Incrocio un vicino di casa, sulla via del ritorno. “Ciao Renato, come va?”. “Le mie gambe, Frank, le mie gambe non vanno più come prima" (mi pare di risentire mio padre), "sono stanco e il caldo di questi giorni mi ha ancora di più ammosciato”. “Lo so, Renato, lo so bene cosa significhi tutto questo”. “E poi Rina (la moglie n.d.r.) sta all’ospedale. Da dieci giorni Antonello (il figlio che non vive con i genitori n.d.r.) mi accompagna da lei e poi mi riporta a casa. Sono le medicine che fanno male, avvelenano invece di guarire. Però domani verrà dimessa”. “Auguri, Renato” “Grazie Frank, ciao”. E lo guardo allontanarsi barcollando su quelle gambe che lo stanno tradendo.
Non più tardi di tre mesi fa era stata la moglie a farmi un discorso più o meno analogo con il marito a sua volta in ospedale. Corsi e ricorsi. L’altalena della vita che ti vuole una volta seduto sul seggiolino e un’altra dietro a spingere, ma almeno si tratta di una situazione giocosa e gioiosa. È dunque questa la mutua assistenza che si richiede a due coniugi? È questo il reciproco affetto? È questa l’attuazione della formula, non certo vuota, che vuole moglie e marito assieme “nella buona e nella cattiva sorte”?
Non so da quanti anni siano sposati Renato e Rina. Sono tanti di certo. Entrambi hanno superato gli ottant’anni, il figlio ne ha più di cinquanta. Li conosco da una vita. Hanno partecipato ai miei lutti e anche alle mie gioie. Sono stati presenti, a modo loro e per quel che potevano, nei giorni tragici di metà aprile. E adesso la stanchezza di una vita di stenti e sacrifici sta prendendo il sopravvento con l’imposizione di questa alternanza: uno a casa e l’altro in ospedale e quando il secondo rientra il primo lo sostituirà in clinica. Mi ritrovo a pensare a chi dei due precederà l’altro, non per cinismo, quanto per un senso imperscrutabile di impotenza di fronte all’ineluttabilità della curva della vita, ormai in piena fase discendente. Naturalmente auguro a Renato e Rina di stare insieme il più a lungo possibile, ma nei 70 giorni che sono trascorsi dalla morte di mio padre risultano frequenti considerazioni del genere. E quel restar sospesi come foglie sull’albero finisce coll’essere la metafora più ricorrente.
Sono tornato al cimitero dopo quasi un mese. Ci stavo andando con una frequenza che mi risultava estranea e avevo interrotto, anche perché sono ormai troppo numerose le immagini di defunti conosciuti, molti pure piuttosto bene, in vita. Lo verifico con stupore, perché cessai sette anni fa di leggere gli annunci funebri e così la mente tracima di ricordi legati al passato, veleggiando verso il rimpianto per un’epoca che non c’è più. Perché poi le persone morte sono rammentate in un contesto ben preciso e quel signore austero, con baffoni severi, lo vedevo sempre a messa la domenica quand’ero bambino. Ignoravo chi fosse, ma m’intimoriva. E il vortice dei ricordi diventa incontenibile. Impossibile resistere e sopportare.
Adesso la natura lussureggiante alleggerisce il peso delle reminiscenze, il cinguettare degli uccelli squarcia quella quiete che ci può essere in un cimitero nel tardo pomeriggio di una giornata estiva. L’ondulazione dei campi coltivati, la mutevolezza dei colori che li contraddistingue, l’assenza di rumori umani (neppure lo scalpiccio di piedi altrui riecheggia lungo l’ombroso sentiero) sembrano quasi regalare palpiti di benessere. Risuonano solo i passi del silenzio.
Bentornato. Mi piace leggerti. Le tue riflessioni mi hanno riportato alla memoria una vecchia canzone di Brel, suggestiva e malinconica: "Les vieux".
RispondiEliminaIo in questa fase della vita ci sto entrando e ti dirò che , almeno fino ad ora, tutto mi sembra normale: l'affievolirsi delle forze, la morte dei desideri, la caduta delle illusioni, la perdita dell'avvenenza e quanto di più può toglierti la vecchiaia le accogli come hai accolto la gioventù e le avventure di una vita piena di speranze. Fra poco raggiungerò il mezzo secolo di matrimonio. So che uno di noi due, prima o poi resterà solo. E' nell'ordine delle cose, non mi fa disperare il pensarci. Se un giovane mi chiedesse un consiglio, gli direi di scegliersi la strada che preferisce, secondo il suo talento e di vivere la sua vita giorno per giorno, senza soffermarsi troppo sul passato e senza ipotizzare un futuro che non esiste .Vivere nel presente: è questo il segreto.
Ross
Un post che lascia un sapore agrodolce dopo averlo letto, l'amaro della sofferenza e della perdita di una persona cara ed il dolce dell'amore.
RispondiEliminaUn abbraccio,
luigi
Ross, scusa il ritardo. Bella la tua testimonianza, importante il consiglio finale, esemplare la lunga convivenza matrimoniale (auguri per le nozze d'oro, giusto?). Penso che, come testimoni, sopraggiunga un periodo della vita in cui la consapevolezza del presente e la tranquillità di coscienza per il passato, permettano di guardare al futuro con assoluta tranquillità. Una gradevole sensazione, insomma.
RispondiEliminaTi ringrazio per l'apprezzamento. E continua a dispensare questa tua saggezza, maestra di vita. Ciao
Luigi, ti ringrazio per le toccanti parole che hai saputo adoperare, si vede che abitano in te qualità e nobiltà d'animo. Un abbraccio.
Frank, due coniugi che hanno superato piccoli uragani e grandi disagi sono una forza della natura.
RispondiEliminaNe parlo con cognizione di causa..almeno un pochino.