Capita che uno afferri la mazzetta di quotidiani del giorno prima (sabato) e apprenda da “il manifesto” che Mediaset è in sciopero. Cerca un riscontro altrove, in Rete ci si sta frequentemente, ma i siti dei giornali cartacei sono all’oscuro, in tutti i sensi. Ed è questo silenzio, lacerato solo dal “quotidiano comunista”, a inquietare.
A ciò si aggiungono le motivazioni dello sciopero che fotografano una situazione di profondo malessere nel mondo dei media, dunque non solo Mediaset, dove le sperequazioni accentuano il disagio che ogni dipendente vive. Si tratta di situazioni trasversali che attraversano tutta l’informazione. Ma quella televisiva di più, perché è il terreno dove s’investono le risorse più consistenti, perché è quello di maggiore e più semplice fruibilità, perché è in grado di determinare la formazione di un’opinione pubblica, della maggioranza silenziosa, che tanti disastri, con il suo voto compatto alla combriccola del papi del consiglio, sta causando al Paese in cui sono nato, mortificato da tale mostruosità.
Pensare che c’è ancora chi ritiene esagerato parlare di regime, senza rendersi conto – come purtroppo me ne avvedo io – di esserci dentro.
Striscia lo sciopero
Il 90% dei tecnici Mediaset incrocia le braccia contro le esternalizzazioni selvagge e a difesa del contratto. La protesta di Cgil, Cisl e Uil manda in tilt i palinsesti, ma le reti del premier la oscurano. Tacciono anche le agenzie di stampa e i tg della tv pubblica
APERTURA | di Antonio Sciotto
Sì, Mediaset sciopera
Nonostante Silvio Berlusconi la vanti come un'azienda senza proteste, ieri gli studi romani si sono fermati e il Tg5 è stato montato dai capi. L'esplodere di format e precari fa temere licenziamenti
Si sciopera anche nell'azienda del Grande Capo. La stampa non ne parla, è un tabù per le televisioni (soprattutto quelle del Biscione), ma ieri
I dipendenti di Videotime non reggono più: le condizioni di lavoro sono sempre più aspre a causa di una «pressione multipla», esercitata da almeno tre categorie che convivono negli studi accanto a loro. Innanzitutto ci sono i tanti professionisti-consulenti che ruotano attorno alle star televisive: a quanto afferma il sindacato, la parrucchiera personale di conduttrici come Rita Dalla Chiesa o Barbara D'Urso, può arrivare a guadagnare dai 700 fino a 1300 euro al giorno. Mentre il salario mensile di un dipendente Videotime - tecnici, operatori di ripresa, produzione - va dai 1200 base, fino ai 1500 se aggiungi le maggiorazioni e gli straordinari.
Ma non basta: alla base della piramide Mediaset, dunque nell'altro emisfero rispetto al privilegio delle star, c'è il vero popolo degli «sfruttati», quelli che ieri non hanno potuto neanche scioperare perché non hanno voce, e il cui utilizzo sempre più intenso sta contribuendo a mettere da parte il personale dipendente. I cosiddetti service esterni, fatti di troupe di operatori e specializzati di ripresa, fino agli stessi parrucchieri (ma quelli che truccano gli ospiti più «sfigati»): per 10 ore di lavoro possono costare all'azienda dai 50 ai 100 euro al giorno, in partita Iva o con appalti che applicano i più svariati contratti, dunque all'insegna del grande risparmio (niente ferie, niente diaria, niente tredicesime, premi di produttività o integrativi).
Infine, c'è la terza categoria di «concorrenti» alla Videotime, ma la gran parte di loro fa parte della stessa Mediaset. Si tratta dei dipendenti della Endemol (anch'essa gruppo Mediaset), che offre prodotti già pronti ai canali di Berlusconi, come Il Grande fratello. Ma ci sono anche
Dalla Cisl arriva più esplicita la parola «licenziamento», un tabù per Silvio Berlusconi, che si è sempre vantato del fatto che «a Mediaset non si sciopera mai né si licenzia»: «Per ora - spiega Roberto Crescentini, Rsu della Fistel Cisl - ci sono quelli che chiamiamo "licenziamenti bianchi": sottoutilizzare il personale, farlo stancare della situazione perché molli, non sostituire chi va in pensione. Ma certo, se si continua a esternalizzare a questi ritmi, temiamo un ridimensionamento più drastico».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, e indotto Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom a indire lo sciopero è stato l'episodio dello «stampone» per la puntata di Matrix dell'1 maggio. Lo «stampone» è il piano turni che viene esposto ogni venerdì, e vale per tutta la settimana successiva. L'azienda ha prima chiesto ai lavoratori di fare lo straordinario per il primo maggio, pubblicando di conseguenza lo «stampone» con i turni per
Altri esempi? Sempre
Un altro dipendente, di cui non citiamo il nome per tutelarlo, spiega di lavorare da 23 anni per Mediaset: nel 2001 - ci dice - è stato trasferito da Palermo a Roma, e nel
il manifesto (23 maggio 2009)
di Micaela Bongi
Mediaset si sciopera, ma la notizia fa molta fatica a uscire all'esterno. Anche perché i Tg del Biscione non aiutano. Eppure «il paese cresce se con esso crescono la cultura, l'innovazione, l'informazione e quindi la libertà». Parola di Silvio Berlusconi, che invia questo messaggio al convegno «Crescere tra le righe» organizzato dall'Osservatorio permanente giovani editori. All'incontro partecipa il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, che per confermare quanto il «mero proprietario» dell'azienda tenga alla libertà mette il Cavaliere, arriva a contraddirlo.
A Confalonieri viene chiesto conto delle lamentele del premier sulla qualità dell'informazione, anche di Mediaset,nei suoi confronti. Risposta: «Non sono d'accordo con quello che dice Berlusconi. Faccio dialettica con lui. Ma poi, essendo un liberale, ti lascia fare quello che vuole». Quanto ai giornalisti, «non importa quanto siano faziosi, l'importante è che sappiano fare il loro mestiere».
E Enrico Mentana, al quale l'azienda ha dato il benservito e che ha definito Mediaset un «comitato elettorale?». Altra risposta di Confalonieri: «Mi chiese di uscire in aprile e se ne è andato a febbraio. Dunque è stato per 9 mesi nel comitato elettorale e prima ancora per 18 anni». Con queste autorevoli premesse, è davvero molto difficile capire come mai i giornalisti di Mediaset non abbiano potuto dar conto dello sciopero che proprio ieri si è svolto nell'azienda, quello proclamato dai lavoratori di Videotime. E' vero che la notizia non compare nemmeno sulle principali agenzie di stampa, nemmeno una riga. Compulsando la rete si viene a sapere che l'informazione è invece ampiamente circolata su Facebook, dove appunto, nel passaparola, c'è chi lamenta la «censura televisiva» rispetto allo sciopero e quindi si attiva per raggiungere il maggior numero possibile di amici. Insomma, «il paese cresce se con esso cresce l'informazione e quindi la libertà». Ma come mai una grande azienda della comunicazione non riesce nemmeno a informare il pubblico su quel che accade al suo interno? Almeno al Tg5 un tentativo è stato fatto. Il comitato di redazione l'altroieri ha infatti stilato un comunicato per esprimere solidarietà ai colleghi in sciopero. Il testo integrale è questo: «Il comitato di redazione del Tg5 esprime solidarietà ai colleghi di Videotime che sono impegnati venerdì 22 maggio in una intera giornata di sciopero a difesa del contratto di lavoro e contro le esternalizzazioni delle attività produttive delle sedi Palatino ed Elios.
Il Cdr del Tg5 è a fianco dei dipendenti di Videotime e si augura che vengano al più presto ripristinate serene relazioni sindacali tra
Un comunicato a solo uso interno? L'intenzione non era quella. Perché era stato chiesto che ne fosse data lettura nel corso del telegiornale. Ma così non è stato. Da un sindacato dei lavoratori in sciopero spiegano che a impedirlo sarebbe stato il direttore della testata Clemente J. Mimun. Dal comitato di redazione Paolo Trombin conferma che è stata data la solidarietà, ma «non confermo tutto il resto». Una smentita però non c'è, mentre dalla redazione confermano quantomeno che il clima è molto teso.
Se Berlusconi, oltre a attaccare faccia a faccia i giornalisti che fanno domande sgradite, protesta continuamente perché i media forniscono un'immagine distorta della crisi, questa volta, almeno con la sua azienda, non si potrà lamentare.
il manifesto (23 maggio 2009)
Direi che nel caso del tuo post e del comportamento reticente dei media a dare questa notizia possiamo parlare di, parafrasando se mi permetti il titolo del tuo blog, Silenzio della verità.
RispondiEliminaDaniele il Rockpoeta
Rockpoeta, finalmente qui. Permetto, permetto anche perchè sarebbe stato un bel titolo il tuo. Io, invece, mi sono rifatto al titolo di una canzone e "L'immensità" è diventata "L'oscurità".
RispondiEliminaGrazie.
P.S.Mi ha fatto poi piacere che Santoro, in apertura di programma, abbia fornito la notizia. Io mi ero già messo al passo con i tempi.
E' un onore aver trovato il tuo blog. Mi permetto di linkarlo sperando di non fare cosa a te sgradita.
RispondiEliminaDaniele il Rockpoeta
ROCKPOETA, buona applicazione, in questo caso della reciprocità, in ogni senso.
RispondiEliminaProvvedo, naturalmente anch'io con piacere.