Se guardassimo più frequentemente al di fuori dei nostri confini (non solo mentali), ci potremmo accorgere che in alcune parti del mondo si prova ad alleviare gli acciacchi del pianeta attraverso balsami poco costosi, eppure efficaci. Si dispone di essi in tempi brevi, senza perdersi dietro precisazioni, decreti attuativi, interpretazioni autentiche, che hanno il solo scopo di procrastinare il più possibile decisioni ancora a livello di buone intenzioni, ma troppo scomode per gli interessi di parte. Per questo motivo l’articolo pubblicato su “il manifesto”, nella rubrica “terraterra”, mi è sembrato degno di attenzione e meritevole di qualche riflessione, alla luce della disastrosa situazione ambientale che ci circonda e di cui, prima o poi, pagheremo purtroppo tutti le conseguenze, continuando in questo dissennato sfruttamento del territorio, nel suo mancato rispetto e nella totale indifferenza delle regole che permettono, generalmente, la convivenza civile.
Se quarantanni fa c’era la “minaccia” della risata omerica che ci avrebbe seppellito (ripresa dal movimento anarchico di fine ‘800), oggi a sotterrarci sarà la “munnezza”. Quando si dice: il progresso.
terraterra
Il giro del mondo in una busta (di plastica)
Manuela Cartosio
Dal primo gennaio a Tisbury, un villaggio del Wiltshire, non si usano più le buste di plastica. Non si tratta di un provvedimento calato dall'alto. I 2 mila abitanti hanno convenuto d'andare al supermercato portandosi da casa la borsa della spesa. Di tela, di carta, di paglia. Non di plastica e non usa e getta. Quel che si dice una minoranza virtuosa.
In Cina si usano 3 miliardi di buste di plastica al giorno. Il consumo pro capite di shopper è inferiore rispetto all'occidente ricco ma, moltiplicato per un miliardo e 300 milioni di abitanti, l'impatto ambientale è imponente e di lunga durata (una busta di plastica serve per una manciata di muniti e dura una vita). Si aggiunga il costo della materia prima - il petrolio - da cui si ricavano le plastiche da imballaggio.
L'Australia ieri si è messa sulla scia della Cina. Il neo ministro dell'ambiente Peter Garrett ha annunciato un piano per ridurre drasticamente entro la fine dell'anno l'uso dei sacchetti di plastica. Un segnale doveroso per il centro sinistra che lo scorso novembre ha vinto le elezioni grazie ai temi ambientali (gli elettori hanno punito il governo di destra ostile al protocollo di Kyoto). Garret non è entrato nei particolari di un piano che discuterà ad aprile con i rappresentanti dei sei stati e dei due territori in cui è articolata l'Australia. Si è limitato a dire che «personalmente» preferisce mettere al bando i sacchetti di plastica piuttosto che farli pagare ai consumatori. D'accordo con il ministro, riferisce l'agenzia Reuters, Ian Kiernan, presidente dell'associazione Clean Up Australia che cita il caso dell'Irlanda, dove dal 2002 sui sacchetti di plastica grava una tassa scaricata ovviamente sui consumatori. «Il disincentivo all'inizio ha funzionato, ma nel lungo periodo l'effetto sta scemando». Non sappiamo quanti sacchetti di plastica usino ogni giorno venti milioni di australiani. Secondo il ministro, nel quasi continente ce ne sarebbero in giro (nei posti sbagliati) circa 4 miliardi.
Da tempo la città di San Francisco ha vietato i sacchetti di plastica nei negozi di alimentari. Questa settimana l'amministrazione di New York ha votato una legge che obbliga i grandi negozi a dotarsi di contenitori per riciclare i sacchetti di plastica. A Londra stanno per scattare divieti e disincentivi. Il Giappone, sull'esempio irlandese, ha messo un'imposta sulle buste di plastica. Sudafrica, Uganda e persino il Bangladesh hanno adottato misure per liberarsi dalla buste invasive.
E in Italia? Interrogarsi sulle buste di plastica mentre
I dati sui sacchetti di plastica sono piuttosto ballerini. Secondo Legambiente, ogni anno nel mondo se ne producono 500 miliardi. L'Italia ne sforna 300 mila tonnellate, l'equivalente di 430 mila tonnellate di petrolio e di 200 mila tonnellate di CO2 emesse in atmosfera. Nel nostro paese, sempre ogni anno, finiscono tra i rifiuti 2 milioni di tonnellate di plastica e vengono consumati 4 miliardi di sacchetti. Tempi di degrado delle buste di plastica tra i 10 e 20 anni.
il manifesto (11 gennaio 2008)
Da molti anni ho l'abitudine di portarmi da casa la busta quando vado a fare la spesa. Può essere di plastica riciclata da un precedente acquisto, oppure di stoffa, ma ce l'ho sempre con me.
RispondiEliminaSe al supermercato (leggi Coop) mi lasciano riporre "in pace" i miei gingilli in fondo al carrello senza chiedermi niente, quando vado in un negozio privato o in un piccolo super, mi affibbiano immancabilmente la busta di plastica (a pagamento) senza neppure chiedermi se mi serve.
A quel punto mi vedo costretta a spiegare che non la voglio, che ho già le mie buste riciclate dove riporla e la restituisco.
Tu riesci ad immaginare lo sguardo schifato che ricevo in cambio? Mi guardano come se fossi una pezzente... ma non me ne frega assolutamente niente e persevero, persevero....
Un abbraccio.
Fioredicampo
non per fare retorica...ma se non cambiamo prima noi stessi come potremo cambiare il mondo??
RispondiEliminafeau
è una idea oltremodo saggia ed ecologica senza demagogia...
RispondiEliminaun abbraccio stef
fioredicampo..può essere l'occasione di spiegare allo schifato commerciante il xchè della tua sportina ? sono d'accordo con federica : dobbiamo/possiamo essere educatori xchè il buon virus si diffonda.buonadomenicarispettosadell'ambiente :)
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