realtà molti. Lo stesso Giorgio Comerio sul sito della Odm parla di contatti con la Russia, mostra le mappe della costa africana con l'indicazione dei siti adatti al lancio dei missili con le scorie nucleari, pubblica un listino prezzi dettagliato. E per convincere i paesi amici, spiega come fare per chiudere gli accordi: il primo passo è un incontro con il ministro giusto.


il manifesto (15 settembre 2009)


 


GLI AMBIENTALISTI


Petizione on line del Wwf: «Ora bonificare l'area»


Per l'associazione all'opera «una rete ecocriminale internazionale»

«Il ritrovamento della nave a largo delle coste calabresi è solo un piccolo spaccato di quel traffico illegale su cui il Wwf richiama fin dal 1997 la necessità di indagare e che coinvolge con molta probabilità una rete internazionale ben organizzata». Anche il Wwf interviene sulla vicenda del ritrovamento della Cunski. «Per anni - afferma Michele Candotti, direttore generale del Wwf Italia - sono stati coperti traffici illeciti i cui responsabili erano ben conosciuti, ad esempio, dalla commissione bicamerale sulla gestione del ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, verità che erano e sono sotto gli occhi di tutti. Quali sono allora le coperture istituzionali che hanno garantito sinora lo svolgimento di questi traffici? Questi sono i temi che devono essere affrontati se si vuole evitare che nei mari italiani o di altre nazioni e in zone franche gestite dai vari signori della guerra vengano usati come pattumiera per i nostri rifiuti tossici di origine industriale». «Perfino all'epoca dello tsunami del 2004 - continua Candotti - che colpì i paesi del sud-est asiatico, alcune popolazioni della costa settentrionale somala vennero colpite da patologie insolite che lo stesso Unep riferiva a gravi fenomeni di inquinamento provocato dai rifiuti disseppelliti dal maremoto. Sono molte, infatti, le aree dove cercare le navi dei veleni: non solo la Calabria, ma anche la costa ionica, e nel mondo le coste dell'Africa orientale, tra cui la Somalia, e quella occidentale come la Sierra Leone, la Guinea. Anche quest'ultimo ritrovamento a Cetraro ci fa capire quanto sia pesante ancora oggi l'eredità di molte attività industriali senza controlli, a partire dalla stessa produzione di energia nucleare e quanto le scelte di oggi, soprattutto quelle energetiche, debbano essere fatte alle luce di ciò che ancora oggi affiora sotto gli occhi degli inquirenti».


Sul sito del Wwf è stata lanciata una petizione al presidente del Consiglio per chiedere di approfondire le ricerche sull'area e per avviare al più presto le operazioni di bonifica. «Qui, nel 2001, un camion proveniente da Caserta sbandò proprio in vicinanza della discarica e si ribaltò. Dal camion fuoriuscirono sacchi e liquidi tossici e la zona venne subito perimetrata per impedire a cittadini e passanti di attraversarla. Non si seppe mai cosa contenevano quei sacchi, nonostante le denunce».


il manifesto (15 settembre 2009)


 


 


 


INTERVISTA   |   di Andrea Palladino – ROMA


SOMALIA CONNECTION


«I nostri bidoni tossici a Bosaso»


 


Intervista a Francesco Fonti, il pentito della 'ndrangheta che ha fatto ritrovare il relitto della Cunski: «Abbiamo portato migliaia di fusti radioattivi in Africa. Quando arrivavamo al porto della città somala i militari italiani facevano finta di non vedere. Sono convinto che Ilaria Alpi è stata uccisa perché ha visto proprio lì cose che non doveva vedere»


Francesco Fonti - collaboratore di giustizia della 'ndrangheta - iniziò a raccontare ai magistrati antimafia l'organizzazione dei traffici dei rifiuti nel Mediterraneo e nel Corno d'Africa nel 2005. Partendo dalla sua deposizione la Procura di Paola è riuscita ad individuare il relitto della Cunski, al largo del porto di Cetraro. Fonti, però, non ha raccontato solo i viaggi delle navi a perdere nel Tirreno. Davanti alla commissione d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ha parlato anche di alcuni trasporti di armi e rifiuti verso la Somalia organizzati - a suo dire - dalla 'ndrangheta. Il pentito cita in particolare un viaggio che sarebbe avvenuto utilizzando una nave della Shifco, nome di una compagnia strettamente legata alla morte della giornalista e dell'operatore del Tg3. Riportiamo l'intervista che ci ha rilasciato così come l'abbiamo trascritta dalla registrazione telefonica.


Nel suo memoriale e in alcune deposizioni lei ha affermato che alcuni gruppi criminali calabresi avrebbero esportato rifiuti pericolosi verso paesi africani. Cosa ricorda di quel periodo?

Noi - mi riferisco alla 'ndrangheta - abbiamo portato migliaia di fusti tossici e radioattivi in Somalia. Però nessuno, con tutte le dichiarazioni che ho fatto, con tutto quello che ho presentato ha voluto approfondire.


Ha fornito elementi concreti?


Sì, anche una mappa della Somalia dove evidenziavo i posti dove erano stati allocati questi bidoni e container, ma tutti hanno negato. Addirittura sono stato convocato quando c'è stata la commissione d'inchiesta presieduta da Taormina, quella sulla morte di Ilaria Alpi. La direzione politica è stata quella di negare, negare, negare che ci fossero stati questi viaggi e questi depositi radioattivi o nocivi in Somalia. In realtà la Somalia era una pattumiera, non agivamo solo noi, venivano da tutte le parti.


La 'ndrangheta organizzava i traffici verso la Somalia?


Sì.

In che periodo?


Parliamo sempre prima del '94. Prima nell'87 e nel '92.


Nelle sue deposizioni ha parlato anche della morte di Ilaria Alpi. Perché?

L'idea che mi son fatto è stata quella che Ilaria Alpi è stata uccisa perché ha visto quello che non doveva vedere nel porto di Bosaso, precisamente lì.


Ed è importante il luogo?


Il porto di Bosaso è dove noi abbiamo fatto attraccare una nave. Allora il porto di Bosaso era particolare in quanto c'è una barriera corallina. A quei tempi era presidiata dai militari italiani. Quando arrivava qualcosa di illecito da scaricare tipo armi o rifiuti, non vedevano niente perché erano stati istruiti dai loro comandanti a girarsi dall'altra parte. In Somalia arrivavano le armi sia perché Ali Madhi oppure l'altro signore della guerra avevano sempre bisogno di armamenti nuovi. Ma anche perché transitavano per l'Eritrea, per il Kenya e arrivavano quasi tutte tra Mogadiscio e il porto di Bosaso.


L'organizzazione che gestiva le armi era anche la stessa che portava i rifiuti?


Le strutture erano sempre le stesse.


Lei partecipò direttamente all'organizzazione del trasporto?


Sì. Una nave almeno, per quello che posso dire, l'ho mandata io. Organizzai la cosa dall'Italia e questi fusti furono caricati nel porto di Livorno, in uno dei pescherecci della flotta somala che era stata regalata, da Craxi, ai somali, la Shifco. C'erano due navi partite contemporaneamente dal porto di Livorno con armi e circa un migliaio di bidoni di rifiuti di varia natura.

E quindi Ilaria Alpi, secondo lei, avrebbe visto qualcosa legato a queste navi?


Io penso più che altro a qualcosa legato a uno scarico particolare. Da qualche nave, qualcosa nello scarico è andato storto. Lei ha voluto, insieme al suo cameraman, filmare questo qualcosa che poi l'ha portata a essere presa di mira... Se non erro mi sembra che alcuni suoi appunti particolari erano spariti... Lei aveva degli appunti che sono scomparsi nel percorso della salma dalla Somalia all'Italia.


Nel 1994 vennero uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Cosa ha pensato di quell'agguato?

Ho collegato dentro di me questa situazione con i traffici dei rifiuti. Però mi ero ripromesso - anche perché ero stato condizionato da qualche personaggio - di non parlare di storie di rifiuti, ma solamente di stupefacenti.


All'epoca aveva già iniziato a collaborare...


Sì. Quando ho cominciato a collaborare con il dottor Macrì avevo un pensiero solo: scappare. Poi, conoscendo a fondo il dottor Macrì, la sua umanità, la sua correttezza, mi sono deciso e convinto a proseguire su quella strada lì. Però all'inizio la mia idea era di farmi portare in un posto e fuggire. Invece non ce l'ho fatta perché non potevo tradire le aspettative e la fiducia che mi aveva dato Macrì. Una carica di umanità che mi ha colpito molto.

Lei fino al 2005 non ha voluto parlare dei traffici di rifiuti. Perché?


Avevo avuto dal '96 in poi tre infarti, anzi quattro, più un tumore alla vescica. Purtroppo non mi sono curato, ho tralasciato la mia salute, forse anche per una sorta di punizione verso me stesso. Quando poi ho avuto le malattie, ho detto ci lascio le penne, sto morendo. Ero convinto di morire e allora ho detto tanto vale parlare di questo. Ero poi stato di nuovo contattato da un personaggio dei servizi segreti italiani che mi disse di smetterla di parlare di queste cose, lascia stare, lascia stare, diceva. Poi mi sono detto ma che lascio stare, io muoio voglio dire queste cose... E fino adesso ancora non sono morto. Nel frattempo mi sono anche operato, ho avuto un'operazione a cuore aperto.. ancora devo fare altri bypass... la mia salute è abbastanza compromessa.

Che peso ha per la 'ndrangheta - a livello economico - il traffico dei rifiuti?


Io le posso dire che negli anni in cui ero organico io, a seconda dei carichi, della pericolosità dei carichi, si andava da una cifra (in lire) di 3-4 miliardi fino anche a 30 miliardi. Cifre importanti.


il manifesto (16 settembre 2009)


 


 


COMMENTO   |   di Marco Mancassola


Le molte scorie dell'Italia che verrà


 


Racconta Alan Weisman nel suo memorabile saggio «Il mondo senza di noi» di alcuni esperti di semiologia alle prese con un problema. Il loro lavoro è quello di elaborare segnali di pericolo per delimitare aree dove vengono seppellite scorie tossiche e radioattive che rimarranno velenose, letteralmente, per centinaia di migliaia d'anni. Come rendere comprensibile il pericolo a chi verrà dopo di noi, lontanissimi discendenti che di certo comunicheranno con simboli diversi dai nostri? Come far capire loro che qualcuno, nel passato, è stato stupido ed egoista al punto di abbandonare in quei luoghi veleni tanto duraturi? Dovrebbe bastare questo atto di inciviltà cosmica, produrre rifiuti che infesteranno il mondo ben oltre la nostra morte, a lasciarci sgomenti per il resto dei nostri giorni. Ma lo sgomento aumenta nel caso di quei luoghi, come l'Italia, dove non ci si preoccupa neppure di segnalare il pericolo: ci si limita magari ad affidare i rifiuti a servizievoli organizzazioni che li fanno affondare, perché no?, in un braccio di mare. Lo scempio dei relitti marini tossici, di cui abbiamo avuto nuove notizie proprio grazie a questo giornale, si aggiunge alla storia di un paese che dimostra da sempre una strepitosa capacità di avvelenare e avvelenarsi. Nell'ampio catalogo dell'inciviltà occidentale, l'inciviltà italiana non perde occasione di distinguersi come la più attivamente autodistruttiva.

D'altro canto, questa vicenda di scorie sottomarine non sembra scuotere più di tanto un paese alle prese con una varietà crescente di altre scorie. E non soltanto di tipo ambientale. Quando pensiamo al nostro futuro ce lo auguriamo anzitutto pulito, ben sapendo che l'assenza di veleni è condizione primaria perché la vita possa esprimere se stessa: questo non riguarda solo l'habitat fisico ma anche il nostro futuro morale, politico, culturale. Riguarda insomma il futuro della nostra coscienza. Per questo le navi cariche di rifiuti tossici sul fondo dei mari sembrano fatalmente destinate a mescolarsi, in questo bizzarro momento della nostra storia di cittadini italiani, a una quantità di altre tossine ed eredità velenose pronte a infestare la nostra vita. Le scorie che questo presente politico si appresta a lasciare potrebbero essere anche fisiche, pensiamo ai deliranti progetti di tornare a produrre energia nucleare, ma saranno anzitutto scorie dell'anima collettiva. Scorie magari incapaci di provocare tumori fulminanti ma ai pericoli delle quali sarebbe bene prepararsi. È cosa ovvia che il nostro sommo uomo di governo non sia eterno ed è altrettanto ovvio, lo confermano le cronache politiche degli ultimi tempi, che molti lavorano già nella prospettiva del dopo. Anche da parte di voci amiche si sente montare, forse un poco ingenuamente, l'attesa per il grande giorno in cui l'uomo uscirà dai giochi. Questo uomo non durerà a lungo, d'accordo, eppure bisogna forse chiedersi quanto durerà la sua eredità. Quanto persistenti saranno fenomeni come la paralisi di tante coscienze, la miseria logica in cui è precipitata ogni forma di dibattito pubblico o il devastante senso di irrealtà che allegramente ci avvolge.


Sappiamo che le tossine radioattive possono devastare la vita nel suo intimo, fin dentro il suo prezioso patrimonio genetico. Allo stesso modo abbiamo imparato come altre tossine immateriali possano devastare la civiltà di un paese nel suo profondo, fin dentro i suoi intimi presupposti. Da quando si è presentato sulla scena pubblica, questo uomo ha diffuso in modo scrupoloso le sue tossine morali. E questo paese glielo ha permesso. Ora, l'avvelenamento di ogni principio democratico pone domande che vanno ben oltre la durata dell'avvelenatore. A ben guardare, lasciare in eredità il proprio veleno è l'atto più nichilista che esista: significa condannare chi verrà dopo di noi oppure, peggio ancora, pensare che nessuno verrà dopo di noi.

Certo, accadrà che un giorno potremo guardarci indietro. Il lungo periodo in cui quel piccolo uomo dominava i nostri discorsi e l'intera vita del nostro paese sarà passato, lontano, ci apparirà come un ricordo dai confini irreali, quasi una sorta di macabro sogno. Ma quello strano ricordo potrà essere chiuso solo se saremo riusciti a liberarci delle sue eredità. Sarà possibile? Ci riusciremo? Basterà una generazione per smaltire certe tossine? Quanto ci vorrà, ad esempio, perché la parola «democrazia» torni ad avere in noi una risonanza reale? E soprattutto, ciò che dovremo in tutti i modi scongiurare: l'eredità di quell'uomo non innescherà processi politici persino più amari dell'uomo stesso?


il manifesto (16 settembre 2009)


 


 COMMISSIONE ANTIMAFIA


«Ilaria stava indagando sulla Shifco a Bosaso»


Nella relazione di minoranza della commissione parlamentare sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è evidenziato con chiarezza il peso dei traffici di armi e rifiuti tra i moventi dell'agguato contro al giornalista e l'operatore del Tg3. Riportiamo un breve estratto che spiega l'importanza del porto di Bosaso e delle navi della Shifco. «Ilaria voleva andare a Bosaso e c'è andata. Ha svolto il suo lavoro muovendosi come poteva in quell'ambiente ostile, facendo domande sui traffici illeciti, come ha confermato il Sultano di Bosaso nell'audizione in Commissione. Ilaria ha cercato di raccogliere informazioni sul sequestro della nave Shifco, voleva salire a bordo per verificare il contenuto del trasporto, visto che si diceva che la navi di cui Mugne si era appropriato, servissero per il traffico delle armi. In una informativa del Sismi c'era la notizia di una minaccia che Ilaria avrebbe ricevuto a Bosaso. I cooperanti di Africa 70 avevano dovuto abbandonare Bosaso a causa delle minacce ricevute. Lo scontro tra le due fazioni in lotta nel Ssdf, partito che controllava Bosaso e il mare prospiciente, era ancora in essere. Mentre i gruppi fondamentalisti islamici duramente sconfitti dal Ssdf tra il '92 e il '93 cercavano di rientrare a Bosaso. Bosaso era una realtà pericolosa e molto importante dal punto di vista geopolitico ed economico. Per questo non è accettabile sottovalutare questa realtà al solo scopo di sostenere la causale del rapimento andato a male piuttosto che la causale dei traffici illeciti. Il fatto che la Commissione non abbia trovato connessioni riscontrabili tra il viaggio di Alpi e Hrovatin a Bosaso e il loro omicidio a Mogadiscio non può portare automaticamente all'esclusione della causale dei traffici come movente dell'omicidio».


il manifesto (16 settembre 2009)


 


 LE RICERCHE


In Calabria una nave dell'Ispra


Interventi sulla terraferma e in mare sono stati assicurati ieri dal ministero dell'Ambiente nel corso di incontri che la task force attivata per il caso della "nave dei veleni", ha avuto con l'assessore all'ambiente della regione Calabria, Silvio Greco. In particolare, si legge in una nota del ministero, scatterà subito la caratterizzazione e l'eventuale messa in sicurezza e quindi bonifica del sito presso il quale sarebbe stato rilevato un livello di radioattività al di sopra della norma. Per quanto riguarda la situazione nella zona in cui è stato individuato il relitto, si sta dirigendo alla volta della Calabria la nave Astrea dell'Ispra, specificamente attrezzata per le rilevazioni di inquinamento marino. Sulle navi dei veleni, fa sapere il deputato del Pd Ermete Realacci, il governo risponderà oggi nel corso di un question time. Da destra, invece, il senatore Antonio Gentile del Pdl, componente della Commissione parlamentare antimafia, scrive al presidente dell'organismo Beppe Pisanu per chiedergli di inserire in agenda una visita in Calabria. Il Copasir sentirà la prossima settimana i capi di Aise e Aisi, Bruno Branciforte e Giorgio Piccirillo.


il manifesto (16 settembre 2009)



























1 commento:

  1. Un collage di notizie messe insieme in modo davvero notevole. Resta sconcertante notare come, ogni volta che si gratta appena un pò cercando collegamenti frammentati di notizie, si componga un quadro di realtà nauseante che mai arriva a rimanere sotto osservazione per più di pochi giorni per poi nuovamente inabissarsi. Forse è questa la vera difficoltàoggi: mantenere l'attenzione fissa su alcune notizie. Troppe ogni giorno, e a tenr banco sono spesso i gossip sulle notizie, più che le notizie stesse...Complimenti per il lavorone...

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