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Non c’è dubbio che, un incipit siffatto, abbia catturato subito l’attenzione della prima pagina de “
Il terremoto in terra d’Abruzzo è stato vissuto con sconcia ostentazione dai professionisti dell’avanspettacolo, dai predicatori della battuta da osteria, dagli incensatori di tutte le risme. Oscenità allo stato puro, pornografia del dolore esibita per le meschine ragioni dell’audience (che il Tg1 non ha mancato di elencare in uno sciagurato video, con una delle giornaliste preferite da B., tessera P2 n° 1816, perché dice sempre di sì e che YouTube ha diffuso nel web), per soddisfare il teleutente-elettore-consumatore che ha creato governanti a sua immagine e somiglianza. O forse è anche vero l’opposto. Perché la diffusione del pensiero unico genera un flusso continuo di idiozie, troppe e tutte insieme, tali da mettere a dura prova l’intelligenza di chi resiste e, soprattutto, il suo spirito di sopportazione e tolleranza.
Ma lor signori hanno subito trovato il capro espiatorio: Vauro e le sue vignette, la satira e la libertà di informazione, turbamento per i benpensanti afflitti da pesanti cubature cerebrali che non lasciano più passare alcuno spiraglio di coscienza critica. O anche solo coscienza. In tempi di magra anche questa esile forma di attività mentale basterebbe.
Un caro blogger, ilvecchiodellamontagna, che mi onora della sua stima, parimenti ricambiata, mi ha lasciato scritto nei commenti: “Ma la difesa contro i terremoti non passa attraverso la scienza, ma l'onestà. E quella non la insegna quasi più nessuno...”. Amara verità. Come è altrettanto vero che non bisognerebbe temere il terremoto, in quanto fenomeno naturale, bensì gli uomini come disastrosa presenza innaturale.
CHE COSA NASCONDE IL PIANO B DEL GOVERNO
SALVATORE SETTIS
Per valutare il Piano B e i suoi travestimenti, ricordiamoci quel che diceva il Piano A. Esso incoraggiava ampliamenti indiscriminati di tutti i fabbricati, infestando case e condomini con funeste escrescenze: ampliamenti del 20% degli edifici ultimati entro il 2008, per giunta con opzione di acquisto dai vicini delle quote di loro spettanza, onde raddoppiare (e oltre) quel 20%; per chi abbatta un edificio, possibilità di ricostruirlo ampliato del 35%. Il tutto in deroga a ogni norma vigente, mediante il ricorso massiccio al silenzio-assenso e alla d.i.a. (dichiarazione inizio attività), che perfino nei centri storici doveva precedere (di fatto, sostituire) il parere delle Soprintendenze, ribaltando la sequenza prevista dal Codice dei Beni Culturali e dal T.U. per l'edilizia. Insomma, la legalizzazione previa di abusi e reati: una vera e propria istigazione a delinquere nei panni di una bozza di legge, un regalo agli «osceni palazzinari di cui ci lamentiamo da anni, ai comuni annaspanti nella corruzione, ai costruttori senza regole e ai politici imbroglioni: uomini che disprezziamo, ma che sono stati prodotti da noi, sono parte di noi, e il nostro disprezzo non ci protegge dalle loro malefatte» (Orhan Pamuk).
Molto si è reclamizzato il fatto che nel Piano B uscito dalla Conferenza Stato-Regioni del 31 marzo, e rimaneggiato fino al 9 aprile, le escrescenze (la "soluzione 20%") vengano limitate a villette uni e bifamiliari (resta invece la "soluzione 35%" per la demolizione e ricostruzione di edifici residenziali di qualsiasi dimensione), e che ne vengano esclusi i centri storici. Resta da capire come mai una norma che prevede la rottamazione dei fabbricati di bassa qualità costruttiva (quelli che all' Aquila sono crollati come castelli di carta) inciti poi a ricostruirli più in grande senza garanzie di sicurezza; e questo in un Paese che da decenni vede il drammatico calo di tecniche costruttive e controlli pubblici, come le rovine d' Abruzzo dimostrano anche ai ciechi.
Ma il Piano B fa di peggio. Dove il Codice dei Beni Culturali prevede l'autorizzazione paesaggistica preventiva, con controlli incrociati di Stato, Regioni ed Enti locali (art. 146), si sostituisce la vana opzione di annullamento ex post di quanto già approvato dai Comuni, ma «solo per contrasto con le prescrizioni del Codice»; e ciò in via permanente (secondo una versione), ovvero fino al 2011 (secondo un' altra, che però aggiunge il silenzio-assenso). Peggio ancora, e ancora contro il Codice, un basso espediente causidico nullifica ogni potere e responsabilità dello Stato nella gestione dei vincoli paesaggistici, obbligando il Soprintendente ad esprimersi in una "conferenza dei servizi", cioè a sedere a un tavolo in cui può facilmente esser messo in minoranza dai rappresentanti degli enti locali, anche se privi di competenza tecnica in materia di paesaggio. Si assimilano alla manutenzione ordinaria e straordinaria gli interventi di "edilizia libera", prefigurando un condono garantito a regime, e si estende in perpetuo la sanatoria paesaggistica che il Codice bloccava al 2004. Infine, si delega il Governo a "semplificare" le sanzioni degli illeciti paesaggistici, depenalizzando in particolare le false dichiarazioni tecniche dei progettisti, punibili solo dopo l' accertamento del danno (cioè dopo il prossimo terremoto, dopo altri lutti e rovine). Anche il Piano B calpesta dunque senza scrupoli il Codice dei Beni Culturali, che pure nacque da un altro governo Berlusconi, e a cui ministri e loro lacché continuano a rendere omaggio pro forma, mentre lavorano per smantellarlo. Intanto le Regioni, dopo aver protestato perché il Piano A non rispettava le loro competenze, tacciono, soddisfatte del Piano B, quasi per un patto scellerato: accettano di subire l' invadenza dello Stato sul piano casa, purché i controlli paesaggistici previsti dal Codice vengano posticipati sine die o annullati.
Questo richiamo al Codice non è l' ubbía di qualche nostalgico. I valori in gioco sono la memoria storica del Paese, la sua dignità etica, il patrimonio naturale e artistico che abbiamo ereditato dai nostri padri e dobbiamo trasmettere ai nostri figli. Sono valori presidiati dalla Costituzione: e sarebbe bene che qualcuno, a Palazzo Chigie dintorni, andassea rileggersi l' articolo 9 («
Il terremoto d' Abruzzo è una tragedia per l' Italia, e costringe, oltre le emozioni del momento, a un severo riesame delle priorità nazionali. Se davvero vogliamo "far ripartire i cantieri", questo è il momento di ricordarsi delle leggi antisismiche, ogni giorno disattese: basti ricordare le misure del governo Berlusconi nel 2002 dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia, mai entrate in vigore dopo svariati rinvii (l' ultimo dei quali nel recente "decreto milleproroghe"). Anziché costruire il ponte sullo Stretto di Messina (una delle aree più sismiche del mondo, oltre centomila morti nel terremoto del 1908), è il momento di concentrare energie e investimenti in un grandioso piano di messa in sicurezza del Paese (non solo monumenti, ma case, scuole, ospedali, uffici, fabbriche, università, musei) con le tecnologie antisismiche più avanzate, come in Giappone e in California, promuovendo architetture di qualità, inasprendo e non allentando i controlli.
Anziché legiferare per poi cancellare le norme mediante indecenti sequele di "rinvii", è il momento di attivare la virtuosa ricostruzione non di anonime new town che cancellino memoria storica e identità culturale, ma del prezioso tessuto abitativo, anche "minore", della nobile terra d' Abruzzo, mantenendo le caratteristiche costruttive dei borghi (come dopo un altro terremoto fu fatto, nelle Marche assai meglio che in Umbria). Invece di irresponsabili demolizioni, l'Abruzzo merita una campagna di accurato ripristino: non è un caso che abbiano retto benissimo al terremoto le case della splendida Santo Stefano di Sessanio, sul Gran Sasso, restaurata di recente come "albergo diffuso" nel rispetto delle norme antisismiche. Profitto imprenditoriale e rispetto delle regole di tutela si possono coniugare, salvando vite umane. Non di uno sgangherato "piano casa" ha bisogno l' Italia, ma di un vero piano-sicurezza, che sia insieme un piano-tutela dell' ambiente, del paesaggio, della memoria storica.
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