Oggi, alla fermata dell’autobus, mi sono messo a contare le persone in attesa. Innocuo giochino per ingannare il tempo. Ma non solo. Alla fine mi sono reso conto che tra i quattordici potenziali passeggeri c’erano quattro italiani (oltre me, una donna sui 60 discretamente portati e due studentesse) e dieci stranieri: quattro ragazzini, tra i quali ci doveva essere senz’altro chi è nato in Italia e sei donne, verosimilmente dell’est Europa, di varie età che facevano gruppo a se stante, con l'aria di divertirsi molto. Una di loro, tra le più giovani, issata su zeppe vertiginose, molto carina e attraente, indossava con disinvoltura un top marrone e un leggerissimo gonnellino bianco: se li poteva permettere.
Mi chiedo se sono (siamo) attrezzati culturalmente per affrontare un processo integrativo di tali dimensioni, se in nome del “politicamente corretto” anche la mia classificazione possa ritenersi discriminatoria, laddove si tratta di semplici osservazioni. Non ho patito un senso di accerchiamento, però una situazione - per certi versi analoga - l’avevo vissuta qualche mese fa, sempre attendendo l’autobus in una zona periferica e scarsamente frequentata. Accanto a me, sotto la pensilina, due altissimi neri (Edoardo Vianello dixit) che ascoltavano musica e battevano il tempo. Salito sul mezzo constatavo come ci dovevano per forza essere luoghi, orari e giorni in cui gli stranieri erano più presenti.
Ci troviamo, la mia, la nostra generazione e qualcuna anche a seguire, nel mezzo di cambiamenti epocali in divenire (se penso pure alle mutazioni del clima, al progressivo e ineluttabile esaurirsi delle tradizionali fonti energetiche, al sovrappopolamento delle grandi aree urbane, alla desertificazione che avanza) di cui non siamo in grado di cogliere la reale valenza. Non tanto per miopia, pregiudizi o scarsa lungimiranza, quanto perché tutto si sta trasformando qui e subito, sotto i nostri occhi, ma di questo possiamo rilevare solo aspetti parziali, per forza di cose ancora incompleti.
Saranno le generazioni successive, quelle dei figli dei nostri figli (forse) a trovare un mondo assai diverso (e temo non necessariamente migliore) di quello che gli lasceremo in eredità. Il completamento di ciò che è adesso in fieri.
Poi l’autobus è arrivato...
Ottime riflessioni.. no.. non credo che siamo pronti.. così come non erano pronti gli americani di inizio secolo.. ed i francesi del dopo guerra...
RispondiEliminaNon so come sarà, ma oso sperare che possa essere anche migliore di oggi..
;)
bragiu, deve essere migliore per chi ha dato corpo alla speranza del domani come hai (avete, pardon) fatto voi.
RispondiEliminaUn abbraccio e grazie per l'apprezzamento. :-)