lunedì 13 ottobre 2008

Il grande crac



RASSEGNA STAMPA. Lunedì 6 ottobre 2008. la Repubblica “Banche, Germania in trincea”. l’Unità “Unicredit vara piano da 6,6 miliardi”.


Martedì 7. la Repubblica “Borse, il giorno della paura” L’Europa brucia 450 miliardi, Milano perde l’8%. La Ue si spacca.


l’Unità “Borse, peggio dell’11 settembre.


Mercoledì 8. la Repubblica “No della Ue al fondo anticrisi” Fmi: un crac da 1400 miliardi di dollari. Bush: G8 straordinario.


l’Unità “Crac planetario. $ 1.400.000.000.000”


Giovedì 9. la Repubblica “Un fondo per salvare le banche italiane” B.: nessuna fallirà. Bce e Fed tagliano i tassi, ma le Borse crollano ancora.


il manifesto “La banca o la vita”


l’Unità “B.: alle banche ci penso io”


Venerdì 10. la Repubblica “Ancora paura, crolla Wall Street”.


il manifesto “Imbroglio creativo”


Sabato 11. la Repubblica “L’Europa brucia 450 miliardi” B. «Le Borse potrebbero chiudere, ma la Casa Bianca smentisce».


l’Unità “B. gioca col crollo delle borse”


Domenica 12. la Repubblica “Banche, scatta il piano Ue”. Saranno garantiti tutti i prestiti. Tremonti: «Il G8 va allargato».


Dove sono finiti i cantori del libero mercato? I profeti della globalizzazione? I paladini dell’economia creativa? Gli oppositori della presenza, opprimente, dello Stato? E coloro che saltavano sui resti del Muro di Berlino, preconizzando un Nuovo Mondo vocato al Capitalismo, generante benessere, ricchi premi e cotillons?


Dove si sono imbucati? In quale tana hanno trovato rifugio? Forse travolti essi stessi da un altro Muro crollato, quello di Wall Street? E, se così fosse, che ci restino allora.


Esiste, io credo, un altro mondo possibile, ma non era certo quello che costoro, tanti farabutti in doppiopetto, volevano imporci. Accusandoci di passatismo e anacronismo. Di essere legati a schemi vecchi e superati, celebrando funerali senza soluzione di continuità, liquidando in un sol colpo l’economia reale, quella fatta da: occupazione, produzione, investimenti e consumi. Privilegiando e incentivando solo gli ultimi, demolendo l’occupazione, facendo terra bruciata e impoverendo sempre di più le persone, quelle ordinarie, normali che i soldi (pochi e maledetti e, spesso, neppure subito) li maneggiano, senza inventarsi un’economia virtuale dove si vende ciò che non si ha e, forse non esiste. Aveva iniziato Mickey Rourke in “9 settimane e ½”, spalancando le porte ad un’epoca, esaltando il lusso di un presunto modello di sviluppo. Acquistava e vendeva soldi.


Pretendere di creare un mondo, escludendo dal centro di esso l’uomo, primo propulsore dello stesso, si è alfine rivelato fatale e drammaticamente nefasto, perché le conseguenze di questa tracimazione di arroganza e superbia, che ha portato categorie sociali ad arricchirsi indecorosamente a danni di altre, maggiormente sfruttate e impoverite, ricadranno sugli stessi che sono stati depredati negli ultimi decenni. Il crollo reale della vera borsa.


Per tale motivo, produce un curioso effetto, quasi di straniamento, leggere il reportage dall’Islanda, inquadrata come “paese perfetto” e adesso paradigma, uno tra i più efficaci, dell’inarrestabile crisi mondiale in pieno svolgimento. Lo aveva pubblicato, a fine giugno, il quotidiano “la Repubblica” nell’inserto domenicale. Ma non solo di questo mi sono ricordato, sotto la pressione delle armi di distruzione economiche.


Quarant’anni fa venne assassinato un giovane e promettente candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Il suo nome era Robert Kennedy e racchiudeva, come Barack Obama oggi, il sogno delle nuove generazioni, non solo di quel Paese. Il 18 marzo 1968, tre mesi prima d’essere assassinato, Bob Kennedy pronunciò un famoso discorso, denunciando al mondo i limiti del PIL, quel PIL che è diventato l’ossessione dei nuovi padroni della terra, parametro di ogni misurazione e valutazione.


Ho trovato due video, il secondo con il sonoro originale e, di seguito, il testo di quel discorso. Sembra scritto ieri. Il suo autore avrebbe aperto nuove frontiere. Lui e l’amico Martin Luther King avevano sogni identici. Entrambi furono uccisi.


 





http://www.youtube.com/watch?v=iLw-WLlM9aw



«Ma anche se agiamo per eliminare la povertà materiale, c’è un altro più grande compito, cioè affrontare la miseria dell’appagamento – scopo e dignità – che ci affligge tutti. Troppo, e troppo a lungo, è sembrato che l’eccellenza personale e i valori comunitari si fossero arresi alla mera accumulazione di beni materiali. Il nostro Prodotto Interno Lordo è oggi oltre gli 8 miliardi di dollari annui Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani. Se tutto questo è vero qui a casa nostra, allora è vero in tutto il mondo. Dall’inizio dei nostri più orgogliosi vanti c’è la promessa di Jefferson, che noi, qui in questo paese, saremmo stati la migliore speranza dell’umanità. E adesso, se guardiamo alla guerra in Vietnam, ci meravigliamo se ancora rispettiamo sufficientemente le opinioni dell’umanità, e se gli altri mantengono un sufficiente rispetto per noi .Oppure se, come l’antica Atene, perderemo la simpatia, e l’aiuto, e infine la nostra stessa sicurezza, a causa dell’egoistico perseguire i nostri esclusivi bersagli e i nostri esclusivi obiettivi».

2 commenti:

  1. Invece c'è chi diceva "d'avere un sogno" citando a sproposito, purtroppo. Il nostro per ora è un incubo. Vederlo lì dov'è.

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  2. flameonair e sarà un incubo che ci perseguiterà a lungo, perchè poi si fondono incubo e realtà che è quella che patiamo. Solo la Storia li renderà microscopici, ma per adesso impazzano loro.

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