Napoli, esterno giorno. L’ora che precede il pranzo.
Maria Concetta si deve affrettare a tornare a casa, ma il caldo sole di mezzogiorno consiglia di prolungare la passeggiata, evitando di passare dal supermercato e concedendosi il piccolo lusso di curiosare davanti alle vetrine dei negozi. I marciapiedi, oltre che essere affollati di persone, sono colorati dalle bancarelle di frutta e verdura che richiamano l’attenzione con la loro molteplicità di offerte. Maria Concetta si sofferma a guardare, passando in rassegna l’esposizione delle cassette e, ancor più, dei prezzi come sempre invitanti. Già, “perché” – si chiede – “qui c’è merce bella che costa poco?”. Ma mentre lo pensa viene scossa dal richiamo del fruttivendolo che occupa, con le sue cassette, buona parte di quello che generalmente è suolo pubblico. “Dite, dite signora cosa vi serve?” “Un cavolfiore, alcuni pomodori, tre melanzane e tre zucchine, insalata, quattro banane, pere, e mele” “Ecco signora, tenete qua. Pagamento alla cassa”. Maria Concetta si guarda per qualche istante attorno e poi si dirige, incerta, verso un ombrellone sotto cui distende la sua stazza enorme un tipo a colloquio con un amico. “Devo pagare questo – dice mostrando la busta. “Mettete là, nella cassa” e l’omone indica una cassettina di cartone già piena di banconote e monete. L’atteggiamento dell’uomo, il suo sguardo e la perentorietà del gesto dissolvono immediatamente la timida obiezione di Maria Concetta che, però, tornando a casa, ha trovato la risposta al suo interrogativo. Mettendo assieme la qualità della merce, il prezzo basso, la tranquilla occupazione del suolo pubblico, la cassa aperta – per così dire - e l’assenza di qualunque scontrino, si arriva ad una sola e indiscutibile conclusione. Quel fruttivendolo lì, al pari dei suoi colleghi, è così tranquillo perché sa di poterlo essere. Quel posto è garantito dalle "istituzioni locali" che a Napoli, come a Bari, a Palermo come a Catania, a Foggia come a Casal di Principe, determinano il bello e il cattivo tempo di ogni giornata.
Il piccolo quadretto, assai verosimile, mi è venuto in mente leggendo il recente rapporto “Sos impresa” della Confesercenti.
Florida, efficiente, diversificata. La prima azienda italiana si chiama 'Mafia spa' e ha un fatturato annuo di circa 130 miliardi di euro, con un utile che sfiora i 70 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti. E, aggiungo, delle spese di gestione che, come ogni impresa, anche
Il solo ramo commerciale della criminalità, mafiosa e non, ha ampiamente superato i 92 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del prodotto interno lordo. Ogni giorno passano dalle tasche dei commercianti e degli imprenditori a quelle dei mafiosi qualcosa come 250 milioni di euro, 10 milioni l'ora, 160mila euro al minuto, si legge nel rapporto.
Cresce, inoltre, il settore dell'usura, che colpisce circa 180mila commercianti. E cresce il peso economico della contraffazione, del gioco clandestino, delle scommesse e dell'abusivismo (il cui giro di affari è attorno ai 10 miliardi annui). Ma le mafie si infiltrano in importanti segmenti di mercato: dalla macellazione ai mercati ittici, dalla ristorazione ai forni abusivi e panifici illegali, dal settore turistico ai locali notturni, fino al "racket del caro estinto", che colpisce il settore dei funerali.
"Vogliamo evidenziare - si legge nel rapporto - il diffondersi, tra alcuni imprenditori, di una doppia morale, per la quale ci si mostra ligi alle regole dello Stato e del mercato quando si opera al centro-nord Italia, e con molto disinvoltura ci si adegua alle regole mafiose se si hanno interessi nel sud Italia. Un comportamento censurabile che rappresenta un riconoscimento della sovranità territoriale alle organizzazioni mafiose, a danno dei principi di leale concorrenza e di libertà di impresa".
Mafia SpA controlla i traffici illegali detenendo quote di maggioranza nelle "famiglie", nei "clan" e nelle "'ndrine" che trafficano in droga, esseri umani, armi e rifiuti, nonché nel racket delle estorsioni e, in parte, nell'usura. Le sue aziende, quasi sempre a conduzione familiare, ma con stringenti logiche aziendali, intervengono anche nell'economia legale, ora direttamente assumendo il controllo maggioritario, ora in compartecipazione con negozi, locali notturni, imprese edili o della grande distribuzione. Quattro le grandi holding company nelle quale è suddivisa: Cosa nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita. Ciascuna di esse, a loro volta, è suddivisa in società piccole e medie, autonome l'una dall'altra, ma con uno stesso modello gerarchico.
Nel napoletano si contano 1.300 forni abusivi (nel solo comune di Afragola vi sono 17 panifici legali e 100 illegali) dove si usa qualsiasi tipo di combustibile. E 2.500 panifici illegali. Il prezzo del prodotto finale si aggira su 2.00-2.50 euro al chilo, a fronte di 1.80-2.00 euro di quello legale, eppure è il più venduto: la domenica mattina le file sono interminabili. Si calcola che il business si aggiri sui 500 milioni di euro. Chi acquista queste pagnotte non solo le paga più del prezzo corrente, ma corre anche seri rischi per la salute. Nei forni abusivi, infatti, viene bruciato di tutto: dal legno laccato agli scarti di falegnameria, infissi, mobili e, in alcuni casi, il legno delle bare, dopo la riesumazione dei cadaveri. E se questi sono i combustibili, figuriamoci le farine usate.
Per questo è stato così importante che Roberto Saviano ci abbia fatto conoscere, raccontandoli magistralmente, gli intrecci che regolano non un fenomeno, ma la realtà quotidiana di quel cancro che sta metastatizzando ogni spazio vivibile e di cui, anche inconsapevolmente, si è fiancheggiatori e complici, attraverso gesti banali come, per tornare a Maria Concetta, fare la spesa ogni giorno. Credo che sia la maledizione peggiore per ogni cittadino onesto.
ciao a te....a presto.
RispondiEliminaNon riesco a lasciarti un commento intelligente che possa aggiungere qualcosa.
RispondiEliminasermau, lo spero pure io, perchè ci tengo.
RispondiEliminaCiao
marzia, basta il pensiero.
Ciao