mercoledì 30 luglio 2008

Garage Bolzaneto - 2


Ho l’impressione che della sentenza choc sulla macelleria genovese del 21 luglio 2001, anno 1 del secondo governo fascista in salsa P2, orchestrato dall'ometto con la tessera n° 1816, non sia rimasto poi molto nella pubblica opinione. “Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”. I notiziari televisivi assomigliano molto al Conte zio di manzoniana memoria. E così l’impressione diventa ogni giorno di più certezza che si vada radicando quel regime (“morbido”, per carità, altrimenti c’è da passare per eversivi), sempre più evocato e giustamente temuto. Peraltro il ventre molle della maggioranza silenziosa di questo Paese è pronto ad accoglierlo. In diretta e in prima serata, of course.

Adriano Sofri ha scritto questo intenso pezzo per “EMME”, il settimanale del lunedì allegato a l’Unità. Mi pare opportuno postarlo per proseguire il discorso su Garage Bolzaneto. La prima delle tante porcate con i fascisti in cabina di regia. Qui una domanda sorge spontanea: non sarà che ci siamo dimenticati di quel comune sentire che era (e per me è) l’antifascismo?



“Non c’è belva tanto feroce

che non abbia qualche senso di pietà!

Ma io non ne ho alcuno,

                                                                       sicché non sono una belva.”

                                                               dal Riccardo III di William Shakespeare



Sotto la pelle


di Adriano Sofri


Lo Stato di diritto è quello in cui gli abusi dell’autorità pubblica sono considerati con una speciale severità. E lo Stato dispotico è quello in cui gli abusi dell’autorità pubblica sono trattati con una speciale indulgenza.

Bolzaneto succede prima di Guantanamo, prima di Abu Ghraib, prima dell'11 settembre e che l'avvocato Dershowitz avanzi le sue malaugurate cavillose distinzioni. Basterebbe la sequenza fra la caserma Raniero di Napoli (manifestazione no global del 17 marzo 2001, governo di centrosinistra) e la caserma di Bolzaneto (20-22 luglio 2001) a impedire di far passare Genova per una malaugurata eccezione. Condizione primaria
è l'extraterritorialità dei luoghi in cui si compie. Le caserme adibite all'identificazione e allo smistamento dei fermati escludono, come non dovrebbe mai essere possibile, l'ingresso di avvocati, giornalisti, parlamentari e, di fatto, degli stessi magistrati, e in genere di qualunque testimone. I fermati sono in totale balia dei loro custodi, come in un qualunque garage Olimpo. E i custodi si divertono a dirglielo: Siete qui, nelle nostre mani, nessuno lo sa, nessuno vi vede, possiamo fare di voi quello che vogliamo. Denudata inermità da un lato, onnipotenza dall'altro. L'onnipotenza può infatti accontentarsi di spogliare, tagliare capelli, sferrare manganellate sui genitali, slabbrare ferite suturate, ordinare flessioni e piegamenti. L'onnipotenza comincia molto vicino all'impotenza e alla frustrazione ordinaria. Quanto al suo traguardo possibile, è solo questione di occasioni.

L'Italia, pur impegnata dall'adesione antica a una Convenzione internazionale, non ha mai tradotto in un titolo di reato del proprio codice penale la tortura. Nella legislatura appena liquidata, l'apposita legge, votata alla Camera, si ferm
ò al Senato per morirvi di consunzione, oltre che di provocazione. Al suo cammino fu imposta la condizione della ripetizione: si è torturatori solo se recidivi. ("Padre, ho torturato". "Quante volte, figlio mio?"). La requisitoria dei Pubblici Ministeri al processo per Bolzaneto s'impegnava appassionatamente nell'auspicio che alla falla del codice venisse messo presto riparo, né dimenticava di avvertire che siamo ancora, dopotutto, la patria di Verri e di Beccaria. Essi hanno sperimentato come la mancanza di quella fattispecie di reato bruciasse nelle loro mani l'intenzione di giustizia, e hanno chiesto che quella esperienza valesse almeno a colmarla. In realtà, la vicenda genovese, e di Bolzaneto in particolare, nella sua enormità, è una delle spiegazioni per il mancato riconoscimento del delitto di tortura. Siamo infatti il paese di Verri e Beccaria, ma anche dell'Azzeccagarbugli.

La tortura ha un suo fondo intimo che ha a che fare con la sessualit
à, con la sopraffazione sessuale. Non importa che l'azione stessa della tortura e il luogo in cui si compie coinvolgano direttamente attori vittime o spettatori di sesso diverso: è ovvio del resto che il tormento inflitto a un corpo non ha bisogno di essere eterosessuale. Si vuole espropriare l'altro del corpo, e spadroneggiare su esso fino alla sua struttura più profonda, che è la personalità sessuale. La tortura predilige la mortificazione fino all'annichilimento del corpo sottomesso nelle due forme, strettamente legate, del tormento sessuale e del tormento delle funzioni corporali escretorie - urinare, defecare. Si tratta, in proporzione, dello stesso odioso materiale degli scherzi e delle persecuzioni nonniste di caserma e di goliardia. Materiale eminentemente maschile, anche quando (come ad Abu Ghraib, come a Guantanamo, come a Bolzaneto) non manchino donne a prendervi variamente parte.

A Bolzaneto
tutto ciò si è mostrato con un'evidenza insieme rozzissima e nitida, superiore a quella di qualunque manuale e qualunque esperimento psicologico. Tra i fermati e gli arrestati, il numero complessivo sicuramente accertato - dunque inferiore a quello effettivo - delle persone private della libertà transitate nella struttura di Bolzaneto ammonta a 252 persone. Le persone sono state trattenute a Bolzaneto per periodi che vanno da poche ore fino a 31 ore e mezza.

Dal testo dei P.M. “I detenuti
al loro arrivo subivano una serie di condotte vessatorie ed umilianti: percosse, minacce, sputi, risate di scherno, urla canzonatorie insulti anche a sfondo politico e, in casi più limitati e soprattutto per le donne, anche a sfondo sessuale./.../ Per le persone arrestate in esito alla perquisizione presso la scuola Diaz nella notte tra il sabato e la domenica si aggiungeva una sorta di "etichettatura" costituita da un segno che veniva apposto con un pennarello sul volto o sulla mano, come una sorta di "marchio" per le bestie.

Tutti questi comportamenti
costituivano una sorta di "comitato di accoglienza", un comitato interforze composto il più delle volte da appartenenti a diversi reparti delle Forze di Polizia. /.../. Chiunque si spostasse dalla posizione obbligata veniva percosso dagli agenti in modi diversi, con schiaffi pugni o calci, con guanti o con manganelli, talvolta anche sui genitali; molte volte colpi alla nuca dei fermati, per far così sbattere loro la testa contro il muro./.../ Sono stati testimoniati continui insulti e frequenti minacce: frasi volgari, minacce e offese a sfondo sessuale soprattutto per le donne./.../. Alcuni hanno testimoniato di essere stati costretti a fare il saluto fascista, altri addirittura a fare il "passo dell'oca", altri ancora a gridare "Viva il duce", "Viva Mussolini", "Heil Hitler". Molti hanno ricordato riferimenti ad Auschwitz, ai lager e all'antisemitismo. Frequenti erano le battute offensive rivolte ai detenuti mentre erano nudi per la perquisizione e quindi in situazione di evidente disagio.

Molte donne dovevano spogliarsi e rimanere nude anche in presenza di agenti uomini; e alcune fra queste hanno testimoniato di essere state anche costrette a questa situazione per un tempo lungo... Anche l'infermeria, che avrebbe dovuto essere un luogo di assistenza e di aiuto per le persone detenute, una sorta di "zona franca" da maltrattamenti, diventò un'altra tappa del percorso di umiliazione. Allo stesso modo persino una delle più elementari esigenze dell'uomo, quale l'espletamento dei bisogni fisiologici, divenne pretesto e occasione per nuove ed ulteriori vessazioni. La riservatezza che dovrebbe naturalmente accompagnare questi atti era regolarmente violata. I detenuti, dopo essere stati accompagnati in bagno con le modalità descritte, erano costretti ad espletare i loro bisogni con la porta aperta, spesso percossi anche nelle parti intime ed esposti a commenti umilianti degli agenti. Per le detenute poi costituì ulteriore umiliazione la mancata disponibilità di assorbenti igienici per il ciclo mestruale; molte donne hanno testimoniato di essere state costrette ad usare brandelli di vestiti o di indumenti e fogli di giornale, e altre ancora hanno dichiarato di essere state ulteriormente derise al momento della richiesta. In alcuni casi persone hanno subito l'umiliazione di doversi urinare addosso, e di rimanere, poi, sporchi e con gli indumenti evidentemente bagnati. Se anche non sono stati segnalati casi di violenza sessuale, tuttavia molti sono stati coloro che hanno ricordato di avere subìto minacce di violenza sessuale, talvolta effettuate anche con modalità ingiuriose e con riferimento ad oggetti evidentemente allusivi (manganelli, bastoni ecc). Più frequenti tali minacce erano ai danni delle donne, spesso erano effettuate, per uomini e donne, nei momenti di maggiore disagio personale quali ad esempio durante la perquisizione in infermeria nudi".

Nel web troverete
37.400.000 voci per "la tortura". In maggioranza sono dedicate alla canzone di Shakira, "La Tortura" (e alla suoneria telefonica derivante): Que te fueras sin decir a dónde Ay amor fue una tortura... Perderte.


EMME #43, periodico di filosofia da ridere e politica da piangere. Allegato a l’Unità del 21 luglio 2008



Immagine tratta dal sito:http://vukicblog.blogspot.com/


 


2 commenti:

  1. fatti osceni. brutalità inaudita.ma,forse perchè le zanzare mi stanno mangiando,penso che il nano & C ce li meritiamo..lo spettacolo indecente del congresso di Prc è una prova che il nano è quello che sappiamo,ma anche noi..per non parlare degli altri dell'ex UNIONE.notte :))

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  2. kittymol77agosto 04, 2008

    Ho visto alcuni video di testimonianze sui fatti di Bolzaneto. E lette parecchie altre. Ogni volta, provo un senso di vergogna. Per appartenere alla stessa razza umana di queste bestie; per appartenere alla stessa razza umana di chi l'ha permesso; per aver dato fiducia a parlamentari che non hanno saputo far giustizia in parlamento perché fosse possibile farla in tribunale. Siamo allo stadio di ebetudine sociale in cui ingoiamo tutto e digeriamo tutto.

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