giovedì 11 giugno 2009

Il compagno Enrico Berlinguer













Era il 1984. Anche in quell’anno si votava, per la seconda volta, per il rinnovo del Parlamento europeo. E lui si trovava a Padova, il 7 giugno, a tenere uno degli ultimi comizi. Un discorso appassionato e drammatico nella sua conclusione.


Ho esitato prima di condividere il video, che pure è presente su YouTube, perché mi ha sempre angosciato il ricordo delle emozioni provate. Ma non sarebbe stato completo un post su Enrico Berlinguer, a venticinque anni dalla sua morte, senza queste immagini, privo del suo coinvolgente eloquio. In ogni caso è il modo migliore per celebrarne la memoria mai smarrita, almeno per quanto mi riguarda.


Ho scelto di aprire con la bella testimonianza di monsignor Bettazzi, che lo ricorda come un amico. A seguire il testo dell’intervista televisiva a “Mixer” rilasciata a Giovanni Minoli. Si tratta di una conversazione serena in cui si disvela anche il lato meno pubblico di Berlinguer, a tratti intimista, oserei dire. Molto tenera in alcuni passaggi. Sempre rivelatrice di una nobiltà d’animo che è una qualità sconosciuta alla “casta” di cui siamo oggi prigionieri.


Ma quell’intervista mi ha colpito anche per la data: esattamente un anno prima della sua morte. Non rappresenta certo il testamento politico di Berlinguer e tuttavia, letta a posteriori, considerando appunto la data, sono stato percorso da un brivido inquietante.


Onore al segretario del Partito comunista italiano Enrico Berlinguer.


 


IL RICORDO DI UN AMICO


«Una  mano aperta ai cattolici»


MONSIGNOR LUIGI BETTAZZI


Lon. Berlinguer è stato determinante nella mia vita, a motivo di quello scambio di lettere verso la fine degli anni Settanta. Capitò perfino che, sperdutomi sulle mie montagne durante un’escursione, un margaro, rintanato nella sua baita ed in collegamento con il mondo solo attraverso la radio, incredulo che io fossi il vescovo, si tranquillizzò solo quando seppe che mi chiamavo Bettazzi, commentando: «Ah! quello di Berlinguer!».


Aveva offerto la mano aperta ai cattolici prima delle elezioni del giugno 1976, assicurando che avrebbe rispettato le loro convinzioni e aprendosi alla collaborazione sui valori fondamentali del progresso e della solidarietà. Alle elezioni ottenne risultati notevoli (credo che fu la punta massima per il suo partito), anche nel territorio della mia diocesi. Ne presi atto e, per invitare anche i nuovi responsabili comunisti ad adeguarsi a quegli impegni, pensai alla Lettera aperta al Segretario nazionale del Pci, così come pochi mesi prima avevo scritto al nuovo segretario della Dc on. Zaccagnini. L’avevo fatto, dopo essermi consultato con qualche vescovo amico, per la stima che avevo sull’onestà e l’evidente intenzione di Berlinguer di porsi al servizio della Nazione, soprattutto della parte più debole e penalizzata che guardava con speranza al suo

partito.

Mi rispose con un biglietto, promettendo una risposta consistente passata l’estate. L’inserirsi nella vicenda Franzoni - con analoghe lettere aperte - forse bloccò quella risposta, che venne invece alla luce nell’ottobre 1977 quando, in previsione di un appoggio esterno del Pci al Governo di solidarietà, Berlinguer voleva tranquillizzare il mondo cattolico. Gentilmente mi fece giungere in anticipo di qualche giorno la lettera - quella che diventò famosa - attraverso l’on. Novelli, allora sindaco di Torino.


Mi fece poi sapere che avrebbe volentieri continuato il dialogo; ma le immediate precisazioni fatte nel mondo ecclesiale, che cioè io non avevo mandati della Chiesa per queste iniziative, mi suggerì di non creare equivoci. In realtà dopo qualche mese il Pci cancellò l’articolo 5 dello Statuto che obbligava i suoi membri ad essere marxisti, pur rilevando il compito che il marxismo aveva avuto nella storia del partito.


Da amici seppi che Berlinguer in quei giorni aveva sul tavolo il mio libro “Farsi uomo”, uscito da poco. Rimasi colpito dalla sua fine e pregai ancora per lui. Lo ricordo con simpatia. Credo che sia stato un “operatore di pace” non solo per il suo Partito, ma per l’Italia intera.


AVVENIMENTI 20 GIUGNO 1998






L’INTERVISTA A MIXER


«CRAXI? UN GIOCATORE DI POKER»


Intervista televisiva rilasciata a Giovanni Minoli conduttore di “Mixer” (11 giugno 1983)

Onorevole Berlinguer, in una battuta nota, l’onorevole Pajetta ha detto che lei, di nobile famiglia sarda, si è iscritto fin da ragazzo alla direzione del Pci. La considera una critica o un complimento?

«Un complimento, non del tutto vero, perché all’inizio della mia milizia comunista ho fatto il segretario di sezione».

Sempre parlando di potere, in televisione lei recentemente ha ammesso, sia pure con molta reticenza, che rifare il segretario del partito comunista, dopo dieci anni, le fa ancora piacere. Ecco, ma perché tanta reticenza nell’ammetterlo?

«Mi ha dato soddisfazione l’ampiezza del consenso con la quale sono stato designato».

Ma per lei cosa è il potere?

«Il potere è uno strumento insufficiente ma necessario per realizzare gli ideali in cui credo io e in cui credono i miei compagni».

Ma a lei cosa piace invece di più del potere?

«Mi piace la possibilità di far avanzare la realizzazione di questi ideali».

E di meno? La cosa che le dà più fastidio?

«Di meno, parlando non soltanto a titolo personale ma parlando come segretario del partito comunista, mi dispiace che il nostro potere sia ancora insufficiente, insufficiente per la realizzazione dei nostri obiettivi».

Senta onorevole Berlinguer, ma che differenza c’è tra l’austerità che predicava lei e il rigore invocato oggi dalla Confindustria e dalla Democrazia cristiana?

«Il punto fondamentale è chi paga, prevalentemente, le spese della fuoriuscita dalla crisi e del risollevamento economico e sociale del Paese. Da questo punto di vista noi rifiutiamo che a pagare siano i soliti, siano gli operai, siano le masse popolari; e riteniamo che, se sacrifici devono esserci, e tutti in misura proporzionale vi debbono contribuire, debbono servire a raggiungere determinati traguardi e non a far tornare indietro il Paese».

Ecco, però, a proposito di questo rigore, si dice che lei avrebbe in testa, per dopo le elezioni, quel governo diverso, composto da tecnici e personalità scelte fuori e dentro i partiti, una sorta dì governo del presidente, diciamo, al quale il Pci darebbe il suo sostegno. È vero o no?

«Abbiamo indicato dei criteri di formazione del governo diversi da quelli seguiti sinora, in base ai quali il presidente del Consiglio dovrebbe scegliere liberamente, e non attraverso le imposizioni e designazioni delle segreterie dei partiti, i ministri, fra uomini di partito e al di fuori del partito.Questo ritengo che sia un criterio valido per qualsiasi governo, compreso un governo di alternativa democratica».

Quindi, non c’è un’alternativa tra governo diverso e governo dell’alternativa?

«No, non mi pare. Perché il problema che abbiamo posto, ripeto, di criteri non più fondati sulla lottizzazione, sulla spartizione dei ministeri, deve riguardare qualsiasi governo, anche un governo che non sia di alternativa democratica».

In complesso, lei come giudica oggi la stampa italiana?

«Nella media, non inferiore, per certi aspetti superiore, per esempio per quanto riguarda la ricchezza dei notiziari politici, a quella di altri Paesi. Il difetto più importante...».

Troppo...

« ...no, non direi, perché mi pare che il popolo italiano conserva un interesse politico maggiore di quello che vi è nella maggior parte degli altri Paesi dello stesso occidente. Troppo, forse, nel senso che qualche volta prevale il commento sull’informazione».

Ecco, ma qual è il giornalista italiano che lei preferisce?

«Luigi Pintor, dal punto di vista delle qualità giornalistiche».


L’unico?

«No, lei mi ha detto quello che preferisco...».


E perché?

«Perché mi pare che abbia veramente la stoffa del giornalista di alta qualità».

Senta, onorevole Berlinguer, qual è l’ultimo romanzo che ha letto e che le è piaciuto?

«La “Cronaca diuna morte annunciata” di Garcia Marquez».


Perché le è piaciuto?

«Mi sembra una combinazione felicissima di poesia e di crudo realismo».

E l’ultimo film che ha visto e che le è piaciuto?

«L’ultimo è E.T.».

E perché le è piaciuto?

«È un film pieno di poesia, di fantasia e soprattutto è un film che mi pare faccia appello ai sentimenti migliori dell’infanzia».

Alla televisione, lei che programmi segue?

«I telegiornali, lo sport, qualche film».

Senta, ma lei pensa che l’arrivo delle televisioni private abbia migliorato o peggiorato, complessivamente, la qualità dei programmi proposti al pubblico?

«Dal punto di vista spettacolare, migliorato. Dal punto di vista culturale, non direi, o comunque non ancora».

Parliamo dell’evoluzione del suo modo di essere comunista. Nel ‘44 lei fu arrestato a Sassari per la rivolta del pane, e rischiò la pena di morte - leggo - “per insurrezione armata contro i poteri dello Stato, per devastazione e saccheggi, per detenzione di armi, associazione e propaganda sovversiva”. Era colpevole o innocente?

«Fui prosciolto in istruttoria per non avere commesso il fatto».

Ecco, ma allora era più giusto... voglio dire era più ingiusto quello Stato che, comunque, dopo tre mesi, l’ha processato e l’ha assolto, per non aver commesso il fatto, o lo Stato italiano di oggi che, più o meno per le stesse imputazioni tiene per esempio quelli del 7 aprile e tanti altri, come Negri e altri, da tanti anni in prigione senza giudicarli?

«Penso anch’io che sia un’assurdità questa detenzione così lunga».

Senta, Franco Piperno, I’ex leader di Potere operaio, qui a Mixer ha detto che l’elemento scatenante del terrorismo fu la politica del compromesso storico, nella versione diciamo tradizionale, perché impediva all’opposizione di avere il suo spazio. Lei cosa ne pensa?

«Penso che l’analisi sia sbagliata, ma confermi che uno dei bersagli del terrorismo era il Pci».

E il compromesso storico nel suo insieme...

«No, il Pci con tutta la sua politica e tutta la sua strategia realmente innovativa dell’assetto sociale e politico italiano».

È morto Moro, però, per il compromesso storico.

«È morto Moro, perché Moro era l’interlocutore più valido e più intelligente del Pci».

Senta, nel ‘76, a Giampaolo Pansa, il giornalista che la intervistava, lei disse di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato. Lo pensa ancora?

«Sì, ma nel senso che precisai allora. Che, se l’Italia facesse parte del Patto di Varsavia, e non della Nato, evidentemente non potremmo realizzare il socialismo così come lo pensiamo noi. Ciò non vuoi dire che qui, sotto l’ombrello della Nato, nell’ambito dei Patto Atlantico, ci si voglia far realizzare il socialismo».

Onorevole Berlinguer, ma qual è il suo peggior difetto?


«Forse una certa spigolosità del carattere».

E la qualità a cui è più affezionato?

«Quella di essere rimasto fedele agli ideali della mia gioventù».

E la cosa che le dà più fastidio sentir dire di lei?

«Che sarei triste, perché non è vero».

Lei ha una famiglia di origini nobiliari e tradizioni massoniche. Ecco, in che rapporto è con queste tradizioni?

«Dell’origine nobiliare, non mi importa niente».

E delle tradizioni massoniche?

«Mio padre si iscrisse alla massoneria, mi pare, nel 1925-26, nel momento in cui la massoneria fu vietata dal fascismo».

Quindi, in funzione antifascista. E lei è massone?

«No, per carità».

Ma, se lo fosse, si meraviglierebbe a dirlo?

«Non lo sono. Quindi non riesco a mettermi nello stato d’animo di chi lo è».

Senta, ma il «grande maestro» della massoneria, Corona, a Nizza ha detto che non c’è incompatibilità Ira essere massone e essere comunisti. Vero?


«Secondo me c’è incompatibilità, perché essere iscritti alla massoneria significa addirittura giurare fedeltà ad un’associazione i cui interessi, i cui obiettivi possono entrare in conflitto, in contrasto con quelli del partito comunista, cioè di un’altra associazione alla quale si aderisce liberamente».

Onorevole Berlinguer, per lei cos’è più importante nella vita: la politica o la vita privata?

«La politica, però non la politica in senso generico, perché io non ho fatto la scelta della politica. Io ho fatto la scelta della lotta per la realizzazione degli ideali comunisti».

Ecco, ma la famiglia quanto conta nella sua vita, allora?

«Conta molto».

Lei ha quattro figli. A quanto del suo essere padre, e anche marito, ha rinunciato, per fare politica?

«A una parte, certamente. E me ne rammarico continuamente».


Non ha mai pensato che non ne valeva la pena proprio per davvero?

«Non valeva la pena di rinunciare? No, questo non l’ho mai pensato e spero di non pensarlo mai».

Se un suo figlio le dicesse: «Non sono comunista», lei come reagirebbe?

«Rispetterei il suo giudizio e la sua opinione».

Ma i suoi figli sono comunisti?

«Lo chieda a loro».

Lei non lo sa?

«No, io in genere non rispondo a domande che riguardano i miei familiari. Chi vuol saperne qualche cosa, chieda a loro».

Ma lei si sente tollerante, in casa, oppure autoritario? Cioè, ha un rapporto di che tipo?

«Cerco di essere comprensivo».

Onorevole Berlinguer, qual è l’uomo politico italiano, vivente, che lei stima di più?

«Pertini».

Perché?

«Mi pare che, a parte la sua... le sue doti personali, egli abbia costituito e costituisce tuttora un punto di riferimento e di fiducia fondamentale per le istituzioni democratiche».

Il
suo avversario politico più duro, ma più leale, incontrato nel corso della sua vita politica, lunga oramai. Chi è? Italiano, naturalmente.

«Un avversario leale è stato Zaccagnini».


Senta, lei come definirebbe Craxi? Una definizione breve.

«Un buon giocatore di poker».

E DeMita?

«De Mita: persona astuta, anche intelligente, ma un po’ imbonitore».

Fanfani?

«Fanfani: uomo di spirito, tanto che è riuscito a risorgere sempre dopo non poche sconfitte».

Senta, ma lei ha degli amici veri, che non siano comunisti?

«Sì, diversi».

1 commento:

  1. Un ricordo composito e conivolgente di un uomo politico di grande spessore.



    Daniele il Rockpoeta

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