Mi ritrovo tra le mani una cassetta senza etichetta e sono incerto su quale destino riservarle. Sto rimettendo in ordine, velleitario tentativo ammetto, nella videoteca personale e provo a separare i Vhs originali, da quelli adoperati per registrazioni di programmi. Tutti identificabili, tranne questa cassetta. Potrei collocarla sullo scaffale, perché è già riavvolta e adoperarla per nuove registrazioni, ma se poi sul nastro ci fosse qualcosa che m’interessa e me lo perdo? E’ vero che non lo saprei mai, ma la curiosità prevale e l’infilo nella bocca vorace del videoregistratore. Le prime immagini mi sorprendono piacevolmente, proiettandomi indietro nel tempo.
Dicembre 1985. In tv, già da un paio di mesi almeno, va in onda ogni pomeriggio (un preserale si direbbe oggi) una nuova trasmissione condotta da Luciano Rispoli e Anna Carlucci (la più decente tra le tre sorelle), intitolata “Parola mia”, un gioco sulla lingua italiana, sulle parole, sul loro significato e sulla conoscenza della letteratura. Si parla, inoltre, di libri. Si pubblicizzano e si vincono, sia dai concorrenti in studio che dagli spettatori a casa. Mi interessa, non ne perdo una puntata e partecipo pure alla selezione regionale, senza però conoscerne il verdetto. “Le faremo sapere”, mi dicono, che suona certo più cordiale della medesima frase pronunciata in altri ambienti.
Poi, a metà dicembre, vengo informato che sono stato prescelto per partecipare al programma, anche se la data resta incerta. Dovrò tenermi pronto.
Ora, con l’approssimarsi delle feste, mi infastidiva un po’ l’idea di dover partire per Torino, magari alla vigilia di Natale per poi dover rientrare il giorno dopo. E poi occorreva studiare, come regolarsi? I miei timori svaniscono. Natale in famiglia e pochi giorni più tardi la telefonata liberatoria, in un certo senso. Quando il campione in carica verrà sconfitto (al massimo si poteva restare per cinque giorni) io parteciperò a “Parola mia” del giorno dopo. Che è il 31 dicembre.
Sveglia all’alba, due valigie con me: in una libri, nell’altra cambi d’abito per cinque giorni (non si sa mai). Treno affollatissimo, mi ritrovo in corridoio, dove sembrano naufragare le mie speranze di poter studiare. Ma il viaggio è lungo e sono fortunato. Si libera un posto e subito apro un volume di storia della letteratura.
Arrivo nel capoluogo piemontese in orario rispetto al programma che andava in diretta e entrando nella sede Rai, raccolgo pure l’informazione sul risultato del recupero di campionato, che si era disputato nel pomeriggio tra Juventus e Sampdoria: 1-0, Platini. Sono in clima.
Mi fa un certo effetto incrociare subito la nuova campionessa in carica, una sarda piuttosto carina, ma anche in precarie condizioni di salute. La sorregge una chioma fluente di ricci rossi. E’ la ragazza convocata come riserva, viene da Napoli e porta cucita addosso la bellezza tipica delle donne meridionali, soprattutto quelle solari napoletane. La campionessa si rimette in sesto. Nei corridoi dei camerini incrocio Rispoli e la Carlucci. Di lì a poco si parte.
La sveglia, il viaggio, i volti incontrati, anche il freddo, sono ormai dietro le spalle. E’ necessaria la concentrazione, perché so che in molti mi vedranno e non mi va davvero di rimediare una figura barbina. Anche se è un gioco.
Devo ammettere che lo stato fisico della concorrente mi conforta, potrei farcela (il pensiero era cattivello, ma si sa che in amore e in guerra... Sì, lo so che quella non era una guerra, ma sempre di scontro tra due persone, seppure molto amichevole, si trattava). In studio trovo anche il mitico professor Beccaria, una figura d’intellettuale gentile e disponibile, molto accattivante nei gesti e nei modi, tipici della buona borghesia torinese.
Silenzio, si parte. Il piccolo monitor sulla mia postazione non mi aiuta, perché vellica la naturale civetteria che abita in me, ma ormai non è più tempo di considerazioni, perché la luce rossa della telecamera è proprio rivolta nella mia direzione.
La gara inizia bene, la ragazza di cui proprio non ricordo il nome, è penalizzata dalla sua indisposizione. Cerco di incoraggiarla. Quando mi trovo in vantaggio, percepisco che la vittoria non potrà sfuggirmi. All’ultima delle quattro prove previste sono in testa, adesso di tratta di parlare di un autore, Cecco Angiolieri e con il suo “Se fossi foco…” brucio il traguardo. La telecamera mi inquadra, rubando un giusto gesto di esultanza liberatoria. Ce l’ho fatta. Chiusura d’anno col botto. Prima di tornare in albergo uno degli autori, il famoso signor No, comunica a me e alla napoletana, M., che l’autore del giorno dopo sarà Dante con la Divina Commedia.
Lungo la strada procedono due stati d’animo opposti: il mio euforico e quello triste di M., perché per una napoletana rinunciare alla notte di San Silvestro, per un domani incerto (magari perde e deve tornare a casa) non è il massimo. Almeno credo. Perciò glielo chiedo. Si fraternizza subito. Vista da vicino è davvero una gradevole ragazza, piena di fascino, ricca di simpatia, con un accento che conquista. Ma non per quella sera, chiaro.
La stanchezza decima anche le ultime considerazioni. Lo studio ci attende il giorno dopo ed è meglio non sfigurare, io poi ho il viaggio sulle spalle che, solo in quel momento, gli occhi che si chiudono e le membra affaticate fanno ricordare.
Il mattino dopo, 1° gennaio 1986, facciamo colazione insieme e poi ritorniamo nelle rispettive stanze per studiare. Non escono in quel giorno i quotidiani (molte domande traevano spunto dai titoli) e così non rimane altro da fare che seguire Dante nel suo “cammin di nostra vita”.
Nel tardo pomeriggio procediamo in coppia, verso via Verdi. Io più tranquillo (male che vada una puntata l’ho vinta), M. chiaramente più tesa. Chissà se questa psicologia spicciola potrà aiutarmi?
Adesso posso andare in cronaca diretta. La mia avversaria dimostra subito di essere ben preparata e tosta. Prima prova: conoscere l’italiano. L’etimologia delle parole. Tocca a lei rispondere per prima a tre domande ed è punteggio pieno. Io ho accanto la Carlucci e inciampo su un quesito: 2/3 e 1 a 0 per M. Rammarico per la falsa partenza.
Breve pausa, si parla di film d’animazione e la successiva serie di domande riguarda il linguaggio cinematografico. Ancora 2 su 2 la napoletana, per nulla intimidita dalla telecamera. Il campione in carica, invece, scivola ancora e realizza 1 su 2. Punteggio parziale: 2-0 per M. La strada per la riconferma del titolo è adesso decisamente in salita. Il mio stato d’animo palesemente demoralizzato.
Ma la gara prosegue. Adesso si passa alla prova: usare l’italiano. In 15 righe occorre inventare un personaggio per un film d’animazione. Il tempo disponibile è quello necessario per presentare ospiti, libri e lanciare il quiz telefonico. Ci avviamo alle tradizionali cabine insonorizzate.
Cerco di ritrovare le necessaria concentrazione. Il classico panico del foglio bianco viene sconfitto e l’ispirazione mi sembra felice. Ma deciderà il professor Beccaria. Il pezzo scritto dalla mia avversaria è gradevole, pulito nella forma. Io, invece, parlo di un personaggio di fantasia che potrebbe fungere da tritarifiuti per la pulizia dell’ambiente. Toni giusti, lievi e disincantati, anche polemici quando concludo affermando che è tutto difficile con l’uomo tra i piedi. Il gradimento è assicurato. Adesso lo svantaggio è dimezzato: 2-1.
Sono più rinfrancato. Nella quarta ed ultima prova, che vale due punti, mi gioco tutto. Riccardo Cucciolla in studio (conservo la sua dedica) legge alcune terzine della Divina Commedia. A M. viene chiesto di esporre il significato della selva oscura e lì dentro perde un pochino l’orientamento, deviando verso considerazioni sociali. Avverto che sta andando fuori tema, perché tengo d’occhio le smorfie del giudice di gara. E intanto rimango concentratissimo.
In 30” devo illustrare la legge del contrappasso. E’ il mio terreno. Sospiro iniziale e poi elenco con molta calma, la calma di chi si sente la vittoria in tasca, alcuni esempi. E mi aggiudico la prova e la gara. L’inizio del nuovo anno non poteva essere migliore. Le prospettive sono decisamente incoraggianti. E secondo milione, in libri, vinto. Con M. mi manterrò in contatto epistolare per qualche anno, poi emigrerà in Germania per lavoro e non riceverò più sue notizie.
Gradevole è l’attesa per la sfida del terzo giorno. Ormai l’obiettivo è quello di arrivare al successo finale. Quando ritorno in studio, nel pomeriggio seguente mi sento in casa. Saluti cordiali alle sarte, agli attrezzisti, alle parrucchiere, alle truccatrici. Familiarità con i due presentatori.
La mia sfidante è una minuta ragazza di Bresso, anche lei di simpatico aspetto e palesemente intimidita dall’ambiente in cui si ritrova, persino un po’ spaurita. La accompagno nei vari ambienti, la guido, la tranquillizzo, ma psicologicamente mi sento già in vantaggio. E infatti la gara è assai meno combattuta del giorno prima. L’emozione la tradisce più volte e vinco passeggiando.
L’euforia mi fa dimenticare il testo di letteratura e così, il mattino del quarto giorno, sono costretto a ritornare negli studi Rai, attendere che si aprano e recuperare il mio libro. Tempo prezioso che perdo, ma soprattutto scaramanzia che viene stravolta. Foschi presagi di sventura si addensano.
Apprendo nel pomeriggio, arrivando in via Verdi, che la nuova avversaria è della mia stessa regione, addirittura medesima provincia. Non so perché, ma non mi sembra un segnale positivo. E’ in affanno anche lei, quando la incontro, perché ha dimenticato i suoi libri in albergo e si trova a disagio. L’autore del giorno è Carducci, del quale adoro la poesia: “San Martino.
Nonostante ciò inizio male, proseguo peggio, anche se alla prova orale ho ancora qualche possibilità. Devo, appunto, spiegare quei versi ad un’immaginaria scolaresca. Ma qualcosa nei circuiti salta. Me la cavo, ma non abbastanza. La mia corregionale, che diventa immediatamente antipatica, vince con merito, comunque.
La fuga dalla pizzeria per la lunga attesa del conto, il suo avermi voluto intrattenere, chiacchierando, fino alle 3:00, sono gli ultimi flash della mia avventura nel mondo del quiz, terminata con la vincita totale di 3 milioni, convertiti poi in assegno.
“La televisione” - come amava concludere Rispoli – “è la televisione, ma un buon libro è sempre un buon libro. Parola mia”. “E anche mia”, cinguettava la Carlucci.