Allarme rosso l'Italia si sfascia
LE NOTIZIE sono tante ed emergono da vari fronti, ma il loro senso si racchiude in tre parole: implosione, disfacimento, secessione. Tre parole che non riguardano soltanto il governo, i partiti, l'economia, la scuola, il federalismo, l'immigrazione, la sicurezza, il Mezzogiorno, le mafie, ma riguardano l'intero sistema-paese. Riguardano l'Italia. Riguardano le istituzioni e lo Stato.
Credo sia il momento di lanciare l'allarme rosso perché i segnali sono univoci: l'Italia, lo Stato italiano sono a rischio di implodere e non è uno scenario collocato in un futuro sia pur prossimo, ma già visibilmente in corso.
Bombe a orologeria brillano una dopo l'altra. Alcune sono già esplose. Se le altre non saranno subito disinnescate, se non avrà inizio subito un'inversione virtuosa, tra qualche mese la conflagrazione sarà generale. Stiamo ballando sull'orlo di un vulcano e pochissimi se ne rendono conto. Tra quei pochissimi c'è sicuramente il Capo dello Stato. Se dovessi fare altri nomi significativi sarei molto imbarazzato. Il solo dato confortante è l'esistenza d'una massa cospicua di persone che percepiscono questa situazione di gravissima crisi e vorrebbero contribuire a spegnere gli incendi già appiccati e impedire che i focolai dilaghino; ma non hanno strumenti, non hanno punti di riferimento, hanno perso la fiducia o non sanno su chi riporla.
Questa massa di persone, al di là degli schieramenti, della condizione sociale, della geografia, rappresenta un deposito di energie potenziali prezioso, ma purtroppo inerte; un esercito di riserva che nessuno è in grado di schierare; una sorta di vecchia e giovane guardia che se entrasse in linea oggi potrebbe capovolgere gli esiti di questa deriva. Sarebbe un miracolo. Io non credo nei miracoli ma in questo ancora ci spero.
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Citerò un esempio dell'implosione in corso, tra i tanti che si possono fare: la penosa vicenda del decreto legge anticrisi che si è conclusa ieri dopo settimane e giorni di reiterati strappi istituzionali e costituzionali.
Il governo emana un decreto che contiene misure urgenti per fronteggiare la crisi economica. Il presidente della Repubblica, al quale non compete di esaminare il merito di quelle misure ma soltanto la loro urgenza, ravvisa che questo requisito esiste e ne autorizza la presentazione in Parlamento. Il provvedimento di conversione del decreto, che deve compiersi entro 60 giorni, inizia alla Camera dei deputati. Le competenti commissioni lo esaminano ma mentre l'esame è già in corso cominciano a piovere emendamenti di estrema importanza presentati dal governo, sicché la materia da esaminare cambia in continuazione sotto gli occhi dei deputati e del presidente della Camera.
Vengono introdotte norme su questioni di grande rilievo tra le quali lo scudo fiscale, la sanatoria per le badanti, spostamenti di risorse e di spese da un capitolo di bilancio ad un altro ed infine un complesso di norme che di fatto tolgono alla Corte dei Conti i poteri effettivi di indagine dei quali dispone.
La pioggia degli emendamenti è talmente copiosa da trasformare il decreto in una sorta di "passe-partout" senza alcun riguardo né all'omogeneità delle norme né alla loro urgenza. La lista degli articoli, dei commi e degli allegati si allarga a dismisura. Il presidente della Camera cerca di arginare quel diluvio ma riesce solo ad aprire un ombrellino bucherellato.
Alla fine, dopo l'ultimo emendamento inserito mezz'ora prima, il decreto va al voto su cui il governo ha posto la fiducia e passa con una stentata maggioranza, molto minore di quella di cui il governo dispone sulla carta.
A questo punto il Capo dello Stato convoca al Quirinale il ministro Tremonti, autore del decreto e di gran parte degli emendamenti che l'hanno trasformato, e in un colloquio di tre ore gli segnala una serie di punti istituzionalmente e costituzionalmente irricevibili. Si augura che il Senato in seconda lettura li emendi, fa capire che in caso contrario rinvierà il decreto alle Camere per un secondo esame come
Tremonti ascolta, discute, controbatte; alla fine si impegna ad emendare il decreto. Ma poco dopo fa sapere che le correzioni suggerite da Napolitano non avverranno in Senato dove invece il decreto sarà approvato e convertito in legge con (ennesimo) voto di fiducia senza cambiare una sola virgola. La correzione avverrà subito dopo attraverso un decreto-bis (anch'esso da convertire in legge) che modificherà la legge appena approvata.
Una procedura macchinosa al limite della Costituzionalità, voluta dal governo per un solo ma decisivo motivo: il timore che la maggioranza al Senato si sfaldi e la legge affondi. Con un nuovo decreto ci saranno invece altri due mesi di tempo.
Il Capo dello Stato accetta questa procedura (che ha un precedente che può giustificarla) ma mette una condizione: il nuovo decreto dovrà essere emesso un minuto dopo il passaggio del vecchio decreto al Senato. Napolitano firmerà contemporaneamente la promulgazione della legge e il decreto-bis che la modifica, che è quanto finalmente è avvenuto ieri.
Ho motivo di pensare che il presidente della Repubblica avrebbe di gran lunga preferito che gli emendamenti da lui sollecitati fossero decisi dal Senato. Ma ho anche motivo di pensare che a Napolitano stesse più a cuore che la legge fosse emendata piuttosto che la procedura per ottenere quel risultato.
La morale che emerge da questa penosa vicenda è la seguente: il governo se ne infischia della Costituzione ed anzi opera in tutte le occasioni per svuotarla usando strumenti di urgenza anche dove l'urgenza non c'è e usandoli in modo da scavalcare filtri ed ostacoli. Si è arrivati al punto che una norma di legge fiscale, quella sul pagamento delle imposte da parte dei terremotati dell'Aquila, sia stata emendata con una circolare della Protezione civile anziché con un provvedimento legislativo perché il governo non si fida più della sua maggioranza se non vincolandola con il voto di fiducia. Questo è solo un esempio che dimostra il marasma istituzionale in cui ci troviamo.
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Per evitare (per ora) l'incendio generale Berlusconi sgancia a Palermo quattro miliardi e (per ora) il leghismo siciliano rinfodera le armi. Quei 4 miliardi in realtà sono finti, prelevati da risorse già destinate alla Sicilia ma bloccate. Semplicemente sono state sbloccate anche se la cassa non ci sarà fino al 2010.
A questo punto entrano in fibrillazione
Berlusconi promette un piano Marshall per il Sud ma se ne riparlerà a settembre e i fondi comunque sono sempre quelli già stanziati ma non disponibili. La cassa ci sarà, a dio piacendo, tra il 2010 e il 2013. Intanto la secessione silenziosa della Lega va avanti.
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L'esercito italiano è un'espressione "nazionale" e come tale si dà carico di rappresentare il paese nei luoghi dove la pace è minacciata dal terrorismo o da altre emergenze. Ma alla Lega nulla importa che l'Italia sia presente come Stato e chiede il ritiro da tutte le missioni all'estero. Meglio impiegare i soldati per spazzare i rifiuti e per impedire gli sbarchi dei migranti.
La scuola ha una missione culturale nazionale ma
P. S. Ho chiesto domenica scorsa che fine avessero fatto i 35 miliardi di maggiori spese ordinarie fatte dal governo senza che se ne conosca la destinazione e il perché. Ovviamente il ministro dell'Economia non ha risposto. Né, nelle sedi istituzionali, è stato incalzato a rispondere. Ha risposto sulle minori entrate ma non sullo sfondamento sorprendente della spesa ordinaria.
Mi permetto di domandare a Casini, a Franceschini, a Bersani, a Di Pietro, a Ferrero: a voi non interessa sapere perché uno sfondamento così sorprendente è avvenuto? La più pesante manovra finanziaria degli ultimi vent'anni fu quella fatta da Giuliano Amato nel 1992: novantamila miliardi di lire. Lo sfondamento della spesa di quest'anno (35 miliardi di euro) è pari a 70 mila miliardi di lire. Nessuno è interessato a capire in quale buco nero e perché sono finiti?
EUGENIO SCALFARI
Vignetta tratta dal sito:
Grazie per aver ripreso il commento di Scalfari. La tua rassegna stampa è interessante e si radica sempre più il convincimento che l'informazione reale passa sul web, che l'opinione pubblica riceve una diversa visione del mondo, assai falsata e che il digital divide è destinato, semmai, ad accrescersi oppure cristallizzarsi proprio per conservare i consensi. Altrimenti ci sarà qualcuno che griderà: "Il re è nudo".
RispondiEliminaLa laicità, poi, è un tema che mi sta molto a cuore.
Sarà bene prendere nota dell'allarme rosso lanciato da Scalfari, perchè qualora dovesse esserci l'implosione non so in quanti potranno salvarsi.