Lo squillo del telefono è arrivato, come previsto, nella tarda mattinata di lunedì, questa volta per fissare un appuntamento rapido a metà pomeriggio. Il cervello che non aveva mai cessato di elaborare piani futuri e prospettive immediate, si rimette a predisporre nuovi scenari, a riordinare i mille pezzi di un’unica idea, di quel pensiero fisso incalzante da oltre un mese. Pensieri paralleli, in realtà, che da una parte seguono la definizione della nuova posizione aziendale, mentre dall’altra si fanno frenetici per non perdere di vista l’inaspettata opportunità che Tommaso offre. Se dipendesse da lui probabilmente sarebbe cosa fatta e avrei anche già scritta la lettera di dimissioni. E invece c’è qualcosa di strano, di indefinito nel nuovo aggiornamento. Anche nell’atteggiamento.
Tempi sempre più lunghi, non di molto, ma abbastanza significativi per squilibrare una scelta e creare nuove difficoltà. La principale è l’offerta ricevuta in azienda che racchiude il tempo pieno, un’opportunità stranamente in controtendenza per le esigenze aziendali. Il posto da ricoprire è peraltro quello che lascerà scoperto un collega il quale, a sua volta, andrà a sostituire una ragazza che ha risolto il contratto a tempo determinato.
Informo Tommaso della novità che paradossalmente si rivela (o potrebbe rivelarsi) un boomerang. Eh sì, perché il requisito della precaria situazione lavorativa costituiva una solida premessa per assegnare l’incarico e adesso i discorsi si fanno, inspiegabilmente, fumosi. E quella che pareva essere un’attività di durata superiore alle 25 ore settimanali, che ho svolto fino a venerdì scorso, diventa almeno nella fase iniziale un part time (20 ore?). Con prospettive certo di maggiorazione, ma non competitiva con il tempo pieno che avrò dalla prossima settimana.
Sarebbe inopportuno polemizzare (all’inizio si erano prospettate 6 ore per cinque giorni alla settimana, in un settore diverso dall’attuale) e così cerco di capire, di mostrare disponibilità, buon senso e fiducia (magari sarò ipocrita, ma quando il gioco si fa duro…). Resto in lizza, perciò, tra gli altri candidati (che ancora non ho capito se siano reali o presunti) e quando si delineerà la situazione allora potrò confrontare e scegliere. Nessuna preclusione, insomma, però resta sospeso per aria qualcosa di indefinibile, di impercettibile, di sfuggente, un cocktail che genera solo inquietudine.
Altro che caos calmo. Sono invaso da ogni serie di sollecitazioni che il cervello inesausto invia e che di ora in ora, vorrei dire, modificano anche l’umore. Mi sembra di attraversare un ginepraio soffocante, avvolgente e urticante. Il tempo pare sfuggire da ogni controllo, anche perché proprio di corsa contro il tempo si tratta.
Nei giorni scorsi ho verificato come il reparto in cui ho lavorato per parecchi anni avesse cessato di fornirmi qualunque stimolo, come una bottiglia a cui era stato svitato il tappo, tempo fa, facendo fuoriuscire il contenuto liquido che, goccia dopo goccia, si è depositato al suolo. Quella bottiglia si è definitivamente svuotata giusto venerdì. L’ho afferrata metaforicamente, l’ho scossa, ho guardato al suo interno: tutto ripulito e asciutto. Tornare indietro, a questo punto, non sarebbe più possibile. E devo lasciare questa realtà (tempo pieno o meno), perché la permanenza in una ditta che, dopo una cassa integrazione durata 24 mesi, ha espulso alcune decine di dipendenti collocandone una parte cospicua in mobilità e prepensionandone altri, che a fine marzo denuncerà un fatturato in calo rispetto ad un anno fa (nonostante misure draconiane) e che sta esternalizzando varie mansioni, è a rischio: quello di un taglio definitivo per adeguarsi al nuovo che poi è sempre lo stesso, immutabile da anni, credo industriale. Diminuire i costi, per mantenere costanti (quando non aumentarli) i profitti salvaguardando le posizioni di quadri e manager.
Ecco perché scegliere non sarà facile. L’immediato offre uno stipendio più alto (ma non so di quanto) rispetto a quello che potrei ricevere nella nuova attività, ma è quest’ultima – invece - a poter offrire sicurezza e crescita nel tempo. Ed è anche il classico treno che passa una volta e ai margini del binario, senza oltrepassare la linea gialla, occorre trovarsi con i bagagli pronti.
"Qualche volta Dio uccide gli amanti per non essere superato in amore" Alda Merini.
sabato 16 febbraio 2008
L’uovo (non molto fresco) oggi o il pulcino che sarà gallina domani?
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due macigni...rimanere ancora in stand by e una grossa decisione da prendere......azzz
RispondiEliminaprepara la valigia e vai..saprai..dopo se hai scelto bene.purtroppo.augurissimi e sappi che noi facciamo il tifo x te.notte :))
RispondiEliminaUna scelta difficile.
RispondiEliminaPersonalmente farei una valutazione "a lungo termine" ;-)
Un abbraccio e buona domenica.
Fioredicampo
come va ? come procedono i contatti ??mi permetto di chiederti e di chiedere ai frequentatori del blog di sottoscrivere l'appello di LIBERADONNA a: www.firmiamo.it/liberadonna
RispondiEliminax chi crede che la 194 sia una buona legge.x chi crede che vada difesa da quelli che vorrebbero riportarci indietro. 1 bacio e buona settimana :))
Ho inseritonel post successivo le integrazioni ai commenti. E auguro buona settimana a tutte, sulla scia del "buona domenica" della cara fioredicampo.
RispondiEliminaGrazie per la vostra partecipazione i n questa fase così delicata.
zialaura, un bacio a te e che le firme siano numerose.
Eh, più s'invecchia e più le scelte diventano, sul lavoro, difficili. Da un lato c'è l'esperienza che insegna a non farsi sedurre da illusioni bacate, dall'altra aleggia un forte desiderio a volte conscio ed altre inconscio di pensione. Fare i bagagli è difficile. Conosci bene il ronzio d'avvio di *quel* termoconvettore. Il rumore della chiusura automatica di *quel* cancello. E via di seguito, compresi i passi per raggiungere ogni luogo conosciuto, che si fanno senza impiegare la mente. Tra un uovo oggi e un pulcino domani, io non ho dubbi: l'uovo.
RispondiEliminaflaviablog, è vera soprattutto quell'affermazione riferita alla familiarità del luogo di lavoro, dove hai misurato migliaia di passi e, perciò, ti senti al sicuro, quasi una sorta di seconda casa. E se mi fossi trovato in una situazione analoga solo pochi anni fa avrei ceduto alla fascinazione del luogo conosciuto. Però nel frattempo parecchie cose sono accadute, per nulla piacevoli e allora quella familiarità si è trasformata in disgusto e insofferenza. L'opportunità di scegliere è stata benedetta e solo l'ipotesi di pensare a come sarebbe stato se... mi avvilisce.
RispondiEliminaDa quando ho scritto questo post la situazione si è meglio chiarita e le ombre sono sparite, anche se fino a quando non vedrò non ci crederò.
Sì, capisco. Anche io cambiai sede di lavoro dopo una permanenza di 13 anni. Quel che mi sosteneva: la familiarità, mi era diventata insopportabile. Troppe cose, come tu dici, erano cambiate. Si faceva avanti un'ottusità di fondo che non mi piaceva. Può essere che nel frattempo la situazione, tra un pensionamento e una riforma, tra un trasferimento ed altro, sia cambiata in meglio. Non so. Ora sono altri 11 anni in altra sede. Sono... stanziale :-), per natura, ma anche io quando cambio sono per le svolte radicali, perché sono arrivata al limte della sopportazione.
RispondiEliminaflaviablog, condivido. Non può diventare esasperante una condizione di lavoro e, se si può, meglio cambiare senza più volgersi indietro.
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