Un paio di foto ed il commento duro (giustamente) di Paolo Farinella, prete. Sono giornate di inondazione lacrimevole ed ipocrita, sono giornate di speculazione e sfruttamento. Ma pure di sbandamenti, incertezze, ambiguità. Quanto di più deteriore per la situazione internazionale così tesa.
Certo i due bimbi producono una tenerezza infinita, ma nello stesso tempo accusano il cinismo degli adulti, dei profittatori, di coloro che avidamente e con freddezza si spartiranno le fette di torta della ricostruzione, dopo aver distrutto. E anche se ci sono vite umane ci si può passare sopra, dopo essersi lavati la coscienza con la commozione d’ordinanza e il minuto di silenzio. Di molti cervelli.
Un bambino, un berretto militare e il simbolo
Genova 21 settembre 2009 –. Dicevano gli antichi che spesso il nome indica il destino di chi lo porta (Nomen Omen). Questa massima mi è venuta in mente mentre vedevo l’immagine di Simone, due anni, figlio di uno dei sei militari ucciso, in braccio a sua mamma. Stavano lì, in attesa del padre/marito morto. Simone, due anni, ignaro di quello che succedeva attorno a lui, era al suo posto, perché un bambino deve stare in braccio alla mamma. Solo una cosa era fuori luogo e, per me, costituisce il segno della perdita della ragione: il berretto da parà in testa a Simone.
Quella immagine è terribile perché proietta la pazzia degli adulti nel mondo e nell’immaginario dei bambini perché li usa per alimentare la commozione e condizionare il mondo infantile degli adulti. Quel berretto da parà in testa a Simone è un’ipoteca sul suo futuro perché lo trasforma in simbolo che continua la «missione» del padre. Crescendo ne resterà schiacciato e non potrà uscirne perché gli adulti irresponsabili lo hanno caricato di un compito che è la sua condanna.
Appena ne avrà la possibilità, Simone vorrà seguire le orme del padre e diventerà parà anche lui, anche perché avrà un canale privilegiato, una corsia preferenziale, in quanto orfano di un «eroe». Non lo farà per scelta, ma per dovere: per non tradire l’aspettativa del padre (lui immagina) e del mondo che da lui si aspetta l’unica scelta possibile per realizzare l’«incompiuta» paterna. Non è più Simone che deve trovare in sé la «sua» ragione di vita, ma è la morte del padre che gli impone chi e come deve essere.
Il vangelo di Giovanni, mettendo a confronto il Battista e Gesù, fa dire al primo: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30) che è la massima pedagogica che ogni educatore, maestro, genitore, ecc. dovrebbe avere come obiettivo: i figli non devono crescere secondo la nostra immagine, quasi sempre per realizzare le frustrazioni dei genitori. Essi devono vivere da sé per sé proiettati verso un ideale che compia la loro vita e coroni i loro sogni.
Camillo Sbarbaro, poeta genovese, al figlio che compiva diciotto anni scriveva: «ubbidirti a crescere è la mia vanità», quasi un anacoluto concettuale che esprime in modo magistrale l’ansia dell’adulto di essere «in ascolto» esistenziale del figlio per capirne la direzione di volo e per sostenerne la dinamica della «sua» vita.
A Simone, due anni, figlio di un parà ucciso, col berretto militare in testa, per la volontà macabra di una retorica di morte che trasforma in eroismo anche le scelte più indecenti, tutto questo sarà negato. In compenso il mondo avrà un disadattato in più che vivrà per conto terzi. Povero Simone! Ti auguro di ribellarti e di seppellire quel brutto berretto nella tomba con tuo padre. Tu meriti la vita. Null’altro. Caro Simone, da grande, se potrai, perdona gli adulti che lo hanno fatto apposta e corri verso il tuo «domani» che è diverso dal «ieri» che ti vogliono appioppare.
Paolo Farinella, prete
grazie per aver postato il commento, ineccepibile, di don farinella. Avercene preti cosi!
RispondiEliminaaghost, scusa il ritardo nell'integrazione al tuo commento.
RispondiEliminaVero, don Farinella è uno di quei preti che ti fanno tornare il desiderio di tornare in chiesa per ascoltarli, anche se poi sul web va benissimo. A Genova fa il paio con don Gallo, un altro demonizzato.