lunedì 25 febbraio 2008

Un frammento di carta


Capita di ritrovarsi tra le mani un articolo di giornale, ritagliato a suo tempo e conservato con cura. Rileggendolo mi ostino a pensare al motivo che poteva avermi indotto alla selezione, ma trattandosi di quasi dieci anni fa si tratta di una rievocazione decisamente improbabile. Però è scritto con una tale delicatezza che mi piace segnalarlo, perché certe riflessioni non hanno scadenza, anzi si propongono sempre come nuove.


Il Martedì di Erri De Luca

Balcone di memorie

In una poesia di gioventù Giorgio Bassani immaginava la vita come «un dileguare di passi» per chi, appena sepolto e morto per la biologia, ancora custodiva un resto di impressioni.

A Mostar est al tempo della guerra i musulmani di quella sponda non potevano andare a seppellire i loro morti al cimitero, messo sotto tiro dalle artiglierie. Nella guerra che più si è accanita contro edifici e luoghi di cul­to, i cimiteri erano obiettivi militari.

A Mostar est i morti trovavano posto tra le radici de­gli alberi dei giardini. Stavano nelle loro piazze sotto una striscia di legno con disegno di luna. Passavo per quelle strade allora, mi affezionavo a quel posto di facce del sud e mi pareva buono che i morti restassero così vicini. Su di loro i passi non si dileguavano, la vita non li metteva da parte. Il popolo di quell'assedio, rinchiuso in cantina, ap­profittava di una tregua per uscire all'aperto e passeggiare intorno ai propri cari strappati a mucchio nell'anno novantatre.

È tempo di andare ai luoghi dei morti, è usanza di ri­tornare da loro in questi giorni. I cimiteri fioriscono in no­vembre. E’ un atto religioso che pure molti atei compiono. Lo chiamo così, religioso, perché rilega vita e persona a quell'altrove che sta intorno e addosso e che, pur senza rappacificarci con la perdita, spinge verso quel punto di confine dove ci separammo: per ricercarlo, per dare testi­monianza di affetto, di cura di pensieri. Ci sono atti reli­giosi che non implicano la fede. Così il nostro tributo è andare da loro, ma meglio sarebbe più spesso parlare di loro, di com'erano, del guizzo di ricordo intorno a un epi­sodio, a un'avventura. Se è lieta ancora meglio, perché ai morti piacciono i sorrisi e loro stessi ne tentano un ulti­mo. Così nell'evocarli, la vita li richiama ed essi stanno af­facciati a un loro invisibile balcone.

il manifesto (3 novembre 1998)

2 commenti:

  1. delicatezza saper cogliere la delicatezza,

    delicatezza l'averlo conservato , delicatezza l'avercelo proposto, delicatezza quel ponte che ho sempre avuto nel cuore...tanto similea quello del Diavolo sul Natisone.

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  2. alenic59, delicatezza è anche saper trovare parole come le tue per commentare. E di questo ti ringrazio.

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