
Napoli, maggio 2009. La collettività che implode, disperdendosi. La paura e il terrore sono presenti (e anche comprensibili). Ad essere assente è il senso di umana pietà. Con il coraggio. Non so se sia più coraggioso abitare a Napoli, oppure a Tehran. Non so se dispongano di più temerarietà gli iraniani che affrontano il regime, lasciando alcuni morti sulle strade, oppure che affrontano… Che denunciano… Cosa? A Napoli? Dove tutto funziona all’incontrario? Dove le leggi e le regole di un Paese non hanno valore? Dove esiste uno Stato parallelo che determina la vita e la morte delle persone? A Napoli vale meno che a Teheran la vita di un uomo che resta da solo a morire; accanto ha una giovane moglie disperata, attorno accade qualcosa di assolutamente irrealistico. Sembrano due mondi paralleli: quello dove vivono le persone che cercano di timbrare il biglietto in tutta fretta per scappare da quel luogo maledetto, che si affollano, si spintonano. E quello dove sono relegati Petru Birladeandu e Mirela, con la loro fisarmonica. Non comunicano tra loro, neppure si vedono. Ma a ben pensarci esiste pure un terzo mondo, affiancato a questi due. Ed è quello dove vivono i killer. Ma che città è mai questa dove cavalcando i loro scooter, imbracciando mitragliette come fossero ammennicoli, costoro irrompono come usciti da un pessimo film western? La sicurezza che uno Stato sovrano è tenuto a garantire sul territorio nazionale e dunque anche a Napoli, città ormai perduta, finisce alle porte dell’inferno.
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