mercoledì 15 ottobre 2008

Nessuno tocchi Saviano







Svegliarsi una mattina (ieri) e apprendere la notizia che sconcerta e amareggia. Vogliono uccidere Roberto Saviano. Lo vogliono morto entro Natale. Il dettaglio si infila come lama acuminata nella giornata che sta iniziando, perché che la camorra lo voglia sottoterra non sorprende, rientra nell’ordine anomalo delle vicende italiche. In seguito le precisazioni: non solo lo vogliono eliminare, ma dovrà essere un attentato spettacolare. E quella lama si conficca anche nell’animo. Mi accorgo di stringere gli occhi ascoltando la notizia, vedo scorrere le immagini di questo ragazzo che non si capisce perché sia destinato a diventare un eroe di questi tempi maledetti. Come un morto che cammina, così come si sentiva Paolo Borsellino dopo l’uccisione di Falcone. E come a Capaci i Casalesi vogliono intervenire. Ascolto e credo di capire che si sta acquistando esplosivo per piazzarlo sulla Napoli-Roma: una strage entro il 25 dicembre. Trattengo le lacrime. Lo faccio con fatica, perché salgono salgono e io non sono più abituato a piangere. Non voglio piangere per Roberto Saviano: che nessuno lo tocchi!


Poi oggi la terza amarezza e il dolore. Si racconta a “la Repubblica”, nell’articolo che riporto (nella versione on line hanno storpiato il cognome nella didascalia sotto la foto). Si stringe il cuore leggendo il suo sfogo, comprensibilissimo.


Vorrei chiedergli di non mollare, di non abbandonare, ma convengo che ha ragione. Questo Paese, per come si sta involvendo non merita che un ragazzo, neppure 30enne, debba essere prigioniero della verità delle sue parole. Non lo merita la classe dirigente di questo Paese da cui vorrei cancellarmi pure io, assai modestamente rispetto a Roberto Saviano, perché lo farei solo per l’insopportabilità della situazione, per il regresso culturale (classi separate per i bambini stranieri), per l’imbarbarimento etico, per l’arroganza, il nulla continuamente esibito, la stupidità (l’ometto B.,tessera P2 n° 1816, che si pavoneggia tra i sondaggi che ne accrescono la popolarità), la grettezza, il razzismo dilagante (perfino con i disegni che rappresentano bimbi neri se la prendono, spruzzandoci il bianco sopra).


È giusto, dunque, che Roberto Saviano possa riprendersi la sua vita e l’unico modo che ha, scavalcando l’ipocrita e pelosa solidarietà che gli arriva proprio da coloro che dovrebbero espellere quel cancro che è la camorra (e la mafia e la ‘ndrangheta), è quello di allontanarsi da un Paese che gli ha voltato le spalle, ormai popolato da tanti emiliovespa e brunofede, tanti servi che emettono latrati e hanno la lingua perennemente secca per leccare e lustrare. Sì, mi fa schifo l’Italia di oggi e, da italiano, vorrei dimettermi. Solo che non posso.


E adesso spazio a Roberto Saviano, mentre mi coccolo il suo libro e ricaccio una lacrima che si sta affacciando, cazzo.


 


 


La denuncia di Saviano: circondato dall'odio per le mie parole


Vado via perché voglio scrivere ed ho bisogno di stare nella realtà


"Io, prigioniero di Gomorra lascio l'Italia per riavere una vita"


di GIUSEPPE D'AVANZO


 


«ANDRO' via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...», dice Roberto Saviano. «Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente. Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. 'Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me».


La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d'animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un'imprevedibile popolarità, dall'odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall'invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo.


«Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all'anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, "usarmi". È come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell'attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell'energia sociale che - come un'esplosione, come un sisma - ha imposto all'agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. È la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me. Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.... I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E' una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?».


Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna. Capita anche in queste ore, qui e lì. È poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l'autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l'esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile.


E' poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l'ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l'inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.


«Lo sento addosso come un cattivo odore l'odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l'onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell'infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell'esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell'infame ha scritto il libro. E quest'argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l'intera comunità può liberarsi della malattia che l'affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell'inciviltà e dell'impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. È il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l'informazione. Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro - potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L'ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo - lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest'ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: "Robe', tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là"».


A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia italiana.


La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in un'area d'indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola. Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.


la Repubblica (15 ottobre 2008)










Vignetta di Mauro Biani tratta dal sito: http://maurobiani.splinder.com/

12 commenti:

  1. stefanomassaottobre 16, 2008

    complimenti per il post

    io non amo particolarmente il personaggio Saviano, e l'hi detto + volte

    comunque la notizia in questione si è rivelata una bufala, sembrerebbe, e di questo son contento (per Saviano)

    ti saluto e spero che mi riblogfrequenterai+ spesso...stef

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  2. stef, quanto a ribloggarti siamo nell'ambito del vorrei ma sempre meno posso. Comunque sei già linkato da tempo e non ti perdo di vista (in entrambi i blog).

    Una bufala? Apparentemente sì,però si tratta di capire perchè si sia propalata e quale sia il messaggio che nasconde. La famosa dietrologia che i fatti di cosa nostra e non solo hanno sempre tenuto in allenamento.

    Permettimi, infine, di non essere d'accordo sulla definizione di "personaggio" che attribuisci a Saviano. Non ho potuto leggere i tuoi pareri, che saranno senz'altro motivati, perchè non parli avventatamente, però Saviano è personaggio suo malgrado. In realtà ha sempre difeso il suo ruolo di scrittore, lo ha sempre sottolineato e solo in questo disgraziato Paese chi racconta la verità viene "incarcerato", a differenza dei padroni del territorio casalese e campano, per esempio.

    Cordialità

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  3. Frank, io sono della sua zona quasi e cerco di fare il giornalista. Permettimi di dire che se fosse ( o fosse stato) vero che vuol lasciare il Paese non c'è luogo dove non si possa riconoscere, a meno che non sia l'Oceania o qualche isola sperduta dove non arrivano i media.

    Ho delle riserve sul polverone: è e fosse una strategia della Casa Editrice per vendere?

    Questi le escogitano tute anche passare sui sentimenti altrui..

    Con la solita franchezza

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  4. ilvecchiodellamontagnaottobre 16, 2008

    Terribile vicenda, e i due commenti ne sottolineano la terribilità.

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  5. marzia,apprezzo come sai la tua franchezza, ma non mi sento in sintonia con la tua ipotesi. Sento invece quel senso di "terribilità", come ha espresso il vecchio, che deriva, o almeno in me deriva, da qualcosa che sta accadendo sotto i nostri occhi, secondo i canoni più consolidati e ancora una volta le istituzioni "vegliano" (che termine macabro nei titoli, la vegli è per i defunti), solidarizzano in maniera bipartisan, come si usa dire e poi accada quel che accada. Non penso assolutamente a manine o manone della casa editrice (il suo libro ha stravenduto copie), quanto al polverone sollevato ad arte, affinché nel clamore arrivino a confondersi le varie voci e risalti anche chi sbuffa, è infastidito. Hai presente quell'intercalare: non sono razzista, ma...".

    Temo molto per Saviano, proprio per questo macabro avvicendarsi di rivelazioni, smentite, fax di un assassino tramite l'avvocato: mi sembra la preparazione di qualcosa di molto sgradevole.

    ilvecchiodellamontagna, ti saluto sempre con rinnovato piacere da queste parti, presenza di prestigio la tua e ne sono lusingato.

    Come ho già scritto a marzia, il termine che hai adoperato fotografa la situazione e allarma terribilmente, appunto.

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  6. Da decenni i politici di tutti colori parlano, ogni tanto, di lotta alla mafia, ma è evidente che tutto resta sempre uguale, niente è cambiato. Tutte belle chiacchiere perché, quando poi si va ad approfondire, ci si accorge che in tutti i partiti c'è "collusione" e che nessuno è immacolato. Anche il Pd, per essere sinceri, non brilla. Berlusconi al potere è una vergogna nazionale e si sa, ma l'opposizione non è convincente, almeno secondo me, e ha non pochi altarini che infatti la rendono ambigua.



    Opinioni personali, naturalmente. Certo è che, data la situazione, per Saviano l'Italia rappresenta un rischio continuo.



    Saluti

    Romina



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  7. Invece credo che proprio il parlarne, il farsi vedere il più possibile in giro, la visibilità, insomma, della persona Saviano e cio' che essa rappresenta possa essere una specie di tentativo di sopravvivenza. Ecco, più che il fax di minaccia del legale di Sandokan, mi preoccupa di più il pubblico attestato di fiducia che gli è arrivato, tramite "Repubblica", dal Presidente del Consiglio (che, con la sua raffinata classe, non ha perso occasione di autocelebrarsi...).

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  8. ombradelventoottobre 17, 2008

    sono combattuta nel leggere i vostri commenti e le risposte di frank. Credo fermamente nella libertà di parola, di pensiero e di opinione e Saviano ha fatto solo questo.E' diventato un personaggio grazie ad un libro che gli italiani hanno letto che la critica ha celebrato. Siamo bravi a fare gli applausi per il suo coraggio, poi al momento della minaccia, e stiamo parlando della vita e non di un gioco, ci tiriamo indietro. Non sono d'accordo con chi dice che è un "personaggio"...lo era Falcone, lo era Borsellino, lo era Peppino Impastato.

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  9. Ho l'impressione che molti parlino di Gomorra senza averlo letto e di Saviano senza rendersi conto del grandissimo coraggio di questo giovane scrittore che, conoscendo a fondo l'ambiente della camorra, ne ha voluto raccontare e denunciare particolarità e campi di azione.

    Che poi Saviano sia più o meno simpatico a qualcuno, mi sembra ininfluente. Quello che resta di immensamente importante è che il suo libro ha aperto un pesante sipario sulla criminalità organizzata della cui esistenza tutti sapevano ma che nessuno aveva mai osato rappresentare con tanta vivezza raccontando fatti, storie, mentalità, interessi, obiettivi , vendette, rapporti con il mondo cosiddetto normale . Gli auguro di poter avere una vita normale, il più felice possibile: se l'è guadagnata con la sua onestà ed il suo coraggio.

    Ross

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  10. Romina, intanto sul Pd io non faccio nessun affidamento, perché si è rivelata una scommessa sbagliata che ha prodotto risultati disastrosi. Il peggiore l’ascesa del sovrano. Poi ci sono anche gli autogol di una sinistra inultimente litigiosa. Ma non è questa la sede. Credo che a far impallidire i signori (sic!) delle istituzioni dovrebbe essere la constatazione che in almeno tre regioni italiane lo Stato non sia mai stato presente, che l’economia legale e reale sia palesemente corrosa dalle mafie e che uno scrittore, chè questo è Saviano, per aver squarciato con il suo bellissimo reportage un ambiente ancora poco conosciuto, per averlo in sostanza “sputtanato”, si trovo ad essere privato della sua vita, mentre per dirne una un sottosegretario più volte accusato da collaboratori di giustizia di profonde collusioni con la camorra sia al suo posto. Per esempio. E che non dovrebbe, non esiste proprio che l’Italia, il paese in cui è nato e cresciuto sia un rischio continuo – come scrivi. Anche questa giusta osservazione fornisce l’idea della totale anormalità del tutto. Poi, ad illuminare ogni cosa, il servizio di Repubblica Tv girato tra gli adolescenti di Casal di Principe.

    Fratello, aggiungerò la lettera dell’omino B., tessera P2 n° 1816. Mi è venuta subito l’idea quando ho letto ciò che ha scritto. Tu naturalmente hai colto tutto. Sono d’accordo. È la visibilità a rappresentare il lasciapassare, in qualche modo, per la sua sopravvivenza. Se poi ci rendiamo conto di come sia terribile accorgersi di una cosa che sappiamo tutti, vale a dire la forte probabilità che possa essere ucciso e debbano solo decidere quando. È assurdo tutto questo. E tragico nello stesso tempo. Infine ripugnante.

    Un abbraccio e attendo fiducioso per ciò che sai.

    ombradelvento, saluto con piacere il tuo ritorno. E pensare che Saviano non ha fatto nulla per assurgere al ruolo di “personaggio”, qui entra in gioco lo spietato meccanismo dei mass media che triturano, a modo loro, chi diventa protagonista e quindi “personaggio” suo malgrado. Ha scritto un libro ed è stata la fatwua italiana (a proposito di guerre di civiltà). Adesso è come se gli stessi mass media vogliano vedere sangue, perché il popolo è assetato di sangue e dunque prepara lo scenario. Macabra rappresentazione. I nomi che hai fatto sono di diritto nel pantheon di ogni cittadino che abbia senso civico. Ma di certo non mancano coloro che li uccidono ogni giorno un po’di più.

    Ross, è molto bello ciò che hai scritto (dovresti passare più spesso). Credo che al coraggio civile di Saviano dovremmo ispirarci e il suo coraggio civile indicare una strada da percorrere. Non possiamo sempre ritrovarci a celebrare funerali, a ricordarne la memoria come è sempre accaduto per le vittime di tutte le mafie. Mi unisco al tuo auspicio, ma temo fortemente per la sua riuscita. Penso che si stia preparando qualcosa di grosso. Questo è stato un esperimento per le opportune verifiche. Poi passerà un po’ di tempo e allora sì che accadrà ciò che una buona parte di noi teme, a differenza degli emilio vespa, dei brunofede, dei tesserati P2 e servi della gleba. Spero di sbagliarmi e alla grande.



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  11. C'è da capirlo se se ne vuole andare, povero Cristo! Ha ragione Ross. Se riesce ad avere una vita serena se l'è meritata! Spero davvero sia una bufala questa dell'attentato. In ogni caso ho sentito delle interviste a degli abitanti di Casal di Principe da rabbrividire. Uno che gli dava la colpa persino di essersi beccato una multa da un vigile. Tutta colpa di Saviano. Capite?

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  12. Artemisia, in quell'intervista sono racchiuse buona parte delle motivazioni per cui Saviano vuole andarsene (e fa bene, secondo me, non lo meritiamo). Ti raccomando poi il servizio su Repubblica Tv (a meno che non ti riferisca alle interviste colà contenute).

    La notizia del possibile attentato, così come è stata riferita, appare una bufala sui generis, perchè è noto che l'organizzazione terroristica di Casal di Principe lo ha condannato a morte. Si tratterà di capire come si sia propalata, chi aveva interesse a diffonderla e quale atteggiamento assumerà lo Stato. Ma già a sentire il ministro dell'Interno appare ancor più opportuna la decisione assunta da questo simbolo, suo malgrado, di impegno civile e coraggio. Questa Italia è una repubblica delle banane, ormai. La nobile figura di Roberto Saviano rende un onore immeritato alle istituzioni.

    Un caro saluto

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