La tristezza è come la nebbia, cala impalpabile, avvolge come un sudario e si insinua tra le contorte vie della mente succhiando come un idrovora ogni altro pensiero diverso, contrastante, magari (e paradossalmente) allegro o almeno improntato a schegge di ottimismo. E la tristezza, quando sopraggiunge, prende possesso di te, a lungo. Sembra non volersene mai andare e, analogamente alla nebbia, oscura l’orizzonte, rende invisibile ciò che si ha attorno e impedisce il cammino. Dev’essere stato per questo motivo che mai come venerdì mattina è stato impegnativo alzarsi per recarsi al lavoro, ultimo giorno prima delle ferie. E la compagna, che infilandosi nel tuo letto aveva pregiudicato l’umore, non si sarebbe più allontanata, anzi in un soprassalto di affetto si sarebbe stretta al tuo fianco quasi a voler urlare: “Quest’uomo è mio!”. L’orgasmo sarebbe poi sopraggiunto verso mezzogiorno.
Fuor di metafora non mi era mai capitato di lasciare la scrivania, i colleghi e l’ufficio con un magone dentro, quasi un senso di smarrimento e soffocamento. Ultimo giorno di lavoro, certo, le tre settimane di ferie lì, dietro l’angolo. Finalmente il momento di staccare la spina e rilassarsi. Poi cominciare a scorrere mentalmente l’elenco delle attività a cui dedicarsi, la lista delle cose da fare: da quelle trascurate durante l’anno ad altre appena cominciate e da sviluppare. In condizioni normali l’atteggiamento sarebbe stato di serenità, molto simile a quello di un anno fa che sempre qui avevo raccontato. Ma queste non sono condizioni normali. Quella di eri mattina non era solo l’ultima in ufficio prima delle ferie. Era, anche e soprattutto altro. E l’Altro si chiama: mobilità, l’Altro si chiama: ritorno alla base per tre settimane e poi, a metà settembre, la comunicazione ad alcune decine di dipendenti che sì l’azienda ha accresciuto il suo fatturato negli ultimi 12 mesi, che è in crescita, che si è aggiudicata recentemente una commessa, ma che volete farci le regole della globalizzazione sono queste: prendere e lasciare (il posto di lavoro). Chi scrive è in pole position per la nuova condizione di “lavoratore mobile”. E dal mio reparto, che conta 10 addetti, ne verranno espulsi tre: singolare modo di corrispondere un premio di produzione, perché anche i 50 “esuberanti” hanno contribuito all’incremento dei ricavi, ma non va mai dimenticato che ci troviamo nel paese dell’incontrario e allora siamo in perfetta sintonia.
L’idea di perdere il lavoro è paralizzante, in effetti, se poi avviene in un’età in cui si potrebbe cominciare a pensare di smettere sì di lavorare, nei prossimi anni, andando in pensione, assume i connotati dello sberleffo. Esiste poi un altro aspetto, meno considerato, nella questione, ma di notevole valenza. Mi riferisco ai rapporti umani che cesseranno, troncati da una decisione arrogante e padronale. E quell’arrivederci alla prossima settimana che in genere caratterizza il venerdì, si tramuterà in un addio senza riserve. Un ritorno al passato, ma con meno risorse e tanta preoccupazione. Io poi che sto scarso a preoccupazioni dal 18 aprile.
Quella dei rapporti umani è una questione che riveste molta delicatezza, perché quando si trascorrono 17 anni dell’esistenza accanto ad altre persone hai ceduto molto a loro, come in un processo osmotico e altrettanto, a seconda dei casi, hai ricevuto: dall’incoraggiamento, alla battuta scherzosa, alla risoluzione di un problema, alla condivisione, all’ascolto, alla comprensione, ma anche al battibecco, alla tensione di certe giornate, ai mutismi, all’indifferenza, al gelo. Ormai mi capita sempre più frequentemente di chiedermi come mi alzerò quella mattina in cui non potrò più recarmi in ufficio, in quello mio solito almeno. Cosa accadrà, sotto questo punto di vista, nelle giornate e nelle settimane successive. In futuro. Possibile che tutto debba finire così? Hai percorso un lungo tratto di cammino con varie persone e poi la svolta, la diramazione, la curva e in breve i compagni di viaggio si defilano dall’orizzonte. Magari altri si approssimano e si dovrà ricominciare da zero.
Evito solo, prudentemente, di immaginare quel giorno. L’ultimo intendo. Mi farei solo del male. Sarebbe controproducente, disperderebbe energie proprio quando mi serve un’integrità nel morale assoluta o almeno abbastanza solida. Anche per reggere allo stillicidio delle attese sia che si tratti di una telefonata, di una convocazione, oppure di un’opportunità casuale. Perciò servono antenne ricettive molto potenti.
Così, con questo fardello, me ne vado in vacanza. Ad essere affollate sono le autostrade della mente dove si compiono sorpassi arditi e manovre spericolate, i crash sono normali, il bollino nero persistente. Resterò da queste parti ancora per qualche giorno, perchè stranamente le idee, gli spunti, sembrano zampillare anche in una fase così delicata. Leggo il comunicato emesso dopo il deludente incontro pomeridiano di venerdì tra Rsu e direzione aziendale, dove si parla “di disagio profondo dei lavoratori di fronte ad una situazione in progressivo deterioramento”. Arriva la tempesta. E saranno lacrime e sangue. “Quando cade la tristezza in fondo al cuore, come la neve non fa rumore” (Emozioni, Lucio Battisti).
Del romanzo di Soriano mi era piaciuto solo il titolo :))
RispondiEliminaLa tua scrittura piana mi ha efficacemente rappresentato le tue emozioni e i tuoi sentimenti, facendo vibrare le corde di ricordi analoghi: ti abbraccio.
In questi casi io uso la tecnica de "un problema alla volta", e già le ferie mi sembrano un bel problema :))), il resto si vedrà al momento opportuno.
Certo non possiamo dire che la vita non ci allena, con le continue perdite, a quella finale. :)))
Panta rei...
Baci e buone vacanze
astime, la tua tecnica mi pare efficace e da mettere in pratica sempre o almeno spesso. Certo che quando pure le ferie, in questa strana epoca, diventano un problema :-))) c'è seriamente qualcosa da rivedere nel comune stile di vita. Se non proprio il nostro quello che ci viene imposto.
RispondiEliminaTi abbraccio anch'io, mentre ti ringrazio per i continui apprezzamenti.:-)))))))))))
Baci e buone vacanze anche a te (ma posterò ancora qualcosina)