Le feste di fine anno che l’’Epifania, giusto ieri l’altro si è incaricata – come da tradizione – di far scomparire, hanno costituito una buona opportunità di flirtare con i film in sala (“L’amore ai tempi del colera”), in dvd (“Signore e signori”), in tv (“Colazione da Tiffany”, “I tartassati” e “L’attimo fuggente”) tutti elencati in rigoroso ordine cronologico di visione.
Gli sfolgoranti paesaggi fotografati a Cartagena e dintorni, incantevoli nella loro bellezza, non sono però riusciti a rendere “L’amore ai tempi del colera” memorabile, né a lasciare impresso un protagonista. Non ho ancora letto il libro di Garcia Marquez, da cui il film di Mike Newell è tratto, ma in genere è la visione cinematografica che segue, e non precede, l’opera a cui fa riferimento. Temo che questo mi condizionerà fortemente. In ogni caso si è trattato del ritorno in sala, cosa che non accadeva da alcuni mesi e poter seguire interamente la pellicola, senza intervallo, ha fatto accettare di buon grado il quarto d’ora circa di pubblicità iniziale. Che è indubbiamente meglio dell’interruzione di un’emozione, come si andava delirando (visti gli esiti) qualche anno fa.
Non avevo mai visto il film di Pietro Germi “Signore e signori”, uno dei capisaldi della commedia all’italiana. Ferocissima e spietata satira del perbenismo, in un Veneto cattolicissimo e bigotto, ambientato a Treviso (oh Treviso!) in un bel bianco e nero. Anno di grazia 1965, ma per i contenuti e i temi resta di strettissima attualità, precorrendo i tempi e anticipando le successive trasformazioni della società italiana. Bel film, in agrodolce, ma la satira e l’’irrisione non conoscono, per intrinseca natura, la lacrima facile né la compassione.
La tv delle feste ha sorpreso dal punto di vista cinematografico, con piacevoli riproposte, sovente intelligenti. Ne ho potuto cogliere soltanto una parte, ma va bene anche così.
Ignota anche la visione di “Colazione da Tiffany” appartenendo ad un genere, quello della commedia americana, che non mi attrae particolarmente, pur trattandosi di produzioni sovente di livello alto. In questo caso uno degli evergreen, basti solo rammentare l’intramontabile e struggente “Moon River”. Gradevolissimo il film, indimenticabile la fragile Audrey Hepburn, deliziosi i paesaggi e i dialoghi che rappresentano uno dei punti di forza della commedia americana, quella a cinque stelle intendo, per il brio e la varietà degli argomenti. Una storia che si può anche gustare piluccando qua e là i vari momenti, rimanendo costanti l’incanto ed il sorriso, quello lieve e mai artefatto.
Anche per “I tartassati” si è trattato di una personalissima prima visione integrale, perché - come spesso capita - i film di Totò sono così citati che intere sequenze sembra di conoscerle da una vita. Piacevoli assai i duetti tra il grande comico napoletano e Aldo Fabrizi, magari non scoppiettanti come quelli con Peppino De Filippo, la tradizionale spalla di Totò, ma nella circostanza sarebbe stato sbagliato cercare di individuare a tutti i costi colui che faceva da spalla. Anche in questo caso, pur trattandosi di una pellicola del 1959, il tema della cronica, paranoica e stomachevole evasione fiscale non è affatto arcaico. Davvero singolare come certe opere non denuncino il passare degli anni, riproponendo temi che la globalizzazione, la rivoluzione informatica, il cinismo e l’arroganza di massa non sono riusciti ad offuscare, anzi oserei dire che dal progresso (?) ne sono stati esaltati.
Singolarmente collocato per ultimo (così ha voluto la sorte) il film che maggiormente ha inciso nel cuore, vale a dire “L’attimo fuggente” con il memorabile professor Keating interpretato da uno straordinario Robin Williams. Non vedevo questo lungometraggio di Peter Wair da molti anni e non lo ricordavo così struggente ed esaltante nello stesso tempo. Un tonico formidabile per sviluppare e stimolare la curiosità, la conoscenza e la formazione individuale come persona autonoma e pensante, critica, ma con le capacità - almeno abbozzate - per poterlo fare in seguito e sempre meglio.
Walt Whitman e la sua celeberrima ode costituiscono il leit motiv dell’opera. Ma accanto a lui figurano le citazioni di Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau. Alla fine, superato il brivido che percorre la schiena quando l’allievo più timido si affranca dal blocco psicologico e sale sul banco, si viene investiti dalla voglia di sfogliare pagine su pagine di poesia e letteratura americana, per sfruttare l’onda lunga favorevole all’assimilazione e alla conoscenza, tormentati da una sorta di bulimia intellettuale che ha dovuto fronteggiare quella personale gastronomica (e non solo) ritraendosi sconfitta parzialmente. In fondo era il periodo delle feste e proprio l’attimo fuggente andava colto nella sua totalità.
Per tutti, integrerò gli ultimi commenti di cui vi ringrazio.
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