Si susseguono avvenimenti e situazioni meritevoli di attenzione e condivisione. Subito il fatto del giorno, vale a dire la trasformazione del papi del consiglio in grande corruttore, cosa che già prima era percepita come tale dalle persone più avvedute e refrattarie alla lobotomizzazione. Da ieri è pure acclarata con una sentenza.
Mi ha entusiasmato la prima pagina de “l’Unità” che ha interpretato lo stato d’animo di una parte della popolazione, compreso il mio ovviamente, con una richiesta – quella delle dimissioni -talmente ovvia che non dovrebbe neppure sorprendere. Ma che i potenti mezzi radiotelevisivi hanno provveduto ad oscurare. O forse ero io ad essere distratto. Capita.
Ovviamente il primo pezzo è della direttrice de “l’Unità” la superlativa Concita De Gregorio, a seguire Marco Travaglio, of course e quindi un commento di Federico Geremicca, con alcune annotazioni interessanti, diverso tuttavia nei toni dai pezzi che lo precedono, collocandosi in posizione quasi di “terzietà”, ma giungendo inevitabilmente alla conclusione più sacrosanta.
Il filo rosso di
Concita De gregorio
l’Unità
19/05/2009
Un corruttore. No: non di minorenni. Oggi non parliamo di quello. Di falsi testimoni pagati per mentire: questo dice la sentenza Berlusconi-Mills, cinquecento pagine di documenti interni alla Fininvest firmati da manager del gruppo che provano come il capo del governo abbia pagato 600mila dollari un suo ex consulente, un tipo che gli aveva appena costruito 64 società off shore utili a occultare patrimoni all'estero, David Mills. 600mila dollari per garantirsi l'impunità nei processi a suo carico. «La mia testimonianza aveva tenuto mister B. fuori da un mare di guai nei quali l'avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo. 600mila dollari furono messi a mia disposizione». Ecco, queste le parole esatte scritte nero su bianco in una lettera di Mills al suo commercialista. Quindi sappiamo ora ufficialmente due cose che in via informale sapevamo già: che Papi - qui chiamato Mister B. - compra (paga, promuove, nomina, estingue i debiti: dipende) favori e silenzi e a cosa serva esattamente il lodo Alfano. Sul primo punto: la tentazione di corrompere col denaro e con le lusinghe del potere deve essere molto forte per chi disponga di enormi quantità di denaro. Non irresistibile, naturalmente, ma in tempi deboli: forte. La tentazione tende a fare l'uomo ladro. È questa la ragione per cui, in generale, sarebbe preferibile che chi governa un paese fosse persona sobria e non dedita a fasti imperiali. Va inoltre osservato che per corrompere bisogna trovare sul proprio cammino sempre e solo persone che si lasciano comprare. Accade spesso ma non sempre, resta un margine di rischio e sovente, quando non si riesce a zittire col denaro, gridare al complotto risulta poco credibile e inutile. Più semplice sarebbe sottoporsi alle regole comuni, quelle che valgono per tutti. Alla tentazione che rende ladri esiste un antidoto certo: il rispetto della legge. Ecco qua il secondo punto, a cosa serva il lodo Alfano. Approvato in 25 giorni come primo atto di questo governo il lodo Alfano dice che tutti rispondono alla legge dei loro reati tranne alcuni. Berlusconi, per esempio, no. Nelle pagine interne spieghiamo esattamente quali siano le regole - della concorrenza, del mercato, dei principi liberali - violate dal Presidente del Consiglio solo per quel che riguarda questo ultimo processo.
Il lodo Alfano dice che l'immunità «opera per l'intera durata della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura né si applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o delle funzioni». Poiché il prossimo presidente della Repubblica lo eleggeranno le nuove Camere e non queste bisogna dunque chiedersi subito che cosa succederà nei prossimi mesi: come farà il premier a mantenere l'immunità quando terminerà il suo mandato? Pensa di essere nominato al Colle come nel Grande Fratello? Di essere eletto presidente della Repubblica con televoto? Difficile. Vorrà cambiare
Le leggi «à la carte» e il libro paga del Grande Corruttore
Nelle carte dei giudici certificata la realtà degli ultimi 15 anni: dalla GdF «ammansita» sui libri contabili Mediaset passando per il Lodo-Mondadori. E la cortina delle (sue) televisioni
L’analisi
MARCO TRAVAGLIO
«Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno». Lo dice Gesù all’apostolo Tommaso, che ha
dovuto infilare la mano nella piaga del costato per credere nella resurrezione. Il processo Berlusconi-Mills (noto a tutti, grazie a un’informazione serva, solo come il «processo Mills»: si diceva il corrotto, ma non il corruttore) non ha nulla di spirituale né di trascendente. È una sporca storia di corruzione, il paradigma del modus operandi di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio della Repubblica Italiana. Un grande corruttore che ha sempre comprato tutto e tutti, avendo sempre avuto la fortuna di incontrare gente comprabile. Il suo gruppo comprava
Purtroppo per lui (e per«Mr B.»), Drennan lo denunciò al fisco inglese, così la lettera finì sul tavolo dei pm milanesi. Interrogato, Mills confessò che era tutto vero, salvo poi ritrattare con una tragicomica retromarcia. La sentenza di ieri conferma un fatto notorio: il nostro premier è, per l’ennesima volta, un corruttore, per giunta impunito per legge. Ha comprato un testimone in cambio di una falsa testimonianza. Un reato commesso per occultarne altri, a loro volta commessi per nasconderne altri ancora. Ora che è di nuovo al governo, per garantirsi l’impunità non ha più bisogno di corrompere nessuno: gli basta violare
l’Unità
MERCOLEDÌ
20 MAGGIO
2009
Prigionieri dei processi del premier
FEDERICO GEREMICCA
E adesso, purtroppo, si può affermare che quel che fino a ieri era solo una deduzione logica (se esiste un corrotto, esisterà pure un corruttore!) da oggi è una circostanza giudiziariamente accertata: l’avvocato David Mills, condannato a 4 anni e 6 mesi per corruzione in atti giudiziari, agì «da falso testimone per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l’impunità dalle accuse o, almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati».
È questo, infatti, quel che scrivono i giudici milanesi nelle motivazioni della sentenza di condanna emessa nel febbraio scorso nei confronti dell’avvocato Mills: una sentenza - ora è possibile affermarlo - che avrebbe colpito anche Berlusconi, se la sua posizione non fosse stata stralciata dal processo dopo l’approvazione del cosiddetto lodo Alfano (legge varata nel luglio scorso e che impedisce di portare in giudizio le quattro più alte cariche dello Stato durante il loro mandato).
Dicevamo «purtroppo»: e non soltanto perché le motivazioni della sentenza milanese non sono certo tra quegli avvenimenti capaci di inorgoglire un Paese (e perfino - crediamo - gli elettori di Silvio Berlusconi).
Ma anche perché quel che è andato in scena, dal momento in cui quelle motivazioni sono state rese pubbliche, corrisponde a un copione già assai noto. E, potremmo aggiungere, tristemente noto: da una parte il premier che definisce scandalosa la sentenza, attacca i giudici e avverte che «quando avrò tempo andrò a riferire in Parlamento e vedrete cosa dirò»; dall’altra le opposizioni che, con accenti diversi (si va dall’accusa al premier di piduismo alla più ragionevole richiesta di rinunciare allo «schermo» del lodo Alfano), tornano a cavalcare un già sperimentato «antiberlusconismo giudiziario», provando a modificare il corso delle cose in vista del voto del 6 e 7 giugno. Nulla di particolarmente edificante, insomma. E sarà pure retorico aggiungerlo: ma davvero nulla di edificante, proprio nel momento in cui è di ben altro clima che il Paese avrebbe bisogno. D’altra parte, non c’è nulla di cui ci si possa sorprendere. È da quindici anni esatti, dalla «discesa in campo» di Silvio Berlusconi (1994), che cittadini, commentatori, forze politiche, intellettuali e chi più ne ha più ne metta, si azzuffano intorno ai processi istruiti nei confronti del Cavaliere. Quindici anni di condanne, assoluzioni, appelli e prescrizioni che hanno reso venefica l’aria nel Paese. Le opposizioni ci hanno naturalmente messo del loro, in ragione dei toni apocalittici e degli argomenti (per altro rivelatisi elettoralmente improduttivi) che hanno spesso usato; ma non può esservi alcun dubbio intorno al fatto che la responsabilità maggiore gravi sul presidente del Consiglio, in virtù di una scelta che fu fin dall’inizio definita sciagurata: e la scelta - come spesso sottolineato in passato - è quella di aver deciso di difendersi «dai» processi, piuttosto che «nei» processi.
È tutto questo - intendiamo il comportamento dell’uno e la propaganda degli altri - che in fondo ha reso tutti noi, il Paese insomma, prigionieri dei processi di Berlusconi: prigioniera la politica in senso lato, l’informazione nel suo complesso, prigioniero il Cavaliere - naturalmente - e perfino le opposizioni. Che hanno ormai da anni come cartina di tornasole della propria identità, e come fattore spartiacque per alleanze e rotture, proprio il giudizio e l’intensità della polemica nei confronti di Berlusconi. E tutto ciò, nonostante sia ormai quasi matematicamente dimostrato che inchieste e sentenze rafforzano elettoralmente il premier, capace di compattare e motivare i suoi sostenitori con la tesi «c’è un complotto di giudici e comunisti contro di me».
Per questo, in realtà, la rituale difesa che il centrodestra ha fatto ieri di Berlusconi («Giustizia a orologeria in vista delle elezioni») appare poco sentita, oltre che offensiva nei confronti dei giudici. Piuttosto, è un altro meccanismo a orologeria che si è messo in moto da ieri e che deve - questo sì - preoccupare davvero: ci riferiamo all’intervento che il presidente del Consiglio ha intenzione di svolgere di fronte alle Camere. Ci pensi bene, il premier, prima di andare nelle aule del Parlamento e muovere da lì il suo j’accuse nei confronti di un organo costituzionale; eviti di aprire nuove crisi, come quelle già troppe volte sfiorate col Capo dello Stato; fornisca al Paese la sua versione dei fatti con il necessario senso di responsabilità. Insomma, non dia vita a nuovi scontri. Ne sia certo: il Paese apprezzerebbe assai di più.
www.lastampa.it (20 maggio 2009)
Bella la foto dove si tocca le palle...
RispondiEliminaIllusionissima, deve essersele strizzate assai forte e il gesto gli ha portato molto bene. Finora.
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