Salutarsi e dirsi (arrivederci?) sotto un cielo di piombo, presago di pioggia imminente, è più triste del solito. La stazione in cui m’infilo rapidamente appare come un luogo più stomachevole di altri. Almeno il treno su cui salgo – già in attesa sul binario – è più confortevole di quanto appaia all’esterno, anche se avendo prenotato on line il posto, precisando “finestrino”, mi ritrovo invece con uno spicchio di vetrata alle spalle e, accanto, il pannello del vagone. Senso di claustrofobia, di soffocamento, una metafora del mio stato d’animo.
Ascolto distrattamente l’intreccio di conversazioni che si rincorrono in uno scompartimento affollato da una colorata colonia di giovani donne. L’attenzione è altrove. Ai minuti che hanno preceduto la partenza, ai dialoghi, ai discorsi frammentati che hanno evidenziato la fragilità dei sentimenti. Mi scopro debole, sconcertato e poi amareggiato. Non dal distacco, non dal commiato, ma da certe parole che passano come carta abrasiva sul cuore.
La resistibilità dei sentimenti risucchiati da considerazioni pragmatiche, dove la realtà schianta la fantasia, dissolvendo il sogno con la crudezza degli argomenti.
La volatilità dei sentimenti sfibrati dall’evidenza, dal rifiuto inaspettato e perciò più cruento.
Le domande dei sentimenti, perché il percorso delle cose materiali, delle prospettive solide, si sovrappone e minimizza ciò che formalmente è astratto, ma possiede una forza in grado di catturare e unire le persone.
Sono state scritte pagine straordinarie sui sentimenti, sulla loro energia propulsiva (“L'amor che move il sole e l'altre stelle”), sulla loro capacità di mutare il corso delle cose, ma soprattutto la vita delle persone. Spesso s’ignora che possano esistere nella dimensione più limpida e cristallina, perchè nella natura umana si manifesta una loro adulterazione e non altro. Simulacro dei sentimenti.
Con amabilità c’era stato chi, in alcune circostanze, si era spinto a suggerirmi di modificare il nome di questo blog, perché ormai erano tornati a splendere i sentimenti. Naturalmente avevo, con altrettanta amabilità (e gioia) rifiutato, spiegando che il brand non poteva essere cambiato, anche se etichettava un prodotto diverso da quello originario. Credo fosse anche la prudenza che suggeriva di lasciare inalterata ogni cosa.
E intanto corre, corre la locomotiva lasciando indietro, forse, il mio futuro.
Non abbatterti e non convincerti per forza di aver perso il treno giusto: pensa che quella locomotiva poteva essere destinata anch'essa ad un binario morto.
RispondiEliminaDaniele il Rockpoeta
Daniele, grazie. Questa sera sono più sollevato. Credo però sia necessario, o almeno per me lo è, sfogarsi con la scrittura ed espellere ogni residuo nocivo. In genere è salutare.
RispondiEliminaBella l'immagine del treno destinato ad un binario morto. Io che di poesia me ne intendo poco, credo che ognuno di noi viaggi sulle proprie rotaie, tanto per restare nella metafora ferroviaria. Ogni tanto il nostro viaggio solitario si interrompe e , fermandoci in una stazione, incontriamo una coincidenza. Prendiamoci il bello delle coincidenze che comunque ci ravvivano, rallegrano e ci fanno illudere di non essere soli. E non ci disperiamo di ritornare a viaggiare sul nostro binario. Ci saranno sempre altre stazioni ed altre coincidenze. Tutto sommato non stiamo tanto male in compagnia di noi stessi e ci restano sempre stazioni in cui fermarci. Prendiamo coscienza del fatto che la vita è un viaggio: tutto è in continuo cambiamento e c'è tanto da vedere e da imparare. Non esser tanto triste, Frank. Con amicizia.
RispondiEliminaMolto bella anche se dolorosa questa tua riflessione. Grazie per averla condivisa con noi.
RispondiEliminaUn abbraccio,
Artemisia