Avevo mantenuto in caldo gli articoli di Barbara Spinelli e Francesco
Poi
La denuncia di Francesco
Anche per questo sono importanti la proprietà e il controllo delle televisioni, in grado di garantire e mantenere un potere che in altre nazioni, dove la civiltà non è un anacronismo, si sarebbe sgretolato prima ancora di attecchire. Ma l’individuo, che con i suoi scherani sta brutalizzando gli italiani onesti, continua a divertirsi, con minorenni ed escort, alle nostre spalle e sulla nostra pelle. Perché dunque inorridire se c’è chi ha nei suoi confronti un atteggiamento poco conciliante? Da sempre chi semina vento raccoglie tempesta.
Barbara Spinelli
Lo chiamano nubifragio, quello che ha ucciso decine di persone nei villaggi del Messinese e gettato nel fango le loro case, e invece la natura matrigna non c’entra. Non è lei a tradire, ingannare. C’entra invece lo Stato matrigno, e c’entrano le opere pubbliche, le infrastrutture, gli amministratori matrigni. È a loro e non alla natura che occorre rivolgersi con la domanda che Leopardi lancia alla natura: «Perché non rendi poi/Quel che prometti allor?/ perché di tanto/ Inganni i figli tuoi?». È l'Italia che vediamo piano piano autodistruggersi, e non solo nel modo in cui si governa ma nel suo stesso fisico stare in piedi, nel suo esser terra, fiumi, colline, modi di abitare. Si va sgretolando davanti ai nostri occhi come fosse un castello che abbiamo accettato di fare di carta, anziché di mattoni. Che ciascuno di noi accetta - per noia, per fretta, per indolente fatalismo - di fare di carta.
È essenziale leggere Gomorra per capire l’estensione del dominio del male ma basta mettere in fila i tanti disastri visti in televisione, e il cittadino non si sottrarrà all’impressione di un Paese dove perfino la terra frana a causa di questo lungo dominio.
Inutile dividere i mali italiani in compartimenti stagni: la morte della politica da una parte, l’informazione ammaestrata o corriva dall’altra, le speculazioni edilizie da un’altra ancora. Tutte queste cose sono ormai legate, fanno un unico grumo di misfatti e peccati d'omissione che mescola vizi antichi e nuovi. È l’illegalità che uccide l’Italia politica e anche quella fisica, la sua stima di sé, la sua speranza, con tutti i vizi che all’illegalità s’accompagnano: la menzogna che il politico dice all’elettore e quella che ciascuno dice a se stesso, il silenzio di molte classi dirigenti su abusivismo e piani regolatori rimaneggiati, il territorio che infine soccombe. Nella recente storia non sono caduti uccisi solo eroici servitori della Repubblica, che hanno voluto metter fine all’anti-Stato che mina la nazione dagli Anni 60. Muoiono alla fine gli uomini comuni, en masse: abbattuti dalla menzogna, dall’abusivismo, dalla disinvoltura con cui si costruiscono case, scuole, ospedali con materiali di scarto. Non da oggi ma da decenni, destre e sinistre confuse.
Il servizio pubblicato ieri su
È diventata la nostra regola perché tutto, appunto, si tiene: la cultura dell’illegalità che si tollera e l’abusivismo che si accetta sperando di trarne, individualmente, qualche vantaggio immediato. Perché tutto trema in contemporanea: terra e politica, senso dello Stato e maestà della legge. Perché intere regioni (non solo a Sud) sfuggono al controllo dei poteri pubblici, intrise di mafia e omertà. E perché l’informazione non circola, non aiuta le autorità municipali, regionali, nazionali a correggersi, essendo inascoltata e dando solo fastidio. L’informazione indipendente irrita quando denuncia lo svilimento dello Stato che nasce dalle condotte private di un presidente del Consiglio. Irrita quando ricorda che il ponte di Messina è una sfarzosa e temeraria tenda su infrastrutture siciliane degradate. Allo stesso modo danno fastidio, e non solo all’attuale governo, le indagini di Legambiente o della magistratura.
Dipende da ciascun cittadino far sì che queste abitudini cessino. Finché penseremo che i disastri sono naturali, non faremo nulla e sprofonderemo. È un po' come nella Dolce vita di Fellini. Nella campagna romana, una famiglia aristocratica possiede una villa del '500 caduta a pezzi e nessuno l’aggiusta. Il capofamiglia s’aggira sconsolato fra le rovine, sogna di mettere un pilastro qui, una trave lì. Si lamenta col figlio che non fa nulla per riparare, che bighellona a Roma stanco di tutto. «Ma cosa vuoi che faccia, papà?», replica quest’ultimo, stomacato. È la cinica, accidiosa risposta che l’italiano continua a dare a se stesso, ai propri padri e anche ai propri figli.
L’indebolirsi della politica e la non volontà di governare il territorio li tocchiamo con mano e hanno ormai un loro teatrale, quasi macabro rituale. L’Italia è divenuta massima esperta in funerali, opere misericordiose, messe riparatrici, offerte di miracoli stile padre Pio. Tutta l’attenzione si concentra, spasmodica, compiaciuta, sulla nostra inclinazione a piangere, a ricevere le stigmate da impersonali forze esterne, a ripartire da zero nella convinzione (falsamente umile, ancora una volta) che da zero comunque si ricomincia sempre. Come vi sentite lì all’addiaccio? Avete voglia di ricostruire? Forza di credere, sopportare? Così fruga l’inviato tv, il microfono brandito come una croce davanti ai flagellanti, e le lacrime sono assai domandate. L’occhio della telecamera punta su ricostruzione e espiazione, più che sul crimine che viene trattato alla stregua di fatalità. Importante è vivere serenamente il disastro, più che evitarlo cercandone con rabbia le cause. Anche il politico agisce così: non lo interessa la stortura, ma l’anelito alla lacrima e alle esequie teletrasmesse. Simbolo del disastro riparato più che prevenuto,
Di fronte a tanta catastrofe viene in mente il grido di Rosaria Costa, la vedova di un agente di scorta morto con Giovanni Falcone a Capaci. La giovane prese la parola il giorno dei funerali di Stato, il 25 maggio 1992 nella chiesa di San Domenico a Palermo, e disse: «Mi rivolgo agli uomini della mafia, vi perdono ma voi vi dovete mettere in ginocchio, dovete avere il coraggio di cambiare». D'un tratto la voce si rompe e grida: «Ma voi non cambiate, io lo so che voi non cambiate». Nulla può cambiare se l’impunità continua. Se l’informazione non circola, non esce dai recinti di Internet, di Legambiente, delle associazioni volontarie antimafia. Se la gente non smette di ascoltare solo messe funebri. Mario Calabresi ha scritto ai lettori indignati di questo giornale, ieri, che il «grande sacco dell’Italia» è avvenuto e avviene perché esiste un terreno fertile a disposizione di mafie e criminalità: non c’è politica seria se al primo posto non sarà messo il ripristino della legalità. Legalità e parola libera sono il farmaco di cui c'è bisogno, Falcone ne era convinto quando diceva: «Chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa. Chi parla e cammina a testa alta muore una volta sola». Per questo tutto si tiene: la manifestazione di ieri sulla stampa indipendente e l’indignazione per il disastro di Messina.
(4 ottobre 2009)
Sembrava solida la villetta bianca di Giampilieri. L'aspetto era gradevole, con quelle serrande celesti come il cielo quando il tempo è bello. Ora sembra l'icona della tragedia: pencola a sinistra, dopo che acqua e fango hanno spazzato via gran parte delle fondamenta che poggiavano sulla creta incerta. È l'immagine fedele di un territorio devastato, massacrato dalla furia della corsa al cemento. Oggi a Messina, nel 1966 ad Agrigento che ha visto scivolare via interi quartieri, qualche mese fa a Caltanissetta dove l'ospedale San Giovanni di Dio si è sgretolato rivelando tutta la precarietà di un cemento «taroccato».
È così il territorio siciliano. Lo sanno tutti che le piogge tumultuose hanno facile sopravvento sulle strutture, anche le più moderne, e su una natura debilitata dalla cementificazione selvaggia, dagli argini artificiali imposti ai corsi d'acqua essiccati per far posto al business, dal disboscamento irrazionale e, ancora, dall'avvento del cemento «allungato», incapace di svolgere il ruolo che gli compete. Sembra una balla eppure è così: la mafia non solo governa ogni tipo di abuso, non solo cambia i piani regolatori per dar forma a veri e propri aborti urbanistici. Non solo tutto questo, adesso cementifica con molta sabbia e poco ferro. E tutto per imporre i modelli edilizi che abbiamo imparato a conoscere a Gela, a Bagheria, a Castellammare, a Termini Imerese, ad Agrigento e lungo le campagne infestate da orribili viadotti, giusto per fare gli esempi più clamorosi. Così ogni anno cadono nel vuoto i saggi ammonimenti, gli allarmanti rapporti di Legambiente, di tutti gli ecologisti e di buona parte degli amministratori più coscienziosi. È dura la battaglia contro le ecomafie, perché il nemico non è soltanto il cattivo con la coppola. Spesso siamo noi, le vittime, i migliori alleati dei boss. Noi che ci crediamo furbi se «alziamo» dove non è permesso e aspettiamo la «legge buona» per ottenere un piano in più, magari consigliati da qualche amministratore comprensivo.
Prendiamo la storia di Pizzo Sella, a Palermo. Una montagna tutt'altro che solida, coperta da «simpatiche villette» messe su da costruttori non certo inappuntabili, in un luogo dove non c'era un filo d'erba, senza gli allacciamenti di acqua, luce e fogne (arriveranno in seguito, quando gli acquirenti si erano già resi conto di essere stati gabbati). La telenovela giudiziaria che ne seguì è quella classica, annosa: il solito ping pong fra accusa e difesa, ordini di demolizioni via via ammorbiditi, insomma l'eterno accomodamento. È facile scandalizzarsi, più difficile è continuare ad esserlo fino alla rimozione dello scandalo.
Ricordate l'ospedale San Giovanni Di Dio ad Agrigento? Vent'anni per costruirlo e 38 milioni di euro, scrive il rapporto Legambiente dello scorso luglio. Ecco, a cinque anni dall'inaugurazione, gli esperti mandati a controllarne la stabilità hanno scoperto che la «resistenza alla compressione» non è quella indicata nel progetto. In parole povere l'edificio è a rischio crollo. Ventidue avvisi di garanzia e ospedale dimezzato. In questo caso non si tratta solo di dissesto geologico. La vicenda agrigentina prova che oltre alla «normale» ingordigia mafiosa si è aggiunta la «trovata» di guadagnare ancora di più «allungando» la materia prima delle costruzioni (sia private che opere pubbliche): il cemento prodotto dalle innumerevoli «Calcestruzzi». Ecco, la mafia sfascia il territorio con l'insana gestione delle cave («Le cave sono tutte in mano a noi», raccontava ai giudici, nel lontano 1992, il pentito Leonardo Messina). Ma poi non si accontenta: trucca gli appalti, si aggiudica i lavori e li fa eseguire alle proprie imprese col «cemento allungato».
Illuminanti alcune vicende giudiziarie. Proprio a Messina la magistratura ha sequestrato
Stessi accertamenti sono stati eseguiti su altre imprese: presso l'azienda di Borgetto (Palermo) di Benny Valenza, detto il «re del cemento». Solo che anche quello appariva ''depotenziato'', col risultato di dover eseguire accurati controlli sulle opere pubbliche di mezza Sicilia: gli aeroporti di Palermo e Trapani, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo, il costruendo commissariato di polizia di Castelvetrano, paese natale di Matteo Messina Denaro. Secondo il rapporto di Legambiente, ancora, a rischio sono trenta capannoni dell'area industriale di Partinico.
E che dire della Calcestruzzi Spa, emanazione sicula del colosso di Bergamo? E
(3 ottobre 2009)
L’inciviltà che si scopre guardando l’Italia dall’alto
Tragedie all’italiana: primo giorno pianti e abbracci, secondo governo ladro, terzo «chi è senza peccato?», quarto tutti colpevoli nessun colpevole. Le frane di Messina, dopo il terremoto in Abruzzo, le sciagure che potevano essere evitate da un buon governo (che non c’è) ma che si ripetono per la correità dei cittadini (che c’è sempre) e alle quali, a disastro fatto, deve riparare
Ancora una volta il nostro gioco nazionale è fatto e chi lo denuncia è un antitaliano. Perfetto. Ci sarebbero alcune domande da farsi. Ma perché altri Paesi sono usciti da questo gioco perverso e si sono trasformati da nazioni in Stati, da comunità di fatto a comunità di diritti e di comune sentire civile? Il terremoto colpisce la città dell’Aquila. Risulta senza possibilità di dubbio che il governo non ha vigilato sul modo di costruire le case e che molti cittadini, costruttori o inquilini, per guadagnare gli uni o risparmiare gli altri, hanno usato la sabbia per il calcestruzzo, rialzato, ampliato, modificato abusivamente.
Sui giornali sono apparse le fotografie che testimoniano in modo impietoso la generale anarchia: la facciata della prefettura accartocciata, spaccata, sbilenca, e la casa degli studenti, vanto della locale università, distrutta, rasa al suolo. Cioè due edifici simbolo del buon governo esposti come prova del suo fallimento. E ora, con le frane di Messina, c’è un’altra prova che interi paesi sono stati costruiti in modi abusivi e rischiosi per l’assenza dello Stato ma anche per la volontà di frode dei privati.
In tutti i Paesi dell’Occidente ci sono speculatori avidi e cittadini che violano le leggi per un loro privato tornaconto. Ma in alcuni il patto sociale per cui si fanno e si rispettano le leggi è stabile, funziona, fa parte della cultura della classe dirigente come delle fasce più basse.
Per capire di che si tratta basta guardare le telecronache dei giri ciclistici di Francia, Germania, Svizzera e Spagna e poi del nostro. In quelli le riprese dall’alto mostrano città ben costruite, spazi verdi, fiumi navigabili, laghi e coste protetti. Da noi, dovunque, abusivismo dilagante e cemento. Gli altri di cui siamo soliti dire: «Quando noi eravamo padroni del mondo loro stavano sugli alberi». Già. Ma oggi ne sono discesi e fra le macerie ci siamo noi.
Le 7 domande che hanno inchiodato Berlusconi
Signor Berlusconi, potrebbe rispondere pubblicamente a queste domande?
Premessa:
1) Nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi ratifica un’operazione molto particolare: la banca Rasini acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d’amministrazione figurano Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus. Questo Luigi Berlusconi, procuratore con diritto di firma della banca Rasini, era suo padre?
2) Sempre intorno agli anni Settanta il Sig. Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca Rasini ventitré holding come “negozi di parrucchiere ed estetista”, è lei questo Signor Silvio Berlusconi?
3) Lei ha registrato presso la banca Rasini, ventitré “Holding Italiane” che hanno detenuto per molto tempo il capitale della Fininvest, e altre 15 Holding, incaricate di operazioni su mercati esteri. Le ventitré holding di parrucchiere, che non furono trovate a una prima indagine della guardia di finanza, e le ventitré Holding italiane, sono la stessa cosa?
4) Nel 1979 il finanziere Massimo Maria Berruti che dirigeva e poi archiviò l’indagine della Guardia di Finanza sulle ventitré holding della Banca Rasini, si dimise dalla Guardia di Finanza. Questo signor Massimo Maria Berruti è lo stesso che fu assunto dalla Fininvest subito dopo le dimissioni dalla Guardia di Finanza, fu poi condannato per corruzione, eletto in seguito parlamentare nelle file di Forza Italia, e incaricato dei rapporti delle quattro società Fininvest con l’avvocato londinese David Mills, appena condannato in Italia su segnalazione della magistratura inglese?
5) Nel 1973 il tutore dell’allora minorenne ereditiera Anna Maria Casati Stampa si occupò della vendita al Sig. Silvio Berlusconi della tenuta della famiglia Casati ad Arcore. La tenuta dei Casati consisteva in una tenuta di un milione di metri quadrati, un edificio settecentesco con annesso parco, villa San Martino, di circa
6) A Milano, in via Sant’Orsola 3, nacque nel 1978 una società denominata Par.Ma.Fid.
7) Signor Berlusconi da dove sono venuti gli immensi capitali che hanno dato inizio, all’età di ventisette anni, alla sua scalata al mondo finanziario italiano? Vede, Signor Berlusconi, tutti gli eventuali reati cui si riferiscono le domande di cui sopra sono oramai prescritti. Ma il problema è che i favori ricevuti dalla mafia non cadono mai in prescrizione, i cittadini italiani, europei, i primi ministri dei paesi con cui lei vuole incontrarsi, hanno il diritto di sapere se lei sia ricattabile o se sia una persona libera.
P.S. Dato che lei è già stato condannato in via definitiva per dichiarazioni false rese ad un giudice in un tribunale, dovrebbe farci la cortesia di fornire anche le prove di quello che dice, le sole risposte non essendo ovviamente sufficienti.
NOTA – Le sette domande sono state pubblicate ne “L’odore dei soldi” di Elio Veltri e Marco Travaglio (Editori Riuniti) 2001. Quindi note a tutti i parlamentari del Partito delle Libertà, della Lega e all’opposizione. Berlusconi ha intentato due cause agli autori del libro: la prima, per diffamazione, si è conclusa nel 2005 con l’assoluzione dei due autori e la condanna a Berlusconi: 100.000 euro di spese. La seconda – richiesta di risarcimento per diffamazione a mezzo stampa – è stata respinta dal Tribunale di Roma con l’obbligo del pagamento di 15.000 euro da parte del querelante. Carlo Costelli, dipartimento di Fisica & e INFN Università Sapienza, Roma, informa che questo testo in italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco è a disposizione su http://sites.google.com/site/carlocosmelliwebsite/Home gruppo facebook. Sta per entrare in rete la traduzione in arabo, giapponese, olandese.
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