Una delle tappa dell’ultimo Giro d’Italia si concludeva nella “sua” città. La prima palpitazione. Da quando l’avevo conosciuta compulsavo ogni volta il percorso della nota gara ciclistica, al momento della sua presentazione, con la speranza che la corsa rosa transitasse da quelle parti, incrociando lungo il percorso “la località” oppure sfiorandola. Quest’anno è stata la volta buona e in un caldo pomeriggio di maggio mi sono inusualmente piazzato davanti al teleschermo.
In realtà sarebbe bello poter seguire tappa dopo tappa il Giro, perché mettendo da parte lo stato preagonico in cui versa il ciclismo dopo i veleni del doping e dunque disinteressandosi dell’aspetto agonistico (come si può apprezzare una performance atletica senza essere assediati dai soliti e fondati sospetti?) c’è invece modo di apprezzare la bellezza del paesaggio italiano. Le tecniche di ripresa, continuamente rivoluzionate, visualizzano perfino nei dettagli ciò che avviene lungo le strade, s’insinuano nella quotidianità delle persone, riprendono scorci ad ampio raggio di un Paese ormai brutalizzato, anche sotto il profilo ambientale, laddove invece è capace di lasciare in uno stato di stupefazione.
Intanto avevo acceso. Intanto era iniziata l’attesa. Di che cosa non so bene, neppure di quello che avrei provato. Curiosità emozionale, poteva essere definita. Sentimenti sfioriti, ma che si ravvivavano pensando a com’ero in quel periodo. Felice. O meglio. Disperatamente felice. Nell’intervallo tra due lutti. Il primo recente, l’altro ben lontano dall’essere preconizzato. E così i problemi erano altri, sempre appropriati in ciascuna fase della vita. Come se il carico di sopportazione si adeguasse a ciò che siamo, che sentiamo di essere. Adesso quei tremori e quei timori, che nella fase nascente si delineavano, appaiono assolutamente innocui e non solo per il dissolvimento di quella relazione, quanto per la precarietà dell’esistente.
Ma ecco che, poco alla volta, dal video rimbalzavano zone abbastanza familiari, in cui riscontravo affinità, ritrovavo le visioni del passato. Poi riecheggiava “quel” nome:
La conferma, neppure troppo stupefacente in fondo, quando lo schermo rimandava una sfolgorante ripresa aerea della piazza principale che i ciclisti attraversavano per poi girare a sinistra e proseguire verso il traguardo. Come in una volata rocambolesca e confusa i colori delle maglie si mescolavano ai colori dei sentimenti, le voci concitate dei cronisti alle voci che riemergevano dal profondo del cuore che andava più veloce del corridore che aveva tagliato il traguardo, mentre io ero ancora fermo, in uno stand-by emozionale, a quella piazza, a quella via che tante volte avevamo percorso. Al mattino per recarci a fare colazione al bar, nel pomeriggio per andare al cinema oppure fare uno shopping spesso solo visivo, o una visita in libreria. Talora a zonzo, senza una meta, per il solo piacere di girare insieme.
Non rivedevo quella piazza da oltre tre anni. Certo ci sono le foto in Rete, ma le immagini sono piene di quella magia che rende vivi i paesaggi, le case, gli orizzonti, gli skyline, mentre ogni cosa è dal sole illuminata. E quella piazza mi restituiva ogni colore e calore a livello emotivo, disegnando arabeschi seducenti. Io ero lì, in quel momento, in una sospensione del tempo, forse pericolosa, ma che mi restituiva stati d’animo non più sbiaditi. Si trattava di una malìa che proseguiva oltre il traguardo. Forse stavano ormai premiando il vincitore. Mi ritrovavo con gli occhi lucidi e non distinguevo più niente.
Hai fatto venire gli occhi lucidi anche a me....
RispondiElimina:)) cari saluti v.
astime, complimento migliore non potevi farmi. Grazie. I sentimenti profondi prescindono da spazio e tempo. Restano depositati da qualche parte, inerti, non producono più effetti, fino a quando una scintilla ridà loro vita. Il calore è diverso, ma il ricordo di quel passato si spalanca e produce ancora emozioni.
RispondiEliminaCari saluti a te.