giovedì 6 novembre 2008

La Storia in diretta




Mi sono divertito a cercare i primi pezzi giornalistici che citarono Obama e, alla luce della sua elezione alla Casa Bianca, fa ancora più piacere leggere cosa si scriveva su di lui. Facili profezie su un predestinato. La Storia talvolta indossa i favolosi stivali delle sette leghe, sicchè in pochi anni si realizza ciò che era ritenuto impossibile. Ma negli Usa, come si è visto, “nothing is impossible”. Anche la vittoria di un afroamericano nello stato dell'Indiana, la roccaforte del Ku Klux Klan.



L' astro Barack Obama eroe di operai e pacifisti

Uno così, l' America non lo aveva mai visto. Non tanto perché un senatore con la pelle nera come lui già sarebbe una rarità da museo di storia naturale, essendo soltanto il terzo uomo con sangue africano a sedere (se vincerà a novembre) nel Senato americano nei 139 anni passati dalla fine della Guerra civile. La straordinarietà del futuro senatore che stasera ruberà il palco agli elefanti bianchi del partito è nella sua biografia, nella storia di un figlio perfetto di quella globalizzazione umana che tanto terrorizza i prigionieri del passato. Barack Obama, la stella nascente nel futuro della nuova sinistra americana che pronuncerà il «discorso tematico», il «la» del congresso come in passato fece Clinton, nacque nelle Hawaii, 42 anni or sono, da un kenyota e da una americana bianca, visse a lungo in Indonesia con i nonni quando i genitori divorziarono, riuscì a studiare alla Columbia University e, non contento, prese una laurea in legge costituzionale Summa cum Laude a Harvard primo nella sua classe. E poi, tra lo sbalordimento dei compagni di corso, respinse i grandi studi legali che gli offrivano ceste di danaro, per lavorare, invece, in una piccola chiesa di Chicago, come pubblico difensore dei diritti e delle ragioni degli operai, bianchi e neri, spogliati del loro lavoro dalle fabbriche in fuga verso i paradisi del lavoro pagato a noccioline. Che il prodotto della globalizzazione umana sia un avversario proprio della globalizzazione può sembrare paradossale e «Benedetto» - questo significa Barack nella lingua Swahili - infatti non è un protezionista, ma vuol essere un protettore, qualcuno che ogni tanto ricordi al mondo che, il compito di un governo, in una democrazia, è di essere la lobby di chi non ha potere, non di chi ne ha già troppo. Nel 1995, quando cominciò la propria carriera politica in Illinois, volle andare in Kenya, per dire alle tombe del padre e del nonno che «il vostro sogno si è realizzato» e a lasciare nel cimitero il suo diploma di dottore in legge con il sigillo di Harvard. Sogneranno in molti, questa sera, con lui perché la sua è la voce della umanità sensibile e non ideologica che risuonò con Martin Luther King. «Io non sono contro tutte le guerre - disse in un comizio a Chicago - perché senza la Guerra Civile non potrei essere qui a parlarvi. Sono contro le guerre stupide, e questa guerra di Bush in Iraq è una guerra stupida». Doveva venire un uomo dal Kenya, passando per Hawaii, l' Indonesia e Chicago, per dire la semplice verità dei bambini.

Vittorio Zucconi

la Repubblica (27 luglio 2004) pagina 8 sezione: POLITICA ESTERA



L' UOMO NUOVO

La star di oggi? Obama, l' afroamericano

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI. BOSTON - Questa notte al Fleet Center la star della convention democratica sarà un afro-americano di 43 anni, Barack Obama, figlio di un emigrato keniota ritornato in Africa, membro del Parlamento dello Stato del Michigan a Chicago, e candidato al Senato a Washington. A lui Kerry ha affidato la keynote, il discorso chiave su cosa rappresenti il partito, un ruolo riservato a leader come Mario Cuomo, l' allora governatore di New York, alla convention di San Francisco dell' 84. Una scelta e una collocazione simbolica: la serata magica di Barack Obama, l' emblema del futuro dei democratici, seguirà quella di Clinton ieri, l' emblema del loro grande passato, e precederà quella di Edwards domani, l' emblema del loro presente di speranza. L' ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, che guida la «truth squad», la squadra della verità (o contestazione) repubblicana alla convention, insinua che Kerry non ha voluto una donna, l' altro volto dell' avvenire del partito, perché sarebbe stato costretto a scegliere Hillary: «I Clinton assieme lo avrebbero eclissato». Terry McAuliffe, il segretario democratico, ribatte però che la verità è un' altra, che Obama «incarna le minoranze che votano per noi. E' l' espressione dell' America che cambia, dove i bianchi anglosassoni protestanti non sono più la maggioranza, e ormai un quarto degli elettori sono neri o ispano americani. Ed è l' espressione della società equa e aperta a cui aspiriamo». La biografia di Obama avalla questa tesi. Abbandonato dal padre, crebbe con i nonni materni alle Hawaii, ottenne numerose borse di studio, si laureò in legge alla Columbia University a New York. Dopo avere diretto la Harvard Law Review, divenne docente di Diritti civili all' Università di Chicago. A marzo, vinse le primarie democratiche al Senato a Washington con il 53% dei voti contro otto avversari; il suo rivale repubblicano, Jack Ryan, ha dovuto abbandonare la campagna in seguito a uno scandalo (avrebbe chiesto alla ex moglie di partecipare a delle orge). Se eletto, sarebbe il terzo nero nella storia Usa a entrare al Senato, dopo il repubblicano Edward Brooke e la democratica Carol Moseley Brown. Sposato, due figli, carismatico, Obama è considerato il capofila della nuova generazione nera, erede di quella di Martin Luther King e di Jesse Jackson. Sebbene la madre sia bianca, Obama si definisce «afro-americano» non meticcio: «Sono il prodotto di tre culture, statunitense, africana ed europea - dice - ma la mia pelle è scura, sento di appartenere a questa razza». Non nasconde di preferire un vecchio termine, progressive (progressista), a quello attuale di liberal - «è molto più centrista» - per il partito democratico. Sostiene che il welfare e il libero mercato possono coesistere e anzi rafforzarsi a vicenda. Obama ha un rimprovero da muovere a Kerry ed Edwards: il loro voto al Senato a favore della guerra dello Iraq. «Io avrei votato contro. Non c' erano legami tra l' Iraq e Al Qaeda né armi di sterminio. Non si doveva firmare un assegno in bianco a Bush».

Ennio Caretto

Corriere della Sera (27 luglio 2004) - Pagina 5

2 commenti:

  1. Condivido entusiasmo e speranze: non dobbiamo avere paura. Nemmeno delle future inevitabili delusioni. Non si potrà avere tutto e subito, soprattutto dopo il disastro W. Bush.

    Raccogliere documenti e fare confronti è molto utile.

    Con un sorriso.

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  2. harmonia, cara amica. E' vero, non dobbiamo avere paura: questa che si profila è la speranza, vagheggiata, di un nuovo mondo e forse riusciremo anche a poterne veder i primi effetti (perchè questi processi sono lunghi). Proseguirò, così incoraggiato, con un sorriso pure io. :-)

    Un caro abbraccio

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