mercoledì 24 novembre 2010

Come quando fuori piove/3

Continuo ancora con l’alluvione in Veneto, perché gli effetti di un normale fenomeno atmosferico rappresentano la metafora delle sorti magnifiche e progressive del nostro tempo. Tutto ciò che è stato contrabbandato come civiltà e crescita della popolazione, intesa come miglioramento, ha mostrato il suo totale fallimento. La constatazione è scevra da qualunque trionfalismo, sottolinea le pesantissime responsabilità delle classi dirigenti, non soltanto venete, mentre dimostra come tra il dire e il fare di questo governo ci sia proprio un mare di acqua. E questa non è una mistificazione, ma devastante realtà.

Le foto sono tratte da una pubblicazione della Regione Veneto chiusa in tipografia alle 13 dell’8 novembre 2010.


Foto di: Protezione Civile della Regione del Veneto, Provincia di Treviso, Coldiretti Veneto, Archivio Fotografico Gazzettino, Il Giornale di Vicenza, Gruppo Finegil, Corriere del Veneto, Anna Barbara Grotto, Nicola Stievano,Vincenzo Amato.





Così l’edilizia è selvaggia

 

Francesco Erbani

 


Perché l’Italia è il paradiso dell’abusivismo? E perché solo l’Italia, visto che è difficile persino tradurre in inglese o in francese l’espressione "abusivismo edilizio"? Sono le domande che percorrono Breve storia dell´abuso edilizio in Italia. Dal ventennio fascista al prossimo futuro (Donzelli, pagg. 166, euro 16,50), il libro che l’urbanista Paolo Berdini ha dedicato al fenomeno che attraversa la storia del nostro paese con la regolare continuità di un ciclo industriale e che viene considerato, dal Lazio in giù, un modo d’essere dell’attività edilizia, assimilato all´abitudine di parcheggiare in seconda fila.

Correttamente Berdini risponde che sono tanti i motivi per cui in Italia si può costruire violando le norme. Ma uno emerge. In Europa esiste «un patto sociale riconosciuto», per cui la pianificazione urbanistica è accettata dalle autorità pubbliche, dagli operatori economici e dai cittadini. Da noi, invece, vige il patto non scritto - o persino scritto - fra chi amministra e chi è amministrato tendente a ignorare le regole, perché in fondo edificare viene considerato un diritto insito nel possesso di un suolo. Se si è proprietari di un’area, tirar su una villetta, una batteria di casette, allestire un capannone industriale, scavare una piscina è attività che si può realizzare sia chiedendo sia non chiedendo un’autorizzazione. Dipende dalla convenienza. D’altronde per tre volte, nel 1985, nel 1994 e nel 2004, il parlamento ha varato condoni, dimostrando di considerare la sanatoria degli abusi un normale sistema di governo del territorio, una specie di pianificazione dell’illecito. Tanto più che gli abbattimenti, pur previsti per legge, sono il frutto della generosa volontà di qualche amministratore o di qualche magistrato, subito però scoraggiata.

Le cifre che Berdini colleziona sono impressionanti. 4 milioni 600 mila abusi realizzati dal 1948 a oggi, cioè 74 mila ogni anno, 203 al giorno. In insediamenti costruiti illecitamente vivono 6 milioni di persone. Da un’altra rilevazione risulta che nel Sud si concentra quasi la metà di tutti gli abusi. Se si aggiunge il Lazio si arriva oltre il 64 per cento.

L’abusivismo, si legge nel libro, nasce durante il fascismo e forse addirittura prima. Ma è negli anni Cinquanta che cresce vorticosamente, in particolare a Roma e nel Mezzogiorno. La causa generalmente indicata è l’assenza di un intervento pubblico nell’edilizia che risponda al bisogno di case a poco prezzo. Spiegazione fondata, ma che non chiarisce, sottolinea Berdini, perché a Milano e a Torino l’abusivismo sia marginale rispetto alla campagna romana. Esiste un’epopea popolare dell’abusivismo anni Cinquanta e Sessanta, documentata in tanta letteratura e tanto cinema. Ma ad essa si sovrappone con il tempo l’elemento speculativo. Non c’è solo il capofamiglia che mette mattoncino di tufo su mattoncino di tufo e fabbrica la casa per sé e per i figli. Sulla necessità dei più deboli piomba lo speculatore che lottizza, costruisce e vende senza chiedere licenza.

In ogni caso, dalla fine degli anni Settanta questo abusivismo lascia il posto all’abusivismo di pura valorizzazione. Le coste di Sicilia, Calabria e Campania massacrate da un’orda di seconde case. Le aree pregiate della campagna romana puntellate da ville. Le palazzine nella Valle dei Templi di Agrigento. Gli insediamenti in zone fragili (Sarno e Messina, per esempio). I 280 mila metri cubi del costruttore Domenico Bonifaci a qualche centinaio di metri dalla tenuta presidenziale di Castel Porziano a Roma. Le ville, i concessionari d’auto e gli sfasciacarrozze nell’Appia Antica. E poi le piscine a Roma per i mondiali di nuoto. Le case a ridosso del Vesuvio.

Le conseguenze dell’abusivismo sono pesanti. Le città si sfasciano, i paesaggi vengono violentati, aumentano i rischi di frane e di esondazioni. Inoltre l´abusivismo costa. I condoni servivano, si sentiva dire, a rimpinguare le casse delle amministrazioni pubbliche: ma Berdini, conti alla mano, dimostra il contrario.Il libro proietta lo sguardo sul futuro. L’abusivismo è destinato a continuare perché la pratica dei condoni non si è arrestata. E l’esperienza insegna che i condoni non occorre farli, basta prometterli per scatenare la corsa al mattone illegale.

(4 novembre 2010)







Zaia smentito dai geologi

 

Vittorio Emiliani           

 

Giovedì sera al Tg3 il presidente del Veneto, l’ex ministro Luca Zaja, è stato molto tranciante: l’ennesima disastrosa alluvione veneta è soltanto frutto di “calamità naturali”, la cementificazione della collina e il dissesto idrogeologico non c’entrano nulla. Ieri però una nota della la Società Italiana di Geologia Ambientale, dopo aver descritto i disastri verificatisi dal Lombardo-Veneto alla Calabria, dice fra l’altro: “Dal punto di vista scientifico, i fenomeni naturali sopradescritti rientrano nella normalità. È normale che in autunno si registrino piogge di tali intensità e durata”. Non è invece per niente normale che un territorio geologicamente “giovane” come il nostro sia diventato “strutturalmente fragile” perché si costruisce in zone “pericolose”.

Di recente l’Istat ha collocato il Veneto fra le tre regioni italiane con la massima concentrazione edilizia, case e capannoni, tanti capannoni da far esclamare nel 2003 all’allora presidente Renzo Galan “Basta capannoni!” Un grido senza alcun seguito pratico. Sempre l’Istat definiva la pedemontana veneto-lombarda – in termini meno tecnici, la un tempo splendida collina di Piovene e di Parise – una delle zone più cementificate e asfaltate d’Italia. Basta scendere in aereo su Venezia: il continuum edilizio è agghiacciante senza uno spicchio di verde in mezzo, per centinaia di chilometri da Venezia-Mestre.-Padova, ormai saldate, alla Lombardia. Ed è, per lo più, edilizia “legale”, eretta in base a piani urbanistici sforacchiati da continue varianti. Perché un territorio collinare così maltrattato dovrebbe “tenere” con le piogge autunnali o primaverili? Difatti le alluvioni, qui e altrove, sono ormai permanenti.

Cosa fa il governo Berlusconi, il “governo del fare”? Concorre potentemente a disfare il Belpaese riducendo nell’ultimo triennio del 60 % (così il Wwf) i fondi destinati alla difesa del suolo e al restauro di un territorio massacrato. Eppure ci eravamo dati una buona legge – la n. 183 del 1989, nella deprecata Prima Repubblica – creando, sul modello dell’Authority del Tamigi, le Autorità di bacino. Solo che nel Regno Unito le competenze forti sono tutte andate alla Themes Autority, mentre qui si è fatto l’opposto togliendo alle Autorità (specie se interregionali, orrore) soldi e competenze. Un anticipo di federalismo all’italiana che smantella i poteri pubblici, li regionalizza, poi magari li municipalizza e infine lascia fare ai privati quello che vogliono. Case e capannoni, capannoni e case. Nel decennio 1991-2001 in provincia di Vicenza la popolazione è aumentata del 32 %, ma la superficie urbanizzata è esplosa: + 342 %. In tutta Italia nel periodo 1995-2006 – secondo un calcolo attento (e su dati Istat) dell’urbanista Paolo Berdini – sono stati mangiati dall’edilizia di tutti i tipi ben 750.000 ettari di suoli liberi, una regione grande come l’Umbria. Da una parte stiamo rendendo impermeabile ogni anno circa 70.000 ettari, dall’altra lo spopolamento agricolo (ripreso con forza visto che sui campi si guadagna sempre meno) abbandona a se stesse montagna e alta collina. Coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti alla prima pioggia un po’ più forte.

A questo consumo di suolo sfrenato si comincia a dare uno stop dal basso. Un buon esempio viene proprio dal Milanese, dal sindaco, Domenico Finiguerra, di Cassinetta di Lugagnano (sul bellissimo Naviglio), premiato come il più “virtuoso” poiché ha varato un piano territoriale a “consumo zero” di suoli liberi. Una sacrosanta battaglia che nel Regno Unito, pensate un po’, ha prodotto una legge severa negli anni ’30 e poi una ancor più rigorosa con Tony Blair. In Germania vige dagli anni ’90 una legge Merkel che punta a ridurre il consumo di buona terra, anche se quello di partenza era un terzo del nostro. E da noi? Si rincorrono i guasti di frane e alluvioni spendendo infinitamente di più in rattoppi di quanto si spenderebbe in prevenzione. E si contano tristemente i morti: dal Polesine ad oggi, o a ieri, 3.255 includendo il Vajont che qualcuno cercò allora di spacciare per “calamità naturale”.

(6 novembre 2010)










La Lega straripa e il territorio annega

 

Alessandro Robecchi  

 

Il tempo, che è galantuomo, svela via via i bluff e le truffe. Per esempio, quelle della Lega. Mentre a Roma i gloriosi padani appoggiano il governo Bunga Bunga, nelle loro terre, in Veneto, i fiumi straripano alla grande, le città si allagano tipo Venezia, capannoni, laboratori e fabbrichette sono inagibili. Niente male come controllo del territorio, la tanto sbandierata specialità dei leghisti, che questa volta, perdonerete la metafora, ha fatto acqua da tutte le parti. Il governatore Zaia con il cappello in mano chiede un miliardo all'odiato stato centrale: il Veneto ai veneti, per carità, ma gli schei che vengano da Roma. Certo, un'alluvione è un'alluvione ovunque, e siccome l'Italia c'è ancora e la Padania non esiste, è giusto che all'emergenza si corra ai ripari con soldi di tutti. E questo anche se sulla Padania, un leghista di Varese ha vantato opere lombarde che in Veneto non si sono fatte: magra goduria vedere i barbari che si insultano tra loro. Quella che manca all'appello, però, è proprio quella parolina magica che i giannizzeri della Lega sventolano in ogni istante: territorio. Già, cos'hanno fatto per il territorio, la sua bonifica, la sua messa in sicurezza, la sua salvaguardia tutti quei sindaci e amministratori così impegnati a scrivere cartelli in dialetto? Crescere, urbanizzare. La casa, il laboratorio, il capannone, il magazzino, il laboratorio più grosso, la strada più larga, la casa che diventa villetta e via così. Per anni, prima sull'onda del «miracolo del nord-est», e poi cavalcando il «padroni a casa nostra», il tutto mentre il famoso territorio si comprimeva e diventava una bomba d'acqua pronta a esplodere. La sacra ampolla, il dio Po, la secesiùn, il dito medio alzato, le scuole griffate lega, il tricolore piegato in modo che si veda solo il verde (lo hanno fatto in aula i consiglieri regionali veneti della Lega il 4 novembre), tutto molto folkloristico. Ma poi chissà, svegliarsi una mattina con l'acqua alle ginocchia potrebbe essere il preludio di un risveglio vero, il primo passo per capire che il territorio è una cosa seria, che va usato per vivere, e non per i comizi.

(7 novembre 2010)








Piogge, cemento e segretarie: l’eredità di Galan pesa sul Veneto



Ferruccio Sansa

 

Un governatore, Galan, che ha ricoperto il Veneto di cemento ed è stato promosso ministro dell’Agricoltura. La sua ex-segretaria che in pochi anni diventa uno dei più grandi imprenditori del mattone, maneggiando somme a nove zeri con società in Italia e a San Marino. E poi esponenti di spicco del Pdl che la fanno da padroni nel settore delle grandi opere. Succede nel Veneto, regno del centrodestra.

Adesso, però, è arrivata l’alluvione. Quando le acque si saranno ritirate, oltre ai campi devastati potrebbe emergere una storia imbarazzante per il Pdl e la Lega, che oggi tuona contro Roma e Pompei, ma era nella maggioranza di Galan.

“I fenomeni naturali che si sono verificati in Veneto rientrano nella normalità. È normale che in autunno si registrino piogge di tali intensità e durata”. Così la Società Italiana di Geologia Ambientale. Ma allora perché il Veneto è diventato un lago? Il governatore Luca Zaia non ha dubbi: il cemento non c’entra. Chissà, forse anche perché il cemento è una questione spinosa per la sua maggioranza.

Più d’uno da queste parti solleva il dubbio: l’alluvione potrebbe essere conseguenza della cementificazione selvaggia voluta dal centrodestra e soprattutto da Giancarlo Galan, il governatore “Doge” che regnando dal 1995 al 2010 ha costruito come nessun altro. Autostrade, centri commerciali, capannoni, paesi nuovi di zecca (spesso deserti). In pochi anni il paesaggio è stato stravolto. I dati del Centro Studi dell’Università di Padova confermano l’impressione: dal 2001 al 2006 sono state realizzate abitazioni per 788 mila persone, quando la popolazione è aumentata di 248 mila. Sono state rilasciate concessioni per 94 milioni di metri cubi di costruzioni, l’equivalente di una palazzina alta e larga dieci metri e lunga 1.800 chilometri. Nel solo 2002 sono stati costruiti 38 milioni di metri cubi di capannoni. Ma soprattutto: la superficie urbanizzata in Veneto è aumentata del 324% rispetto al 1950 (mentre la popolazione è cresciuta del 32%).

Perché l’acqua diventa disastro

Un cambiamento che può aver trasformato una forte pioggia in un disastro. “La terra lascia penetrare l’acqua, mentre il cemento è impermeabile e favorisce le alluvioni”, spiega Adone Doni, portavoce del Cat, Comitato Ambiente e Territorio della Riviera del Brenta.

Così la pioggia rischia di mettere a nudo la rete di potere del centro-destra. Sono decine di personaggi, magari sconosciuti, che con le loro opere cambiano la vita di milioni di veneti. Come Claudia Minutillo: fino a pochi anni fa segretaria e strettissima collaboratrice di Galan. Poi il grande salto nel mattone: Minutillo, classe 1963, ha i contatti giusti, anche grazie al marito console di San Marino (che ha siglato accordi con la Regione Veneto). In men che non si dica si ritrova a capo di un impero, ha partecipazioni e incarichi in quasi venti società.

Mattoni e giornali

Con la sua Adria Infrastrutture sta puntando a realizzare opere da miliardi: la “Via del mare”, superstrada a pedaggio che collegherà la A4 con Jesolo, il Passante Alpe Adria, 85 chilometri di – contestatissima – autostrada attraverso il Cadore. Poi il Terminal merci al largo di Rovigo e il Terminal di Marghera. Minutillo ha alleati forti: nella Adria Infrastrutture e nella Infrastruttura Sa (finanziaria con sede a San Marino) ecco Alberto Rigotti, il filosofo-imprenditore vicino alla Compagnia delle Opere, che ha comprato il gruppo editoriale E-Polis. L’alleanza dei signori del mattone si cementa nei quotidiani. Dentro E-Polis ci sono Mantovani (storico colosso del settore), Minutillo e Vito Bonsignore, europarlamentare berlusconiano e uno dei signori delle autostrade. Inchiostro e cemento, in Veneto si tengono stretti: Il Gazzettino, storico quotidiano locale, è di Caltagirone (editore anche di Leggo). Insomma, difficile trovare un giornale nemico del mattone.

Intanto il Pd nicchia o si divide. Alcune sue figure storiche, come Lino Brentan, seguono la via del pragmatismo (che l’ha portato nel cda di 11 società autostradali). Pochi criticano la politica del mattone del Pdl. Quasi nessuno fa notare il potenziale conflitto di interessi di figure come Lia Sartori, deputato europeo del centrodestra (con un passato, tra l’altro, nella commissione Trasporti). Proprio lei che è stata assessore regionale ai Trasporti e poi presidente del Consiglio regionale e che attraverso la società di progettazione Altieri ha collaborato con la Mantovani.

Ecco la rete del cemento veneto. In tanti, anche nel centrosinistra, speravano che Zaia prendesse le distanze. Ma non è stato così. E il Governatore adesso rischia di restare impantanato nel fango lasciato dalle piogge.

(9 novembre 2010)


 

 





 







 







 


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