sabato 6 novembre 2010

Massa e monnezza







A colazione: monnezza, a pranzo: monnezza, a cena: monnezza. Se poi ci scappa la merenda pomeridiana: sempre monnezza. Come quel liquore di un remotissimo spot: che la squadra del cuore vinca, perda o pareggi sempre Stock84.



E così, a Napoli, la monnezza entra in ogni momento della giornata: dalla tv se si sta facendo colazione, dalle conversazioni conviviali del pasto principale, dall’edizione del tg regionale la sera e anche all’ora del tè, dopo la passeggiata post prandium tra un Everest di spazzatura e un Kilimangiaro di rifiuti. Tanto da ritenere la monnezza ormai organica al paesaggio. Vorrei dire armonica, ma sarebbe sconveniente. Non stupirebbe, però, se anche i maestri presepai, ormai in piena attività, inserissero i cumuli di rifiuti tra le statuine della rappresentazione natalizia. 



La rassegnazione, più dell’invivibilità tra la spazzatura, sembra prevalere tra la gente, quella che affolla i coloratissimi mercatini e si trascina da un marciapiede all’altro. Quelli almeno praticabili. Rassegnazione forgiata dalle mirabolanti balle (mai termine fu più adeguato) che il papi in libertà provvisoria ha continuato a catapultare verso la città partenopea.





Piange il cuore ad attraversare luoghi meravigliosi, ad ammirare panorami unici, inquinati pesantemente da responsabilità pluriennali le cui colpe si possono ripartire tra la classe dirigente e la complicità, talvolta in buona fede, dei cittadini-elettori. Perché se esiste la responsabilità personale questa è di tutti e ci dovrà pur essere qualcuno che proponga: “Io faccio un passo indietro, ricominciamo, riproviamo un aggancio con il vivere civile”.  Evitando che qualcuno ci costruisca sopra una falsissima campagna elettorale e mediatica, stravinca e poi lasci che a finire in discarica siano i napoletani che poi vivono la loro città.



Una città dove si muovono tutti in massa: se in auto con file interminabili e rumorose, se a piedi invadendo le stesse strade che devono poi condividere con motorini e  macchine. Le persone formano un grumo unico che ondeggia di qua e di là, poi si posiziona all’ingresso di un negozio, di un bar, di una pizzeria, rimescolandosi continuamente. Impensabile sentirsi soli. E anche parlarsi. Tante voci s’intrecciano, suoni, rumori, proposte indecenti (l’abbonamento a Sky offerto all’uscita dalla metro) seccamente rifiutato, rinunciando però - non c’è spazio, non c’è tempo – a spiegare il motivo per cui mi faccia “skyfo” la tv a pagamento che ha distrutto il calcio.



Perchè l’amarezza si stempera subito in silenziosa ammirazione entrando nel chiostro di Santa Chiara, dove il tempo rimane sospeso e un’oasi di quiete infrange il caos esterno. Le immagini parlano, anche se non rendono il senso di benessere che si prova, non permettono di godere il profumo dell’agrumeto, dell’angolo con gli aromi.



La giornata è grigia, con minaccia ancora di pioggia dopo la tempesta della sera precedente con acqua a volontà, accompagnata dall’impetuoso vento che mulinava tra cartoni e buste di plastica vuote in un’oscena danza.  Mentre tra i rifiuti si aggirano disperati che immergono le braccia nei cassonetti, oppure muniti di bastone setacciano tra i cumuli accatastati, estraggono vestiti, li esaminano per metterli poi da parte.



Ma qui, nell’atmosfera del chiostro, con le splendide maioliche che purtroppo cadono a pezzi, si conserva ancora lo spazio per lo spirito, per la contemplazione, quasi evocando - come il poeta -  quel dolce naufragar “in questo mare”.



*La foto in apertura è stata ripresa all'ingresso di "Napolimania", per gentile concessione del proprietario, al quale ci siamo rivolti: "Possiamo scattare?" Sì, perchè me l'avete chiesto".


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