domenica 12 ottobre 2008

Se questa è una donna







2008-10-11 18:33 Eluana: emorragia interna diffusa Curatrice: medici e padre d'accordo, nessuna trasfusione (ANSA) - MILANO, 11 OTT - Un'emorragia interna profusa sta compromettendo la situazione clinica di Eluana Englaro, la donna in coma dal 18 gennaio 1992. Lo conferma il prof. Defanti, suo medico curante. 'Siamo in una fase critica. Aspettiamo solo il progredire della situazione', dice l'avv. Alessio, curatrice speciale di Eluana, che, lasciando la casa di cura Beato Luigi Talamoni di Lecco, ha affermato: 'E' stato concordato di non fare trasfusioni. E non c'e' stato un rifiuto da parte del padre'.


 


È una vicenda penosa e straziante, quella di Eluana Englaro che ho cercato di racchiudere in questa serie di articoli. C’è anche un appello, lanciato su MicroMega, da parte del mondo cattolico. Firmiamo affinchè a questa donna sia concesso di riposare in pace, sottratta al clamore mediatico e all’ottusità di buona parte del mondo politico. Firmiamo, per quel che potrà servire, perché è necessario approvare una legge sul testamento biologico, affinché ciascuno di noi, nel pieno possesso delle facoltà mentali, possa lasciare istruzioni scritte su come si debba agire in circostanze simili.


Un argomento, come si usa dire, trasversale che però non porta voti, semmai ne fa perdere. Per tale motivo, al di là di generiche richieste, nessuna forza politica si decide ad affrontare il problema con la serietà necessaria e con il rispetto dovuto nei confronti di persone ormai ridotte allo stato larvale.


Il racconto di Giovanni Maria Pace, risale a otto anni fa e permette di considerare come si sia trattato di anni di sofferenza e inferno che dovevano essere risparmiati al padre Beppino e alla madre Saturna che si è “spenta”, stando accanto alla figlia. Adesso è malata di cancro.


Ma è la testimonianza di Piero Colaprico che colpisce e paralizza. Il giornalista de “la Repubblica” è stato nella stanza di Eluana e si fa fatica a leggere ogni riga del suo articolo, sicché arrivando alla fine del pezzo si è come sollevati, mentre in realtà il macigno della conoscenza dello stato di Eluana, di come è adesso, toglie il respiro e contrasta violentemente con quelle foto che ci sorridono da ogni articolo che la riguarda. Con quegli occhi luminosi e da anni spenti, inesistenti. Se è vero che essi sono lo specchio dell’anima, ebbene Eluana è senz’anima dal 18 gennaio 1992. Lasciamo, finalmente, che possa riposare in pace.


 


 


“Eluana Englaro si trova in stato vegetativo permanente dal 18 gennaio del 1992 quando rimase vittima di un grave incidente stradale. Eluana, all'epoca 20enne, verso le quattro di quella mattina si schiantò contro un muro nei pressi di Lecco. Lo schianto le procurò un fatale trauma cranico e la frattura alla seconda vertebra cervicale, una condanna alla paralisi totale. Per salvare la vita della ragazza, i medici dell'ospedale di Lecco, dove venne ricoverata, decisero di intubarla e le somministrarono i primi farmaci.


"Aspettiamo dodici mesi". Trascorse le prime 48 ore, Eluana non accenna a svegliarsi dal coma vegetativo. Ad aprile viene dimessa dalla rianimazione e trasferita in un altro reparto dell'ospedale di Lecco, dove è sottoposta a una serie di stimoli, nella speranza che possa "risvegliarsi". Il parere di diversi specialisti, consultati dal padre della ragazza, invitano ad aspettare quei dodici mesi che anche a livello internazionale vengono richiesti prima che si possa procedere con la sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiali.


Corteccia cerebrale compromessa. Ma dopo 12 mesi la diagnosi definitiva e sicura per Eluana è di stato vegetativo permanente, ossia irreversibile. La regione di corteccia cerebrale compromessa dal trauma va incontro a una degenerazione definitiva compromettendone tutte le funzioni”.


la Repubblica (1 ottobre 2008)









Storia di Eluana in coma da 8 anni

MILANO - Ha gli occhi aperti ma non vede, il suo volto è privo di espressione, gli arti immobili. Eluana si trova in questo stato da otto anni, da quando un incidente d'auto le ha spento il cervello. Ora ne ha ventinove e i medici dicono che non si risveglierà. Si trova in "stato vegetativo", una condizione di vuoto assoluto, di assenza totale di sensazioni, sentimenti, dolore. Eluana vive perché un cannello nasogastrico introduce nel suo stomaco alimenti e liquidi, e soprattutto perché caritatevoli mani l'accudiscono giorno e notte. Non c'è speranza che torni tra noi, che esca dal limbo. Eluana è di forte costituzione potrebbe restare a lungo così, a meno che l'alimentazione artificiale non venga interrotta. Ma il tribunale non dà il permesso anche se a chiedere di porre fine alla triste condizione della ragazza è il padre, Beppino Englaro. La legge impedisce di interrompere la sofferenza dell'uomo e di sublimare nel lutto la perdita, di fatto già avvenuta, della figlia che le infermiere girano nel letto ogni due ore per evitare le piaghe.


Che cosa è successo al cervello di Eluana? "Il trauma ha causato l'interruzione dei collegamenti fra la corteccia cerebrale e i centri nervosi sottostanti", risponde Carlo Alberto Defanti, il neurologo di Niguarda che ha seguito la ragazza negli ultimi due anni. "È come se la corteccia, sede dei processi cognitivi, sia isolata dal mondo: non è più in grado di ricevere stimoli esterni né di comandare i muscoli del corpo. Il tronco cerebrale continua invece a funzionare, come dimostra il persistere della respirazione spontanea". Quello di Eluana, ragazza di Lecco ridotta a un vegetale, da evento medico è diventato caso giudiziario, che tocca corde sensibili e mette a nudo le contraddizioni della medicina moderna. Nel 1996, quando è ormai chiaro che la giovane non potrà riprendersi, il padre chiede l' interruzione dell'idratazione e della nutrizione. Ma i medici inorridiscono. Englaro si rivolge allora alla Consulta di bioetica e insieme con il gruppo laico di giuristi e scienziati elabora una strategia: diventare tutore della figlia e in tale veste rinnovare la richiesta di sospensione del trattamento, nell'interesse di Eluana. "L'idea - spiega l'avvocato Maria Cristina Morelli - è che una persona minorata non gode del diritto di esprimere il consenso informato alle cure che spetta a tutti i cittadini, e che tale sperequazione va colmata con la nomina, appunto, di un tutore. Il tutore integra come una protesi la mente obliterata di Eluana e compie per lei le scelte migliori, evitando la delega totale ai medici".


Il padre-tutore si rivolge dunque al tribunale di Lecco, che nel marzo '99 respinge la richiesta. Englaro impugna il decreto di fronte alla Corte d'appello di Milano, la quale accetta il principio della surrogazione ma - poiché non c'è accordo nel mondo scientifico e giuridico sul fatto che la nutrizione artificiale sia assimilabile a una terapia - nega il permesso di togliere il sondino. La tesi di Englaro è che insistere con gli alimenti configura una situazione di accanimento terapeutico, mentre i giudici sostengono che l'alimentazione artificiale non è atto terapeutico ma semplice assistenza, quindi non passibile di interruzione.


"La decisione - commenta il giudice Amedeo Santosuosso - contrasta con quella presa dai magistrati americani e inglesi nel caso, rispettivamente, di Nancy Cruzan del 1990 e di Tony Bland del 1993". La Camera dei Lord si è rifatta a un documento della British Medical Association che stabilisce che non ha senso, dopo un anno dell'accertamento dello stato vegetativo, insistere nel mantenere in vita il decerebrato. "Sarebbe interessante - continua Santosuosso, che oggi partecipa ad un incontro su Eluana organizzato all'Università degli Studi da Politeia e Zadig - che anche i medici italiani venissero allo scoperto. È al loro parere che occorre attenersi. Il dilemma origina da un’azione medica: lo stato vegetativo emerge da un tentativo di rianimazione condotto in condizioni estreme e fallito. Quando le rianimazioni non esistevano la gente moriva e basta". –


di GIOVANNI MARIA PACE




Il caso Eluana Englaro


"Lasciamo che Eluana riposi in pace". Un appello dal mondo cattolico


FIRMA L'APPELLO


"Pensando ad Eluana Englaro i nostri primi sentimenti sono di affettuosa amicizia e di solidarietà nei confronti della sua mamma e del suo papà. Esaminando invece la situazione che si è determinata e scrivendo dall'interno della nostra Chiesa cattolica, non possiamo che esprimere il nostro sconcerto e la nostra amarezza per quanto riguarda la posizione dei vertici ecclesiastici che contribuisce a suscitare un grande e inopportuno clamore mediatico intorno ad una persona crocifissa su un letto da sedici anni.


Ci sembra che la pietà sia dimenticata e che non ci sia serenità nell'esaminare la situazione di fatto, avendo come riferimento le parole di speranza del Vangelo. Dio è il signore della vita e della morte e ad ogni essere umano tocca affrontare la conclusione dell'esperienza terrena, che è solo una fase della vita, accompagnato da chi lo circonda con dolcezza e rispetto, verso il futuro di felicità che ci prefigura la nostra fede. Ci sembra invece che ci si accanisca nei confronti di Eluana e che non si rispettino le sue precedenti accertate dichiarazioni di volontà prima dell'incidente, secondo la testimonianza dei genitori e di altri, e che non si prenda atto della sua attuale perdita definitiva della coscienza.


Ci sembra che, in questa vicenda, si manifesti una concezione meccanicistica e materialista della vita che è ben diversa da quella fondata sui sentimenti e sui valori spirituali vissuti coscientemente che caratterizza la visione cristiana della persona umana. Non ci può essere contrapposizione tra "principi" e "fatto": il principio astratto della vita e il fatto di una "vita non vita". Anche la scolastica insegna che "contra factum non valet argumentum" che si potrebbe tradurre con: "i fatti sono incontrovertibili".


Ci sembra criticabile il consenso al conflitto formale (prima sollecitato e poi applaudito) che si è aperto, in modo del tutto inconsueto, tra il potere legislativo ed il potere giudiziario in relazione alle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte d'Appello di Milano; questo consenso è la conseguenza di una mobilitazione propagandistica che ignora i principi dello Stato di diritto su cui si fonda la Costituzione repubblicana.


Ci sembra anche che l'impegno a difesa della vita non debba manifestarsi, principalmente o solo, sulle modalità del suo inizio e della sua fine naturale, ma con attenzione alla sua qualità e al percorso terreno di ogni donna e di ogni uomo. Così l'impegno dei cristiani e della Chiesa dovrebbe, anzitutto e soprattutto, prestare attenzione alla vita concreta dei tanti che fanno fatica a vivere e la cui esistenza vita è sempre a rischio o addirittura è violentemente interrotta.

Sarebbero quindi necessarie forti campagne di opinione, con le mobilitazioni conseguenti, oggi, qui, nel nostro paese, nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità religiose come nei movimenti, nelle associazioni e nelle comunità cristiane di base a favore di chi rischia gli infortuni sul lavoro, per i clandestini nel canale di Sicilia, per le donne che subiscono violenze, per quanti, militari o civili, soffrono in Iraq, in Afghanistan o in Georgia o sono coinvolti nelle tante guerre dimenticate sparse nel mondo, per chi vive nel Darfur o in Somalia, per i milioni di bambini che sono privi di assistenza e di istruzione.


Perché poi cercare di creare, nell'immaginario del nostro popolo, una contrapposizione tra l'identità "cattolica" che, da sola e sempre, difenderebbe la vita e quella "laica" che spregiudicatamente sarebbe disposta a facili cedimenti etici? I credenti, senza erigersi a maestri, potrebbero offrire a tutti la ricchezza della loro vita spirituale e della loro sensibilità morale per dialogare sui problemi della vita e della morte come si pongono ora e per cercare insieme le risposte delle istituzioni a problemi nuovi e complessi che la scienza pone oggi all'inizio del terzo millennio. Nel mondo cattolico sono ormai tanti quelli che condividono il punto di vista secondo cui l'identità del credente sta nelle parole di speranza, di misericordia e di vita della Parola di Dio e non nelle campagne o nelle crociate.


Lasciamo che Eluana vada in silenzio e in pace nel Regno della Vita. Per lei e per la sua famiglia."

Primi firmatari: Vittorio Bellavite, Milano; Paolo Farinella, Genova; Giancarla Codrignani, Bologna; Giovanni Avena, Roma; Grazia Villa, Como; Enzo Mazzi, Firenze; Teresa Ciccolini, Milano; Albino Bizzotto, Padova; Giovanni Sarubbi, Avellino; Lisa Clark, Firenze; Alberto Simoni, Pistoia; Rosa Siciliano, Bari; Giovanni Franzoni, Roma; Carla Pessina, Milano; Marcello Vigli, Roma; Andrea Gallo, Genova; Margherita Lazzati, Milano; Piero Montecucco, Voghera; Gustavo Gnavi, Ivrea; Domenico Basile, Lecco; Chiara Zoffoli, Lecco. Catti Cifatte,Genova.

(9 ottobre 2008)


 








Un giorno nella stanza di Eluana



LECCO - Eluana Englaro oggi ha i capelli corti. Dire che se ne sta a letto è già un mezzo inganno, perché, quando la si vede, quando la si osserva, si percepisce qualcosa che potrebbe essere anche la forza di gravità: qualcosa che non la lascia semplicemente adagiata tra le lenzuola, ma sembra risucchiarla giù, verso un altro luogo, mentre la ragazza, inerme in tutto, non può opporsi. Gli occhi, che nelle foto pubblicate dai giornali, sono spesso ironici e lucenti, colpiscono. Sono strabici, perché questa forza oscura e le ferite cerebrali hanno vinto i muscoli, ormai appannati. Anche le giunture sono anchilosate, lo si vede dai polsi che escono dalla camicia da notte candida.


Diteci com'è Eluana oggi, perché fate vedere le sue vecchie foto e non mostrate com'è adesso? Sono richieste anche legittime, quelle dei lettori nei blog e nei forum (non tutte, certo, perché in qualcuno si percepisce una curiosità che sconfina in un territorio meno nobile). Ma Eluana non è speciale. Se frequenti gli ospedali, sai che appartiene a una nuova umanità disgraziata, che si sta moltiplicando grazie ai progressi della medicina, quella degli esseri umani in stato vegetativo. Solo in Italia sono circa tremila persone e in qualche modo si assomigliano tutti: alternano momenti di veglia (stanno con gli occhi aperti) a momenti di sonno (stanno con gli occhi chiusi), emettono suoni, gemiti, sospiri senza alcuna attinenza con quanto accade intorno al loro capezzale. I neurologi sostengono che non esiste alcuna possibilità di entrare in contatto con loro, perché non reagiscono in maniera intelligente. Possono avere un soprassalto se c'è un rumore, o una smorfia se si fa loro del male, si tratta però di riflessi. Respirano da soli. Ma se su quegli occhi aperti si avvicina la punta di una matita, restano aperti: nessuna minaccia li muove o li chiude. Perciò la giornata di Eluana, intesa come giornata, non esiste: esiste il non-mondo di Eluana.


Oggi questa donna di 36 anni sta al secondo piano della clinica, in una stanza da sola, dove siamo entrati anche noi. Non raramente è in penombra, con suor Rosangela quasi sempre accanto a lei. Lo fa dal 7 aprile del 1994. Prima, per quasi due anni, Eluana, finita fuoristrada con l'auto, spedita d'urgenza in rianimazione, a poco più di vent'anni - tanti ne aveva - era stata ricoverata nel reparto di lungodegenza riabilitativa dell'ospedale di Sondrio. Risultati della rianimazione? Deprimenti. Ma «faremo il possibile», aveva promesso il primario di Sondrio. Le hanno in effetti tentate tutte. Anche in questo caso, miglioramenti pari allo zero.


Un giorno una compagna di scuola di Eluana è andata a trovarla proprio mentre la spostavano dal letto, usando un paranco: «Come se fosse un sacco di patate, lei che non voleva farsi mettere le mani addosso da nessuno». Lo shock è stato tale da tenere questa ragazza lontana dall'ospedale per un bel po' .


Ogni briciola di quella speranza invocata qualche settimana fa in una lettera fraterna anche dal cardinal Tettamanzi è sparita in fretta. E non da sola. Anche la mamma di Eluana, restando accanto alla figlia, «si è consumata». Non compare mai, nelle interviste o in pubblico, perché si è ammalata di cancro e sta malissimo. Papà Beppino le fa da scudo, come fa da scudo alla figlia. I medici gli avevano suggerito: «Pensa alla tua vita, per Eluana non puoi fare più nulla, ci pensiamo noi». Ma questi Englaro, a dispetto di tutto, erano e sono una famiglia unita: e il papà non ha mai mollato per pensare a sé stesso, perché «Eluana intendeva la vita come libertà di vivere, tra noi c'era come un patto di rispetto reciproco delle nostre volontà». Parlando della figlia, l' ha definita «un cristallo». I pezzi di quel cristallo, i cocci della fragilità di una creatura, forse potranno avere sepoltura grazie a un tribunale, o forse no. Al momento, accanto alla ragazza in questo stato «da 6082 giorni, 16 anni sette mesi e ventitré giorni», come scandisce il papà, ci sono i peluche, le sue foto al mare e sugli sci, i cassetti sono colmi di quegli abiti, di quella biancheria che la mamma esausta e piangente ha continuato a comprare, perché voleva che la figlia, bella, fosse bellissima.


La sua bellezza ancora traspare, una bellezza di porcellana, dove qualcuno scorge il soffio della vita, e qualcuno no: ne intravede solo il diafano ricordo, un fantasma traslucido. Ma d'altra parte, gli stessi medici, al papà che chiedeva lumi, non avevano risposto: «Non abbiamo risposte, non abbiamo soluzioni»? Sua figlia, gli avevano detto, è una «non-morta, con gravi handicap». Tutti, compresa e forse soprattutto la suora, e anche il professor Carlo Defanti, il neurologo che si è detto disponibile a staccare il sondino di questa sua paziente, hanno spiato la quotidianità di questa "non-morta". Mai un cenno, mai hanno percepito uno sguardo, mai una sensazione che qualche cosa della sua volontà, della sua energia sprizzasse all'esterno del guscio della pelle. E così non restano da fare che alcune cose pratiche.


C'è stato chi, nelle polemiche venate di crudeltà che caratterizzano questa vicenda umana, clinica e giuridica, si è spinto sino a dire che Eluana fa anche ginnastica. La situazione è, in sintesi, questa. Ogni pomeriggio alle 17 una sacca beige, con dentro un "pappone", un composto di nutrimenti e medicine, viene pompato, attraverso il sondino nasogastrico, direttamente nello stomaco di Eluana, che ha perso la capacità di deglutire, non potrebbe cioè essere imboccata. Questo pasto dura dodici ore. Poi viene sostituito dalla sacca dell'acqua, per l'idratazione. Per evitare le piaghe - e non se n'è mai formata una, tanto è efficiente l'amore di suor Rosangela - Eluana viene spostata dal letto. E qua non c'è il paranco, come nell'ospedale, e non ci sono infermieri che protestano per la fatica: questa religiosa con spalle da artigliere l'abbranca, circonda con le sue forme e la sua forza quel fragile essere dalla testa ciondolante, mette Eluana a sedere sulla carrozzella, per un paio d'ore circa. Quando non ci sono giornalisti e fotografi (sarebbe vietato fotografare e pubblicare chi è incapace di intendere e volere, ma non si sa mai), la trasporta nel piccolo giardino, con panchine di pietra e fiori profumati. Comunque, Eluana va sorvegliata a vista, perché se non è imbracata, può cadere in avanti.


Poi c' è la fisioterapia passiva, cioè «le mani altrui», un concetto che per Eluana equivaleva a una violenza, la toccano, la muovono, danno tono per quel che si può ai muscoli inerti come gomma. Succede anche tre volte al giorno, il tempo deve passare, le cure si devono eseguire. Ed è così che «la mamma si è consumata come una candela accanto alla figlia», lamentandosi perché «non l'hanno lasciata morire». Lo stesso papà Beppino, vincendo il pudore che tante volte lo frena, una volta ha detto al cronista che «Sati è morta dentro quando è morta Eluana, e poi è sopravvissuta a se stessa, distruggendosi».


Eluana, nel letto, senza fame, senza sete, senza riconoscenza, senza affetto (lo affermano i neurologi) resta ignara di questa battaglia e di questi dolori dei suoi amatissimi genitori, e pure dei tanti pensieri e delle emozioni che causa la sua tragedia. Il papà, invece, convinto, forse anche da socialista vecchia maniera, che «la sola libertà è dentro la società» non ha accettato quel concetto di «portatela a casa, la facciamo morire di nascosto». Ancora ieri ripeteva: «Da quello che si è creato clinicamente, solo clinicamente si può uscire».


dal nostro inviato PIERO COLAPRICO


la Repubblica (10 settembre 2008)



1 commento:

  1. Di fronte a questi fatti si prova un grande dolore. Almeno, a me capita così perché non ho mai accettato l'idea che alle persone venga negata una morte dignitosa in nome di astratti inni alla vita. Una vita, peraltro, che non è più tale.



    Personalmente sono favorevole al testamento biologico e, se mi si consente, anche ad "aiutare" chi versa in certe condizioni e vuole morire. Perché mai bisogna far soffrire atroci dolori a qualcuno che chiede e vuole morire? Perché una persona sana deve obbligare un'altra a sopportare una vita costituita solo da dolore? Perché mai non posso decidere per me? Perché le fredde istituzioni devono impedire a una persona di riposare finalmente in pace?



    So bene i motivi che sono alla base di questo stato di cose. Mi auguro che a poco a poco certe superstizioni scompaiano.



    Ciao

    Romina



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