I funerali in piazza Maggiore. Foto tratta dal sito: www.stragi.it
Concludo, con questo post, la trilogia che ho voluto dedicare alla commemorazione della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Lo faccio proponendo un lungo racconto di Daniele Biacchessi, uno scrittore che ha narrato in un libro ciò che accadde quel giorno. Qui l’elenco delle vittime, proposto due giorni fa, acquista fisionomie meno virtuali. Alcune di esse riprendono a muoversi, ad agire, ad osservare. Conosciamo di loro ciò che erano, per qualcuno anche le speranze di quello che sarebbero potuti diventare.
In queste giornate, vissute all’insegna della memoria, ho potuto leggere testimonianze sconcertanti. Un fraterno blogger che riferisce, in suo post, di un viaggio, quel viaggio in treno mancato. Poteva esserci e, invece per fortuna, è qui e ha potuto farcelo sapere. Una squisita umanità che è in condizione di operare. Non l’ha scelto lui, è stato fortunato.
Un’apprezzata blogger che lascia il suo commento scarno ed essenziale: anche lei doveva esserci, poi ha cambiato idea all’ultimo momento e ha scelto l’auto e non il treno. La vita contro la morte.
Un’altra ancora, la cui sensibilità silenziosamente diffonde i suoi benefici, ha visto invece come passeggera com’era quella stazione dopo la deflagrazione.
E’ come se un minuscolo frammento di umanità fosse qui e altrove, a raccontare, riferire, far sapere, condividendo il ricordo e la mestizia.
Ho lasciato molto spazio anche alle immagini che reputo fondamentali per non dimenticare.
Per quanto mi riguarda, quella mattina la notizia improvvisa mi sorprese indaffarato nei preparativi per la partenza, in vacanza con amici, fissata per l’indomani. Avrei voluto credere alla versione della caldaia esplosa che i tg ripetevano, come se potesse essere più rassicurante, in mezzo a quel carnaio di vite spezzate, sapere che no, non era stata una bomba come si sospettava ragionevolmente, perché la rimozione era costante.
Eppure, nonostante la devastazione nell’animo, il giorno dopo si partì ugualmente. Ho sempre vissuto tutto ciò come un senso di colpa, compreso l’ascolto alla radio dei funerali (la località del nostro soggiorno era priva di televisore) questo forzato distacco. Non vedere e dunque ignorare. Per questo motivo, forse, la data del 2 agosto produce ogni anno un effetto così lancinante.
10,25: CRONACA DI UNA STRAGE
2 agosto 1980. La stazione di Bologna
di Daniele Biacchessi
SGUARDI
Scorre il tempo, lungo i binari della memoria, della giovinezza perduta, della
vecchiaia rattrapita. Il suono di un vecchio boato spezza i vetri dell'orologio,
ferma le lancette, le inchioda ad un presente che molti hanno voluto. Rimangono
i secondi dei minuti e delle ore che abbiamo passato a giocare. Felici. Quando
eravamo corpo, spazio e tempo.
L'orologio segna le 10,15. E' il 2 agosto 1980, stazione di Bologna. Sole e
caldo. C'è un ragazzo, ventun'anni da poco compiuti. Con una valigia aspetta
sotto la pensilina del primo binario. Prende un fazzoletto e si asciuga il
sudore, sotto il berretto guarda e osserva gli sguardi sconosciuti di una
stazione d'estate. Roberto Procelli è in servizio di leva, 121 Battaglione di
artiglieria a Bologna. Viene da San Leo di Anghieri, quattro case a quaranta
chilometri da Arezzo. Era partito per militare pochi mesi prima. Non avrebbe mai
voluto lasciare il paese, Rinaldo e Ilda, i suoi genitori e quella ragazzina che
gli faceva il filo da quando era poco più di un bimbo. Roberto si mette proprio
sotto l'orologio, dove c'è la sala d'aspetto di seconda classe. Attraverso il
vetro scorge i volti di quella gente, ascolta perfino i loro discorsi. C'è la
famiglia con i ragazzini che non stanno mai fermi,lo studente che disegna il
volto di una donna mentre allatta il figlio, una coppia in viaggio di nozze, i
boys scout che mangiano i panini, un giovane con lo zaino sulle spalle, militari
in libera uscita che vanno al mare, la nonna con il nipote e la loro valigia,
gente che dorme, gente che legge. Immagini di un paese che va in vacanza, con il
sorriso sul volto e il biglietto del treno in tasca. Accanto a Roberto c'è un
ragazzo di ventiquattro anni, spagnolo. Ferdinando Gomez Martinez viene da
Madrid. Sogna da anni un viaggio in Italia. I suoi amici gli hanno raccontato
delle avventure, di mare e sole, di belle ragazze, di monumenti, di storia. Si
pettina davanti a uno specchio. Aspetta l'annuncio del suo treno e ascolta quel
brusio di gente che corre in fretta. Sembra una melodia, un suono amico. C'é chi
attende la coincidenza mentre in biglietteria le persone formano una lunga coda.
"A che ora parte il treno per Basilea?" - chiede un signore - "Se si sbriga è
sul binario 1. Era in ritardo ma ora il capostazione ha dato il via libera".
Ferdinando entra nella sala d'aspetto e scorge, accanto al muro del self
service, tre ragazzi che parlano spagnolo. Pablo, Paco e Josè si erano appena
incontrati in Piazza Maggiore, quattro chiacchiere, un giro per la città e poi
in stazione per continuare il viaggio. Romeo Ruozi, 54 anni, vaga per la
stazione. Cerca Valeria, sua figlia. Poche ore prima Romeo le aveva detto "Vengo
a prenderti come al solito...ti aspetto al solito posto, al binario del treno
che viene da Verona, quello delle 11,56". Romeo é previdente, anticipa ogni
appuntamento. Lo fa per abitudine, da sempre.
Nel bar ci sono centinaia di persone, la porta si apre e si chiude in
continuazione. "I panini sono finiti - dice il cameriere alla cassiera - chiama
il proprietario, c'é troppa gente". L'altoparlante annuncia il diretto per
Firenze. Il treno è in partenza. Un ragazzo impreca a voce alta, sbuffa, allarga
le mani. E' convinto di trovare l'amico sul treno. Così si infila in un
sottopassaggio, corre e prende quel treno mentre il controllore fischia forte.
L'amico non lo vede: è a pochi passi da lui ma una comitiva di turisti tedeschi
li divide. Fuori, nel piazzale, c'è il parcheggio dei taxi. Fausto "Togliatti"
Venturi e Romeo Rota stanno appoggiati alla macchina, un 132 diesel. Aspettano i
clienti. Sono amici, di quelli veri. Parlano di calcio, degli ultimi acquisti
del Bologna, della settimana appena trascorsa a Chianciano, la cura e il riposo.
Togliatti guarda le belle ragazze che vengono dal nord: é scapolo, vive con la
madre, pensa a sposarsi ma non disdegna le mangiate con gli amici, il vino
frizzante bevuto là su in collina. Ma il fresco quel giorno é lontano e la fila
dei taxi é lunga. Con Togliatti e Rota ci sono anche i colleghi, seduti nelle
macchine senza aria condizionata e neppure un ventilatore. "Boia che caldo -
dice Fausto - Guarda la gente che parte e noi qui a lavorare". Con Fausto e
Romeo c'è Francesco Betti, i taxisti lo chiamano "Verbale". Francesco parcheggia
il taxi in terza fila, accanto alle catenelle che delimitano lo spazio delle
auto pubbliche. Si gira e guarda verso la sala d'aspetto di seconda classe.
Euridia Bergianti, 49 anni, sta dietro al bancone del self service."Mi fa un
cappuccino? -chiede un signore con il cappello - Caldo, mi raccomando... ma non
bollente". Euridia prende la tazza grande. Fa scendere il caffè, lentamente. Poi
lo zucchero in bustina, il cucchiaio, il vassoio, e il cappuccino caldo é
servito. Gesti quotidiani, meccanici, compiuti senza noia. Katia Bertasi è una
collega di Euridia. Impiegata alla contabilità del ristorante, è al telefono con
un fornitore. "L'ultima fattura del latte non andava bene... Mi raccomando, lo
dica al suo principale". Mentre Katia é al telefono, Nilla Natali entra negli
uffici dell'amministrazione. E' giorno di stipendi alla Cigar. "Katia....non ti
preoccupare....sono venuta a darti una mano per fare le buste paga.....tanto
oggi vado in ferie". Franca Dall'Olio é lì accanto a Katia e Nilla. Risponde al
telefono. "Uffa c'è un altro fornitore....ma non ci lasciano in pace neanche il
2 agosto". Franca prende la cornetta del telefono. "E' arrivata la merce?
.....venga su lei.... mi ha fatto venire in mente che devo fare un'altra
cosa.....poi vengo".
Nella sala d'aspetto i bambini sono sempre più impazienti. Giocano, scappano, si
nascondono poi si riprendono. "Dai.....non mi prendi....non sai correre". E il
padre non riesce a calmarli. C'è Sonia Burri, 7 anni. Ci sono i fratelli danesi
Eckhardt e Kai Mader. Corrono....corrono....senza sosta. "E' in arrivo sul
binario 3 il locale da Firenze". Sulla panchina del primo binario Francesco
Diomede Fresa, quattordici anni, legge un fumetto. Con la madre Enrica Frigerio
e il padre Vito aspetta di partire. Le valige sono pesanti, stracolme di
vestiti, costumi da bagno, magliette, scarpette da pallone. Vito è direttore
dell'Istituto di Patologia generale della Facoltà di Medicina di Bari. Poco più
in là c'è Iwao Sekiguchi, giapponese, vent'anni. E' in Italia da un mese.
Attende il treno per Venezia. Nella sala d'aspetto di seconda classe. Maria
Fresu parla con la sua bambina Angela, 3 anni. "Non essere impaziente... non
posso comprarti il gelato di mattina... Tra dieci minuti arriva il nostro treno,
andiamo al lago". Ma Angela è disattenta. Corre, corre, corre. Va verso le due
amiche della madre. Verdiana Bivona e Silvana Ancellotti si prendono cura della
bimba e giocano. Maria Fresu è contenta, spensierata, felice. Vive a
Montespertoli, un piccolo paese vicino a Firenze. Tutti i giorni prende il
locale per Empoli, si sveglia presto, otto ore in una fabbrica di confezioni.
Quel viaggio con le amiche lo aveva progettato da mesi. "Due settimane sulle
rive del Garda ci faranno bene" - amava dire alle colleghe.
Angelina e Domenica Marino sono appena scese dal treno che viene dalla Sicilia.
Vivono ad Altofonte, un paesone di case bianche e grige, adagiato lungo le
rocciose pendici di un monte arido, a dodici chilometri da Palermo. Altofonte,
diecimila abitanti, tanti anziani. I giovani emigrano verso il Nord. Angelina e
Domenica vanno nella sala d'aspetto di seconda classe e scorgono tra i tanti
volti quello che conoscono bene. Luca Marino vive a Ravenna da cinque anni.
Professione: manovale. Le aveva chiamate due mesi fa. "Ci vediamo il 2 agosto,
alla stazione, viene anche Antonella........ve la farò conoscere....é una
ragazza tanto carina". Angelina, Domenica, Luca e Antonella si incontrano alle
10,22, in stazione. I baci, l'emozione di chi viene da lontano, le storie di un
paese che si incontra.
Nazzareno Basso infila una mano in tasca e prende una ventina di gettoni. Si
appoggia a quel telefono che sta vicino al ristorante. Sono le 10,23. Compone il
prefisso di Venezia. Lentamente. Sa che nella sua piccola casa a Celtana di
Santa Maria lo aspetta la moglie Ines e le quattro bambine. Le aveva chiamate
quasi un'ora prima. "Non mi aspettate....mangiate pure......sono in ritardo ma
tra poco arrivo". Nazzareno lavora a Milazzo, Sicilia, profondo Sud. E dal
Nord-Est, zona non ancora ricca, si è spostato per cercare fortuna. Si ritrova
lì, in quella stazione d'agosto per un banale ritardo di un treno. Uno stupido
ritardo. I bambini corrono più forte. Nel ristorante vengono serviti decine di
caffè. 10,24. Roberto Procelli sta uscendo dalla stazione, verso piazzale
Medaglie d'Oro. E' a due passi dalla cabina telefonica. Sul treno fermo al
binario 1,le persone si sporgono dai finestrini del treno per Basilea. Qualcuno
fuma una sigaretta, altri parlano negli scompartimenti. Si sente un boato.
L'orologio segna le 10,25.
Lo scoppio.... Il rumore assordante.....Il vuoto d'aria.......tutto schizza e si
sbriciola.....le traversine dei binari si divelgono .....la sala d'aspetto di
seconda classe si sgretola.........Il ristorante va in pezzi......le grida di
aiuto........altre piccole esplosioni..........La morte.......Il
silenzio.......e poi le grida degli innocenti.
Alla stazione di Bologna c'è l'angoscia. La prima ambulanza arriva alle 10,27.
Poi ne giungono altre, e altre ancora. Sirene che nascondono la rabbia di una
città colpita al cuore. Da lontano si intravedono uomini in divisa rossa, vigili
del fuoco e volontari, soldati, carabinieri, poliziotti, gente comune. Sotto una
parte rimasta intatta della stazione, l'orologio si è fermato. Arrivano i mezzi
di soccorso, le scale, le pale. Ogni cosa serve a ritrovare i superstiti.
Qualche anno dopo scriverà Torquato Secci: "Ed è stato, da allora, un accorrere
incessante di medici, infermieri, carabinieri, vigili del fuoco, in un frastuono
di sirene, in un vortice di gente impazzita che usciva terrorizzata
dall'edificio colpito a morte, che cercava di entrarvi alla ricerca di un
figlio, di una madre, di un parente, di un amico. Ragazzi stranieri, che
attendevano una coincidenza per il mare, si chiamavano per nome e non si
ritrovavano più. Dalle macerie estraevano gli zaini insanguinati e le salme di
compagni di viaggio, degli amici che erano venuti a concludere a Bologna, in una
calda mattinata d'agosto, la loro breve esistenza....."
Si sente il rumore assordante delle ruspe che cercano tra le macerie. Scavano.
Tutti sperano di udire da qualche anfratto, tra le traversine, un lamento. La
zona è bloccata, circondata da un cordone di militari. E lì intorno detriti di
ogni tipo, vetri frantumati, persone smarrite. Molti corpi sono ancora nel
sottopassaggio che porta al terzo binario, sotto i mattoni infranti della sala
d'aspetto, del ristorante, della biglietteria. Due carrozze del treno
straordinario 13534 Ancona-Basilea sono sventrate. Doveva partire due minuti
dopo ma l'esplosione lo ha travolto. Nell'atrio delle partenze, militari e
vigili del fuoco accatastano tutto: scarpe, zoccoli, borse, bagagli abbandonati,
sacchetti di plastica con un po' di frutta, un orologio. L'Amministrazione
Comunale di Bologna organizza un ufficio di assistenza. Si recano in stazione
gli assessori comunali: provvedono al coordinamento delle iniziative di
soccorso. Arrivano 350 soldati della Brigata Trieste e del Genio Ferrovieri. Il
medico in servizio all'ambulatorio della stazione ha voglia di parlare. "Poco
dopo sembrava un mattatoio. Ho sentito un boato fortissimo, mi sono voltato di
scatto e ho visto le sale d'aspetto e del ristorante saltare in aria".
Un signore siciliano si trovava sul treno per Basilea. Stava con la moglie, su
quella carrozza. "Ero al finestrino per fumare una sigaretta quando ho visto
un'enorme fiammata uscire dal finestrino del ristorante". Un cronista del Resto
del Carlino é tra i primi a giungere alla stazione. "E' stata una cosa tremenda.
Ho visto un'enorme fiammata dai colori giallo, arancione, nero e subito dopo si
è formato una specie di fungo". Il giornalista bolognese Lamberto Sapori, alle
10,25 era sul piazzale. "E' stato terribile. Una specie di fungo di macerie e
fumo ha spaccato in due la sala d'aspetto della seconda classe, le schegge sono
volate via, fino all'ottavo piano dell'albergo di fronte". Marina Gamberini, 20
anni, viene estratta dalle macerie e trasportata all'ospedale. "Ho sentito che
tutto si capovolgeva e mi sono trovata la sedia addosso, non potevo muovermi e
la gente mi passava sopra. Era come se fossi in un incubo. Poi mi sono
addormentata".
Il racconto degli scampati é lucido. Ugo Natale, padre di Roberto, 13 anni.
Roberto era appena stato dimesso dall'ospedale. "Eravamo nella sala d'aspetto di
prima classe, proprio dove sono cadute più macerie, mi stavo allontanando quando
ho sentito un boato. Sono stato il primo a correre dentro quel polverone in cui
non si vedeva niente e ho scavato come un pazzo fino a quando ho trovato
Roberto. Era incastrato di fianco, sulla sedia della sala d'aspetto. Mi ci è
voluta un'ora per liberarlo". Viene ritrovata una bambolina rossa. La teneva in
braccio Sonia Burri che aspettava con i genitori il treno per Roma. Sonia è una
piccola vittima della strage. Ma non è la sola. Altri cinque ragazzini
attendevano il treno sul primo binario che li avrebbe portati a Rimini. Di loro
il capostazione vicario Azelio Scarpellini ricorda. "Li avevo visti, erano
irrequieti, quando è arrivato il treno per Basilea pensavano fosse il loro.
Volevano salire a tutti i costi ma il ferroviere ha detto di aspettare e loro si
sono seduti. E subito dopo sono stati spazzati via dall'esplosione. Ho chinato
la testa sulla scrivania, ho pianto come un bimbo, non riuscivo ad alzarmi".
Arriva una donna, era in vacanza in Versilia. "Mio marito, dov'è mio marito?".
Un militare le si fa accanto e le impedisce di avvicinarsi. C'è anche l'angoscia
di un giovane padre che attende la figlia. E' appoggiato ad una colonna . "Non
so, non mi chieda, cerco mia figlia, Patrizia. Doveva tornare con me ieri sera,
ma ha voluto fermarsi a Parma per andare a ballare in discoteca. Mi ha detto di
venirla a prendere qui, alle 10,30, sul piazzale della stazione. Non la trovo.
Dov'è?". Patrizia Messineo aveva 18 anni, una vita davanti, speranze, voglia di
vivere, sogni.
Vicino ad una trave d'acciaio crollata, c'è un uomo con gli occhi rossi. Ha i
capelli brizzolati. Luigi Balestri, 41 anni, è impiegato all'ufficio sanitario
delle Ferrovie dello Stato. "Mi sono salvato per miracolo, la morte mi ha
sfiorato. Ero in servizio, sono andato con un collega dall'altra parte del
binario a prendere un caffè. E' stato un attimo. Dopo l'esplosione ho sentito
l'odore della polvere da sparo. E' stato un attentato, sono sicuro. Ho fatto il
carrista, non sono uno sprovveduto. La caldaia non c'entra, è intatta".
Stefano Ragazzi è un operatore della rete televisiva bolognese Ntv. E' il primo
cameramen che arriva in stazione. Le sue sono immagini grezze. Senza montaggio
rendono l'idea di ciò che é avvenuto. "Appena sono giunto in stazione lo
scenario era apocalittico, sembrava la guerra. C'erano travi, sassi, macerie
dappertutto. Presi la telecamera e iniziai a girare. Dopo qualche minuto non ce
l'ho fatta. Quello che vedevo nell'occhio elettronico era troppo forte. Così ho
prestato i primi soccorsi con i volontari che intanto affollavano la piazza".
Immagini grezze, di chi coglie ogni sguardo, ogni emozione, ogni dolore. E' come
se gli occhi di Stefano, che allora era un ragazzo al suo primo impiego, fossero
una cosa sola con la telecamera. Immagini girate con l'anima più che per dovere
professionale. Il risultato è un documento importante, che fa parte della storia
del giornalismo televisivo. Immagini che hanno fatto il giro del mondo. Qualcuno
corre mentre i passeggeri che escono dalla stazione guardano i corpi straziati
rimasti a terra. I volontari improvvisano barelle con quello che trovano: assi
di legno, plexiglass, coperte, lenzuola bianche. Un taxista mostra a Stefano
dove sono caduti Betti e Venturi. sono là, senza vita, schiacciati dai massi
della sala d'aspetto, accanto alle loro auto gialle, schizzati a pochi metri uno
dall'altro. Un signore con la camicia inzuppata di sangue è lì che piange e
mormora frasi incomprensibili. Un'infermiera di un'ambulanza si mette le mani
tra i capelli. Si intravede la sagoma di una donna bionda: un medico le tasta il
polso, é morta. Una signora chiede aiuto mentre rimane seduta, come in stato di
shock, sopra un carrello porta bagagli. Un vigile del fuoco sorregge il capo di
un ragazzo in fin di vita. E ancora rumori di ambulanze e grida. Si spostano i
taxi a mano: sono schiacciati dalle travi. Enormi blocchi di cemento nascondono
due cadaveri irriconoscibili. Tra i soccorritori c'è chi indossa una maglietta,
chi sta in camicia e cravatta, chi in canottiera. Ognuno ripreso nello sforzo di
offrire un conforto, un aiuto.
Il Resto del Carlino esce con un edizione straordinaria. Ci sono già le
fotografie della strage. "Gli orologi della stazione sono fermi alle 10,25. I
morti accertati sono più di trenta; i feriti più di cento. Ma dal cumulo di
macerie impastate di carne e di sangue continuano ad emergere cadaveri
maciullati di uomini, donne, ragazzi, bambini, vecchi che stavano partendo per
le vacanze o attendevano la coincidenza nelle sale d'aspetto attigue al
ristorante......Nella voragine aperta dall'esplosione é crollata un'ala intera
della stazione ferroviaria....Solo una bomba d'aereo o un quintale di tritolo
avrebbe potuto seminare tanta rovina e spargere tanto sangue. Urla, invocazioni
lamenti si sono subito levati come dopo un bombardamento....".
Da fuori puoi scorgere quello che rimane della stazione. E sul piazzale c'è
padre Mario, un domenicano che recita il rosario con la veste bianca, macchiata
di sangue. Quando dalle macerie giunge una barella lui fa il segno della croce.
Don Mario era solo nel convento: gli altri sono tutti in ferie. Appena appresa
la notizia, si é precipitato in stazione e da mezzogiorno benedice i morti. Don
Mario si chiede: "Chissà se erano pronti a morire ?". I corpi martoriati vengono
allineati sopra un autobus. E' il 4030 della linea 37. Di solito è diretto verso
la Chiesa di San Francesco, dall'altra parte di Bologna. Ora il suo percorso è
diverso. Procede lento, verso l'obitorio e le vittime vengono deposte l'una
accanto all'altra. Quelle che si possono riconoscere. Perchè una bomba messa in
una valigia in una sala d'aspetto, in una stazione d'agosto, lacera i corpi,
distrugge il cemento, provoca un vuoto d'aria per centinaia di metri, porta i
corpi e quel che resta delle persone via, lontano. Perchè le bombe non sono
intelligenti, non pensano, non hanno parole. Sono congegni perfetti, costruiti
da uomini per uccidere altri uomini, per intimorire, creare paura, terrore. Le
bombe non parlano.
Hans Jurt, 60 anni, sindaco di Aesch, un cantone di Basilea, è rimasto ferito.
"Ringrazio i medici, gli infermieri. Dopo dieci minuti dallo scoppio erano già
lì. Sul treno colpito dalle schegge c'erano anche mia moglie e mia figlia,
tornavamo dalle ferie. Siamo salvi per miracolo. Ho visto una donna cadere a
terra, uccisa da un cornicione che si è staccato dalla pensilina come se fosse
cartapesta". La porta dell'ufficio del capostazione é sempre aperta. Sembra uno
di quegli uffici postali il giorno del pagamento della pensione. "C'è un elenco
dei morti, dei feriti?"I funzionari lavorano in un mare di carta, non hanno il
tempo di prestare ascolto a nessuno. Quell'ufficio diventa la prima centrale
operativa, dopo la strage. Tra una telefonata e l'altra i ferrovieri invitano a
recarsi negli ospedali. I feriti sono quasi duecento, ricoverati in tutti gli
ospedali della città: le ambulanze vanno al Maggiore, Sant'Orsola, il Bellaria,
Rizzoli,il centro traumatologico e i posti di soccorso di Imola, Modena e
Bentivoglio. Al Maggiore ci sono le liste generali, di tutti i ricoverati.
All'ufficio informazioni la coda è lunga, i feriti sono 44, una decina in gravi
condizioni. Il vice direttore sanitario Lino Nardossi si toglie il camice.
Almeno per un minuto. "I medici stanno facendo tutto il possibile ma non è vero
che non c'è personale". Al secondo piano hanno ricoverato i feriti meno gravi.
Silvia Moltusti era in stazione. Doveva portare il marito, dimesso dall'ospedale
a Faenza. "Siamo entrati in un chiosco per prendere una bibita, quando abbiamo
sentito un boato. Per alcuni minuti non abbiamo visto più nulla. Polvere e odore
di bruciato, quello caratteristico dei petardi. Sono trascorsi attimi
interminabili, quando siamo usciti, i miei occhi hanno visto scene che non
credevo vere. Gente che gridava, invocava aiuto. Altri che imbrattati di sangue,
non avevano la forza di rialzarsi". Al terzo piano c'è Francesco Pellissola di
Modena. Il suo è il racconto di chi ha sfiorato la morte. "Dovevo tornare a casa
dopo il lavoro, perciò ero alla stazione. All'improvviso mi sono sentito
travolto da una trave, sono caduto, ma ho fatto a tempo a rialzarmi ed a
fuggire. E' stata una bomba, ho infatti sentito un forte odore di zolfo, come se
avessero acceso improvvisamente migliaia di fiammiferi. Mentre correvo, la gente
gridava: un attentato, un attentato".
Lì vicino Domenico Tina ha un trauma cranico, è in stato di choc. Lui vive ad
Ansola, un paesone alle porte di Bologna. "Ero proprio sul primo binario quando
sono stato scaraventato a terra. Si è alzato un gran polverone e, prima di
perdere i sensi, ho sentito un bimbo implorare: Mamma, dove sei?".Giorgio Gallon
ha perso tutto alla stazione di Bologna. Non sa che la moglie Natalia e la
piccola Manuela sono in fin di vita. Dovevano accompagnare la bimba in colonia.
"La roba volava da tutte le parti. C'era un gran fumo e non si vedeva niente.
Sentivo solo i colpi che mi arrivavano sulla schiena, quasi al buio. Avevo mia
moglie da una parte e dall'altra la ragazzina che doveva andare al mare. Quando
mi sono svegliato ero in questo letto, da solo". Giorgio piange forte e continua
a ripetere la stessa frase. "Dov'è Natalia? Dov'è la mia piccola Manuela?". Al
piano terra i parenti si ammassano davanti l'ufficio informazioni. Chiedono e
urlano. E dietro al banco si muove una ragazza, un'infermiera minuta, mentre i
telefoni squillano in continuazione.
Una donna si mette in coda. Passano i minuti ed è arrivato il suo turno. Cerca
suo figlio in quell'elenco. Spera che non ci sia, ne è convinta. Invece la
ragazza la invita ad aspettare. Arrivano altre persone e dietro a loro altre
ancora. "Se c'è una brutta notizia è meglio darla subito". La ragazza la guarda,
tenta di dire qualcosa ma un signore la distrae per un attimo. Sono pochi minuti
e in quella frazione di tempo rivede il volto di quel ragazzo, che lei ha
voluto. Del suo unico figlio. Si mette da parte ma ormai ha capito. Una mano le
prende la spalla mentre sta seduta e fissa il vuoto. "E' una parente?".Alza lo
sguardo e scorge un medico in camice verde. E' un chirurgo. "Non ce l'ha fatta.
Lo hanno raccolto dentro la sala d'aspetto di seconda classe che era ancora
vivo. Poi la corsa con l'ambulanza al Maggiore ma aveva troppe complicazioni. E'
morto mentre stava iniziando l'operazione". Lo sta ad ascoltare, non perde una
sillaba. Poi si mette le mani nel volto e piange, in silenzio. Rimane lì qualche
minuto, mentre la ressa all'ufficio informazioni del Maggiore diventa enorme.
Fugge via, prende un taxi verso la stazione e se ne va che é già sera.
Mi spiace ma stasera non riesco nemmeno a commentare... :'(
RispondiElimina... dolce notte un bacio
LEALIDIUNANGELO, la tua presenza è comunque sempre assai preziosa. Non rammaricarti, dunque.
RispondiEliminaDolce bacio, buona notte.
tuono e ...silenzio
RispondiEliminaquel silenzio interiore che si raggiunge quando ti arrendi al tumulto dei pensieri che non trovano risposte...ma continui a confidare e vorresti frantumare il cuore di pietra degli uomini...e ti arrendi al silenzio, per ascoltare i pensieri di quelle vite spezzate ,a quel silenzio umile che ti conduce sempre all'amore.
serena notte Frank
Sil
Frank...
RispondiEliminaI quattro libri erano: "La seconda morte di Mallory" di Reinhold Messner, "La ragazza dello Sputnik" di Haruki Murakami, "Una storia semplice" di Leonardo Sciascia e "Nel bianco" di Ken Follett. Generi diversi, come dicevo. Mi sono piaciuti tutti, ognuno a modo suo...
Sono testimonianze toccanti, che riescono ogni volta a rinnovare lo sgomento e l'orrore per quanto è successo, facendo aleggiare sempre lo spettro di qull'unica semplice domanda : perchè?
RispondiEliminaE finchè saremo capaci di provare certe sensazioni di fronte a questi ricordi io penso che ci può essere speranza.
SIL, le tue riflessioni aggiungono ulteriore qualità, elevano il pensiero e lo conducono sulle cime innevate dove certo l’amore trionfa e non i cuori di pietra, che sono la negazione stessa dell’amore e della compassione. Il silenzio, poi, uno stato di esistenza in vita che credo ci trovi affiatati. Ed è quello stesso silenzio che viene sempre più fuggito, perché costringe a pensare, a interrogarsi, Ad ascoltare, soprattutto. Sei proprio una persona speciale.
RispondiEliminaSereno fine settimana, Sil.
VITAROSA, grazie per la gentile risposta. Non conosco alcuni autori, di Sciascia ho qualcosa in libreria, compreso il libro che ti ha tenuto compagnia. Di Follett non ho mai letto nulla. Mi pareva inevitabile un’autrice giapponese e forse Messner scelto perché evoca libertà, ma per carità si tratta di una mini-analisi estemporanea. Generi molto diversi, sicuramente. Ti verrò a trovare.
ROBYNIA, a quella semplice domanda purtroppo non c’è risposta, o almeno una versione convincente. Scrivi: “E finché saremo capaci di provare certe sensazioni di fronte a questi ricordi io penso che ci può essere speranza” che può concludere in maniera egregia la commemorazione del 2 agosto di 25 anni fa, che ha rinnovato dolori come se fosse accaduta ieri.
La speranza, come suggerisci, è quella offerta da te, da tutti gli altri commenti letti e anche da coloro che si sono semplicemente fermati, non hanno aggiunto nulla qui, ma forse si trovano qualcosa in più nel loro cuore.
LEALIDIUNANGELO, grazie e a presto, certo. Ricambio il bacio e il super abbraccio.
ciao frank
RispondiEliminati lascio un saluto notturno
:-))
CAPRAECAVOLI, ricambio con piacere il saluto ancora più notturno (il mio) e quando il silenzio regna si condivide tutto meglio. :-)))))))))))))
RispondiEliminaDa un pomeriggio domenicale, un saluto e tanta commozione. Ciao, Frank! harmonia
RispondiEliminaHARMONIA, mi hai fatto inaspettatamente precipitare indietro con i mesi, a quel primo post che concretizzava l'idea del blog.
RispondiEliminaUn post scritto di getto, innervato di amarezza, rimpianto e amore perduto. Un'emblematica conclusione di un anno "horribilis".
Però apprezzo molto che tu lo abbia fatto, perché in fondo il primo post di un blog è in grado di offrire le coordinate per la lettura e l'inquadramento, sommario, dell'autore.
Dalle ore inopportunamente molto piccole un caro abbraccio.