Si può ricordare una persona che non vedo da alcuni anni in tanti fermo-immagine che la riportano al presente? Si può immaginare come potrebbe essere adesso? E cosa farebbe? E cosa mi direbbe, quali consigli fornirebbe? E poi quelle sue valutazioni molto secche, pragmatiche? Le mie reazioni?
La foto accanto al monitor fissa una giornata particolare e importante. Io mi trovo in piedi accanto a lei, bella come sempre e davanti a noi, a “rovinare” quell’esclusiva, il figlio più piccolo, che andava a piazzarsi sempre dove si fermava la madre. Ci trovavamo all’uscita di una chiesa dove il maggiore aveva ricevuto da poco la prima comunione. Giornata luminosa, metà maggio 2000, ultima di campionato, per i calciofili quella della famosa partita sotto la pioggia di Perugia e dello scudetto alla Lazio.
Dopo la cerimonia si era tutti più rilassati, perché ogni cosa aveva funzionato a dovere e adesso, dopo le varie formalità di rito, tra macchine fotografiche che scattavano e cineprese che provavano a imbastire storie, ci si preparava per il pranzo. Nella solita e piacevole atmosfera caotica che precede e accompagna certe ricorrenze.
Lei aveva una parola per tutti, una carezza, un sorriso sempre e averla distolta un attimo dalle sue mille piccole incombenze la reputavo una fortuna. L’avevo tutta per me. La foto valeva davvero la pena di essere scattata e conservata.
Passano i mesi, il mare le dona come al solito dopo un paio di giorni, un’abbronzatura invidiabilissima che costituisce il suo pregevole biglietto da visitata per la stagione estiva. Il ritratto indubbio di una donna in salute.
La rammento nella sua casa, colta in un momento di banale quotidianità. Oh no, non vi erano momenti banali nella sua vita. I figli, all’epoca di 6 e 10 anni, le assorbivano molto del tempo, ma i risultati si paravano davanti agli occhi di tutti: due bambini meravigliosi, con risultati esaltanti, addirittura, a scuola per il più grande, idolatrato quasi dalle maestre, da una in particolare.
Poi la cucina, da leccarsi i baffi. Primi piatti di assoluto livello, prove di assaggio che si trasformavano in ricette subito pronte. E poi dolci, di ogni genere. Alle feste di fine anno scolastico era sempre la più attesa con le sue crostate, in particolare, di una delizia sopraffina: le fette si scioglievano in bocca. Cosa dire poi delle pizze confezionate per le feste di fine anno e a Pasqua? Ogni volta sempre più buone, ogni volta richiedevano sempre maggiori attenzioni per essere sottratte alle mire delle papille gustative.
Accadeva, così, che a casa sua una torta oppure un rotolo di cioccolato (sì proprio quello ripieno di nutella) non mancassero mai. Così anche quel pomeriggio di fine agosto, quando la sorpresi appoggiata al tavolo, rimediai la mia fetta. “Tieni, ne vuoi un pezzo?” era sempre il suo esordio.
Un trattamento particolare, nella normalità della sua vita, nella sconvolgente normalità, dove il tempo esisteva sempre per gli altri. Lei se lo ritagliava durante certo pomeriggi quando, sedeva sul divano a leggere libri e il figlio più grande la imitava.
Curioso un fatto che si ripeterà almeno cinque o sei volte. Avendo la necessità di frequentare un corso di aggiornamento professionale, doveva pur affidare i figli a qualcuno e così fece a me la proposta che si conciliava perfettamente con i miei tempi. Perciò uscivo dall’ufficio, mi recavo a casa sua (dove singolarmente ero stato poche volte), la trovavo sulla soglia della porta, mentre all’interno un generoso piatto di pasta mi attendeva. Stava diventando una gradevole abitudine, mentre il rombo della sua Volvo risuonava: quanto correva con l’auto.
Allora rievocavo un contrasto avuto con lei, anni prima, quando mi aveva comunicato che si sarebbe sposata alla fine di giugno. Io, invece che rallegrarmi, trovai solo da obiettare che si disputava anche l’ultima di campionato e che, se il Milan fosse stato in buona posizione, sarei andato allo stadio. Se ne adontò, giustamente, ma io ritenevo di essere nel giusto e di godere della mia liberà di scelta. In realtà ero semplicemente geloso che un altro se la portasse via. Poi ci riconciliammo e fui presente al suo matrimonio.
Ancora non sapevo, mentre consumavo quel gustosissimo piatto di pasta e mi guardavo attorno, apprezzando la sua casa e il senso di benessere che la dominava e si trasmetteva che il male stava per scendere tra noi, quello sempre temuto e vanamente esorcizzato.
L’avvento a dicembre, all’inizio di quel mese, nel 1995.
La rivelazione: una macchia scura. L’analisi, la diagnosi, il ricovero in ospedale e l’operazione al seno. Ma il tumore, perfidamente, era ormai entrato nell’orbita, forse estirpato dal corpo, però diffuso presto nel linguaggio corrente. Non si sarebbe più potuto prescindere da esso.
Le dimissioni, il ritorno a casa, alle soglie del Natale. E poi l’apprensione per la convalescenza, la ripresa, il fisico forte, robusto che riprendeva il sopravvento, ricacciando il male all’inferno. Da lì rispuntò, più bastardo che mai, dopo un paio di anni. E ancora un ricovero, la solita trafila da cui si pensava di essere quasi esentati. La ripresa, questa volta più lenta e difficoltosa, ma poi ancora una volta la sua formidabile tempra ridava slancio alla sua azione e poi nuove sollecitazioni la motivavano: una nuova casa, i figli, soprattutto, verso i quali nutriva un amore infinito, senza però scivolare nel soffocamento.
Un amore che si alimentava di gesti diretti a loro e di esempi trasmessi più con il comportamento che con le parole. Una vita così straordinariamente normale non poteva procedere senza ulteriori intoppi.
Se ad ogni linea di febbre si creava allarme che lei vanificava con un tono di voce sicuro, quella tosse secca e prolungata che si trascinava da almeno un mese, nell’inverno 1999, non poteva essere solo un’influenza mal curata che si trascinava più a lungo del solito. Ci poteva (doveva) essere dell’altro, ma i medici sono spesso spaventosamente superficiali e così quello di famiglia si espresse per la banalità assoluta: male di stagione, stare riguardati e non prendere freddo.
Idiota.
Nel polmone si era formata una neoplasia inoperabile, al punto che iniziò la chemio come contrapposizione. Un trauma per lei che conosceva perfettamente, essendo sempre stata informata, a cosa andava incontro: quei capelli, lunghissimi e belli che si scioglieva sulle spalle solo in poche circostanze durante l’anno e che costituivano il suo giusto orgoglio, li avrebbe dovuti sacrificare.
Iniziò appena possibile la dura terapia, e per un paio delle sei sedute andò tutto bene. Stava riacquistando tono e vivacità, il consueto umore, almeno in apparenza. A maggio, appunto, si trovava nel momento migliore: sembrava che la terapia stesse producendo effetti benefici. E, tuttavia, quella foto volli scattarla lo stesso, affinché restasse soltanto mia.
Poi, non si sa bene perché, qualcosa s’inceppò, la positiva evoluzione si bloccò e cominciò a non avvertire più gli stessi benefici. Eppure andò ugualmente al mare che amava, si abbronzò in fretta, come sempre, col risultato di apparire inattendibile, come malata, all’oncologo che l’aveva in cura, un altro idiota dei lavori.
E il declino divenne visibile, mascherato da alibi di comodo. Anche il ricovero in ospedale, l’ennesimo, lo si contrabbandò come necessario per curare un allergia farmacologica. Ma intanto stentava nella deambulazione, doveva appoggiarsi ad una spalla amica. Questione di nervi accavallati, spiegavano e forse era anche la versione di comodo che, coloro che le stavano attorno, accreditavano come la più plausibile.
Il primo ottobre la verità non si potette più occultare. Le metastasi stavano invadendo tutto il corpo e si espandevano verso il cervello. L’ultima ratio, la stregoneria, il cialtrone del momento, quel Di Bella icona di tanti presunti miracoli. Lei aveva ceduto alla suggestione, ma forse era troppo tardi.
La ospitai a casa per accompagnarla in un tramonto ormai irreversibile e vissuto senza MAI un lamento. Una dignità da lasciare sbigottiti e ammirati, ma tipica di una grande donna che aveva sempre avuto la fissa degli altri.
Il 18 ottobre, dopo cena, mi ritrovai come di consueto con lei che, al contrario, si preoccupava perché non andavo a seguire la partita trasmessa in tv tra Milan e Barcellona (3-3). Ma il mio posto sapevo e sentivo che era là, accanto a lei.
Fu una serata drammatica e di sofferenza da parte mia. Riuscii a dirle che le volevo bene (tra noi erano sempre state assenti le sdolcinature) e lei rispose: “Anch’io”. Andai a dormire con il cuore gonfio di pena, ma anche sollevato in qualche modo dalla sua risposta.
Il 24 una telefonata al lavoro. Era stata ricoverata in ospedale e, in un corridoio del pronto soccorso la trovai, rannicchiata quasi in posizione fetale (un ritorno alle origini?) su una barella. Gli occhi lucidi, forse per la rabbia di non poter più parlare ormai, una sofferenza enorme per lei.
La accarezzai a lungo, non mi persi un solo attimo. Intuivo che sapeva tutto, forse spaventata per ciò che l’attendeva, ormai esausta, priva di tutte quelle forze che l’avevano sorretta. Malgrado tutto capii che si era arresa. Ma sempre senza emettere MAI un gemito. Dio: e come avrà fatto?
Dopo alcune ore rientrai in una casa avvolta da un silenzio irreale, presago di sensazioni molto precise. Da solo. Uno sguardo nella sua camera che presentava i segni della fretta con cui in mattinata era stata chiamata l’ambulanza. Congelati il letto sfatto, le coperte a terra. Il suo sudario.
Sì, stava arrivando, era passata da lì. Avrei voluto vederla, affrontarla, sfidarla, ma aveva eluso ogni mia aspettativa e si era diretta altrove. In quella sala d’aspetto, accanto alla barella, forse già presidiando la stanza in cui sarebbe stata ricoverata. Montava la guardia per non farsela sfuggire. BASTARDA. “Prendi me” - le avrei urlato - “prendi me se ne hai il coraggio e il potere”.
Non ricordo davvero in che stato d’animo andai a letto, se fu un lungo sonno, quello, oppure un continuo dormiveglia frantumato dallo squillo del telefono. Tre parole: “Ci ha salutato”. Erano le 5:40 del 25 ottobre 2000. Lei aveva 41 anni.
Il suo corpo era ancora caldo quando arrivai in ospedale, in quella stanza in cui mi ero soffermato varie volte, l’ultima pochissimi giorni prima. Presi ad accarezzarle il viso e poi le mani, non mi stccai da lei. E la medesima cosa feci il giorno dopo, quando era stata deposita nella bara con indosso lo stesso abito bianco che portava in quella domenica di metà maggio, l’ultima domenica di vera festa.
Quant’è freddo il corpo di una persona morta, il marmo è più caldo e meno duro. Me ne stupii, visto che fino a 24 ore prima ne avevo percepito il calore. Le mani quasi si rattrappiscono ad appoggiarle sopra, ma si tratta solo di un effetto momentaneo, poi ci si abitua, Ma le innumerevoli carezze non riuscirono a restituirle il calore.
Un’altra mia sorella mi confidò, qualche giorno più tardi, che il figlio di un anno che stava dormendo quella mattina, si svegliò all’improvviso, poco prima delle sei. Mi è sempre piaciuto pensare che la zia era passata a salutarlo, prima di volare lontano. Per sempre.
Da allora, ogni anno, nel periodo delle feste (si fa per dire) natalizie, riporto in vita mia sorella, visionando il video girato in quella domenica di metà maggio. La rivedo camminare, gesticolare, noto perfino i suoi tic. Soprattutto ne riascolto la voce e mi scaldo il cuore.
Si può ricordare, a volte si deve ricordare per elaborare un'assenza, soprattutto credo che si continua a "vivere" quando si è presenti nel pensiero dell'altro.
RispondiEliminaGiornata serena!
Giulia
ti abbraccio e capisco perchè sei così come sei ...
RispondiEliminaE io non posso fare a meno di pensare a quanto deve essere stato difficile elaborare un ricordo come questo ed esporlo così, a piccoli tratti e con parole dalle quali traspare un amore vivo e caldo come allora e forse anche di più...
RispondiEliminaUn abbraccio e buona settimana
GIULIA, benvenuta. E’ vero, lo hai scritto giustamente. Lei continua a vivere, perché nel mio pensiero è presente, per questo si deve sempre continuare a ricordare, per impedire che muoia definitivamente sotto la coltre dell’abitudine e del tempo che passa. Ma resta dolore vivo.
RispondiEliminaQuel che resta del giorno sereno pure a te, grazie.
NJARA, anche a te, benvenuta.
MARDOU, grazie, grazie tante. Nella tua frase hai espresso tante cose...
LEALIDIUNANGELO e un sorriso regalo anche a te.
ROBYNIA, ci ho pensato a lungo se rendere pubblica questa testimonianza molto privata, proprio in questa ricorrenza quinquennale. Perché, in fondo, chiunque può entrare ed impossessarsi di questi frammenti di cuore. Poi ho scorso l’elenco dei link, persone prima ancora che bloggers, persone che stimo e apprezzo molto, altrimenti non le avrei inserite nella lista e ho deciso che sì, meritavano di condividere questa esperienza di dolore. Che scrivendo ho rivissuto.
Era giusto che lo facessi, dopo tanti racconti fatti e tanti sfoghi.
Peraltro esiste un filo rosso che, da questo post si congiunge al primo o ai primi della serie, perché la donna che ha reso silenziosi i miei sentimenti “dopo”, prima era stata in grado di rivitalizzarli, a pochi mesi dalla morte, perciò l’elaborazione del mio dolore già in divenire durante l’agonia, fu aiutata da questa irruzione che alleviò il peso. Che poi ci sia stata la traumatica rottura è un altro discorso.
Io, in quei primi mesi del 2001, quando il dolore anestetizzava la realtà, trovai una spalla su cui appoggiarmi recuperando l’amore di altro tipo che avevo perduto, con un amore pieno come appunto fu nella fase iniziale e poi ancora nel percorso limpido, prima che venisse inquinato.
In ciò che ho scritto ieri notte è certo presente di nuovo quell’amore mai perduto, mai smarrito che conservo nei confronti di una sorella straordinaria e coraggiosa, alla quale mi inchino con devozione. Sì, credo ancora più di allora.
Grazie per la tua sensibile presenza, Robynia.
Un caro abbraccio e serena settimana a te.
Hai fatto bene a pubblicare questo tuo personale ricordo....è un dono per chi lo legge - "l'uomo arriva dove arriva l'amore, non ha confini se non quelli che gli diamo noi" (I.Calvino)- e poi lanciare un dolore può essere anche un modo per attraversalo.....
RispondiEliminaSono la Giulia di questa mattina.
Ciao
GIULIA, mi ero giusto rammaricato che non avessi un tuo blog e adesso per fortuna viene colmato questo vuoto nell'informazione.
RispondiEliminaTi ringrazio per le tue parole. In effetti mi è costato aprirmi fino a tal punto, rendere pubblico un dolore così profondo e privato. La tua valutazione mi conforta e spero che altrettanto conforto potrà trarre chi si trova in un'analoga situazione.
Bella la frase di Calvino, appropriata. In fondo anche questo dolore diparte dall'amore e poi allo stesso amore torna. Senza confini, appunto.
Ciao
Ti ho letto pensando, lo confesso, che si trattasse di una narrazione immaginaria. Solo ad un certo punto mi sono resa conto...e sono tornata indietro con le parole.Si può e si deve ricordare. E' u gesto di amore che sbaraglia dolore e tempo, spazio..come solo l'amore può fare. E l' amore, da che ne so io, è più forte della Signora scura che abbiamo battezzato morte...un bacio
RispondiEliminaMARZIA, un commento tenero il tuo che ho letto con particolare piacere.
RispondiEliminaDi sicuro il ricordo non si spegnerà, la sua presenza persiste e si propaga l'amore. Rievocarla è stato un bene, in modo che anche voi sappiate. Il dolore allargato e condiviso, come si condividono aspetti più lievi e lieti della vita.
Un caro ed affettuoso abbraccio. Grazie
Aggiungo il mio apprezzamento per la chi ti ha scelto o cambiato il vestito qua. Mooooooolto meglio così!! :)
RispondiEliminaUn ricordo prezioso.
RispondiEliminaGrazie per aver deciso di condividerlo con noi. Mi hai commosso.
Hai scritto delle parole troppo belle da me, sei sensibile e dolce.
Passo al link, ok?
:))
Piace molto anche a me questo nuovo template, ci credi se ti dico che avevo fatto un mezzo pensierino di prenderlo anche io?Poi la pigrizia ha avuto la meglio e ho tenuto il mio!
RispondiEliminaOT : il commento che hai lasciato da me l'altro giorno ha centrato la questione in un modo che meglio non si poteva, è proprio quello che io fatico ad ammettere anche con me stessa.E per quanto riguarda il calciatore, bè, se ho capito bene qual è la tua squadra del cuore...direi che ci siamo! :)
Buona giornata!
Se vuoi puoi leggere un post messo da me qualche giorno fa....credo ti possa essere gradito. Parla di una particolare concezione della morte e di un modo di celebrarla collettivo e festoso....La fonte è A.Bordiga, e io l'avevo scritto per me tanto tempo fa alla morte di mia madre.
RispondiEliminaCiao
Si, si può ricordare tutto di una persona che abbiamo amato. A volte aspettiamo che si compia un ritorno che non avviene solo perche lei non è mai andata via.
RispondiEliminaTi abbraccio insieme al respiro del mare...anche se mi hai fatto piangere!
P.S.Mi piace il nuovo abito del tuo blog!
ti abbraccio forte Frank e ti invio una carezza
RispondiEliminaMaria
"La realtà della Vita è la Vita
RispondiEliminaIl cui inizio non è nel grembo materno
E la cui fine non è nel sepolcro" . Gibran
la sua sofferenza un silenzioso grido di Vita
il suo cuore "un tabernacolo" d'Amore
adesso il vuoto dell'assenza sarà colmato
con la indissolubilità di una presenza trasfigurata
rinata dal cuore di illimitati silenzi
che porteranno la voce
di ogni suo agire.
un saluto
Sil
MARZIA, grazie per l’apprezzamento, ma ho trovato l’abito pronto e l’ho infilato. Ritengo che la prima caratteristica di un blog sia la leggibilità immediata e il precedente template non rispondeva più a questo criterio. Spero che ora vada tutto bene.
RispondiEliminaPORTAMIVIA, cos’altro aggiungere al tuo commento se non il timore di rovinare parole così piene di sentimenti e nobiltà d’animo. Da un paio di giorni il mio ricordo è condiviso, era importante fornire qui una chiave interpretativa, anche di quello che sono io.Grazie.
E grazie anche per l’altro aspetto. Mi hai colpito con il tuo diario e non potevo fare altro che adeguarmi gradevolmente.
Il link è doveroso e il posto per te era già pronto qui, aspettavo solo la seconda visita. :-))))
ROBYNIA, talvolta la pigrizia rovina i piani. Però comprendo se, come immagino, tu sia piuttosto esigente e dunque la ricerca sarebbe stata anche lunga. In effetti non è stato semplice per me trovare un template che potesse soddisfarmi. Poi, per fortuna... Ma l’ispirazione me l’avevi, inconsapevolmente, fornita tu da quando avevi cambiato “vestito”.
OT: i conflitti sentimentali agitano e inquietano, come pochi, perché si confrontano cuore e ragione, Magari ne parleremo.
Ma il nome, Robynia? Facciamo che, per cortesia, me lo scrivi in privato e io mi impegno a mantenerlo segreto?
:-)))
Grazie e buona giornata.
OMBRADELVENTO, il tuo abbraccio, le tue ispirate parole e il tuo ringraziamento mi hanno commosso. Di certo c’è che attraverso il blog sto entrando in contatto con animi nobili e persone delicatissime nella loro sensibilità.
Hai ragione: lei non è mai andata via e vive con me. Le tue, le vostre parole me ne hanno fornito la certezza a questo punto.
Ti abbraccio anch’io, con molta riconoscenza, assecondando il respiro del mare.
P.S. Grazie, sono stato fortunato nella scelta: piace molto anche a me.
MARIA, ed io ringrazio ricambiando l’abbraccio forte e la tenera carezza.
SIL, dopo aver integrato gli altri commenti ho trovato il tuo e... davvero potrei dire, parafrasando Ungaretti: "che vengo illuminato d'immenso", mentre leggo e rileggo ammirato le tue parole.
RispondiEliminaQuanto all'e-mail qualcosa accadrà, vedrai :-)))))))))))
Un caro saluto
un abbraccio, grande.
RispondiEliminal'ho vista anch'io...attraveso le tue parole. E' davvero bella!
veradafne
VERADAFNE, grazie per le parole e l'ascolto. Un abbraccio grande
RispondiElimina