I sogni, si sa, finiscono inevitabilmente all’alba, ma c’è un attimo di sospensione del tempo in cui, stropicciando gli occhi cisposi, si vogliono allontanare gli ultimi frammenti degli incubi che hanno popolato il sonno, ovvero conservare ancora per qualche istante le immagini liete ormai in dissolvenza. Quando la luce del giorno e della consapevolezza si è insediata nella camera, i pensieri volano già altrove e il sapore agrodolce della notte accompagna i primi gesti del mattino.
Talvolta, poi, accade che durante la giornata un accenno, uno spunto, richiamino le sequenze oniriche e si sviluppi, nello stesso tempo, l’improbabile tentativo di ricostruire storie e vicende, ormai prive di ogni consistenza. Mi capita, più che altro, di rievocare le atmosfere, le palpitazioni, ma non sono mai sicuro se ciò faccia parte del sogno oppure che lo stesso sogno interpreti me stesso. È frequente ricordare le situazioni più ripetute, vale a dire correre da solo senza apparenti motivi, in una gara, inseguire o essere inseguito. I dettagli ovviamente sono assenti.
Tuttavia c’è un sogno che, più ripetutamente di altri, mantiene stranamente intatte le emozioni procurate la prima volta. Mi trovo all’interno del bar della piazza, seduto tra arredamento e attrezzi che appaiono senza dubbio moderni. Sconosciute invece le persone attorno. Ma è chiara la situazione che scorgo attraverso la porta d’ingresso spalancata: fuori ci sono gli anni ’50. Lo denunciano le rade automobili che transitano lungo la strada, i passanti che indossano lunghi cappotti (ma non sarà freddo con quella porta aperta?) e la facciata di un edificio ancora inalterata. Non entrano avventori nel bar, durante la mia permanenza e nessuno nota la palese incongruenza. Io mi allungo sulla sedia, ma non esco (forse sono impossibilitato a farlo), eppure vorrei tanto sapere e capire.
E’ singolare come questo sogno, che ha poi la durata di un lampo, continui a esercitare fascino a distanza di tempo, producendo ogni volta i medesimi interrogativi e suscitando l’impossibile curiosità. Io credo di sapere perché accade questo: in un improbabile ritorno al passato mi piacerebbe vivere in quegli anni. Di più. Esserci, ma invisibile e con le conoscenze di adesso. Così, almeno, ho sempre creduto fino a qualche giorno fa, quando mi sono ritrovato tra le mani un cd su cui un conoscente aveva scaricato alcune vecchie foto del paese e me ne aveva fatto omaggio. Non ero ancora riuscito a guardarlo e la curiosità ha prevalso facilmente in un’ora in cui, le persone per bene, si preparano ad andare a dormire.
Poche foto, undici e l’incipiente delusione che stava montando, perché temevo di non ritrovare la suggestione che scaturisce dalle immagini del passato di luoghi conosciuti e frequentati abitualmente. Clic dopo clic guardavo corrucciato e in modo distratto, fino a quando sono approdate nel magico splendore di un bianco e nero d’annata. Due foto d’incomparabile bellezza, una dietro l’altra.
Erano sicuramente i primi anni ’70 (lo evidenziavano alcuni particolari) e quella piazza raffigurata era proprio impressa così nei miei ricordi. Sole, molto sole, primo pomeriggio. Le serrande abbassate dei negozi, un paio di uomini per strada. Qualcuno seduto davanti al bar, il tradizionale bar dello sport. C’era un auto ferma a sinistra, all’ombra di un tendone. E c’era proprio un auto, forse sempre la stessa, al massimo due, su quel lato della strada (dove adesso è vietata la sosta) anche nella mia memoria del tempo che confrontavo. Poche macchine parcheggiate davanti agli esercizi commerciali: una Bianchina, una 850 (manca una 500 che sarebbe stato bello rivedere nel cinquantenario). Assenza di segnaletica orizzontale. La chiesa poco lontana (c’è sempre anche una chiesa nella piazza di un paese). Un senso di pace.
Ma è sulla seconda che rischiavo di celebrare la personale “notte bianca”. In primo piano la mia vecchia scuola elementare. Un furgone e un auto posteggiate a pochi passi. La strada vuota che riverberava il sole. Nessuna presenza umana sullo sfondo, né l’ombra che ne denunciasse l’arrivo. Avvolto nella bambagia del silenzio notturno ero calamitato da quella foto. Forse si trattava dell’inizio dell’estate? Oppure di un pomeriggio particolarmente radioso? E chissà se era stata scattata nello stesso giorno dell'altra che la precedeva? Divoravo l’immagine con gli occhi, cercando di catturare ogni dettaglio, assaporando le sfumature, quasi a voler irrompere in quel solare pomeriggio. Chissà dov’ero io quel giorno? Era forse una domenica? E perché non si anima, perché non riesco a venir assorbito dall’icona che ho fuso con il pensiero? Si potrà mai riuscire in ciò che ora appare arduo persino formulare? A me basterebbe appena qualche minuto da trascorrere nel paese incantato. Scaraventato su quella via, mi guarderei attorno e poi cercherei, dietro l’angolo, l’impossibile risposta a tutte le mie inquietudini.
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RispondiEliminaTi faccio i miei complimenti per la tua notevolissima abilità come scrittore. Hai uno stile elegante, raffinato e impeccabile. Sembri proprio uno scrittore professionista abilmente celato sotto un'altra identità.
RispondiEliminaCiao
Romina
ERRATA CORRIGE, un'auto; posteggiati e non un auto e posteggiate. Mi scuso.
RispondiEliminagiannirosa, già fatto. Grazie. Ti segnalo il mio blog dedicato a Marco Travaglio. www.vivamarcotravaglio.splinder.com.
Romina, i tuoi complimenti sono enormemente apprezzati, perchè vengono da una persona che vale. Ti ringrazio. In effetti, pur con i due errori che ho riscontrato in seguito e sopra segnalati, si tratta di un post a cui mi sono subito affezionato e che giudico tra i miei migliori. L'incipit l'ho scritto di getto e "catturato" sul retro di un biglietto, alla fermata dell'autobus. Putroppo "sembro" ma non sono uno scrittore, però il tuo giudizio mi lusinga moltissimo. Grazie ancora (e per fortuna che dietro al monitor posso celare il viso imporporato).
Mio caro Frank,in questo post ha saputo miscelare ricordi ed emozioni andando a testimoniare la pervicace realtà dei primi quanto la intoccabililità delle seconde.
RispondiEliminaTi chiamo prima di ripartire.
Un abbraccio!
Un componimento notevole.
RispondiEliminaCaro Frank, ti lascio un abbraccio ed un sorriso.
AnnA :)