Bertoladri
Solo un’informazione serva e salivare poteva scambiare questo bluff semovente, travestito da calciatore della Nazionale, per “un servitore dello Stato nel mirino dei giudici” (Vespa, Pompa a Pompa), “il virgilio delle catastrofi, la straordinaria normalità, jeans&polo, voce piana e forte appeal, l’uomo che piace a tutti tranne che ai magistrati che provano a inzaccherargli la divisa” (Mario Giordano, Libero anzi Occupato), “un efficace organizzatore” (Sergio Romano, Pompiere della Sera), “un tecnico capace ed efficiente” (Littorio Feltri, il Geniale), “l’homus berlusconianus (sic), quello del ‘basta con le chiacchiere’, della politica del fare, dei metodi spicci, lo zar di tutte le emergenze” (Peppino Caldarola, Il Riformatorio), “un uomo che fa del bene e quindi viene perseguitato” (il Banana).
Ora, grazie alle intercettazioni, anche i non vedenti e i non scriventi sanno chi è e di chi si circonda: un cenacolo di stilnovisti che, molto fisionomisti, si autodefinivano “cricca di banditi”, “immersi in un liquido gelatinoso ai limiti dello scandalo”, “combriccola”, “gente che ruba tutto il rubabile”, “bulldozer”, tipi “da carcerare”. Infatti sono stati accontentati.
Siccome anche la toponomastica ha un peso, l’appaltatore-elemosiniere di Bertolaso, Diego Anemone, risiede in via Regalìa: più che un indirizzo, una vocazione. Infatti, per rastrellare contanti per gli incontri con San Guido, si rivolgeva a un prete, don Evaldo, per gli amici “don Evà”. Ma le mazzette erano soprattutto in natura, ultima evoluzione di Tangentopoli: fuoriserie e aerei a sbafo, ristrutturazioni e divani gratis, escort e massaggi tutto compreso, assunzioni di figli e domestici. Ecco, la famiglia prima di tutto: Angelo Balducci, uno dei BertoBoys, tenta di piazzare il figlio: “Compie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? Un cazzo”. Un genitore esemplare. La regola è non pagare mai il conto: quando Anemone in versione marina organizza soggiorni all’Argentario per Carlo Malinconico, segretario generale di Palazzo Chigi e poi presidente degli Editori di giornali, precisa: “Mi raccomando, non è che si distraggono e gli fanno il conto!”. Non sia mai. In altre telefonate sembra di riascoltare i furbetti del quartierino. Fazio: “Ho messo la firma”. Fiorani: “Tonino, sono commosso, io ti ringrazio... ho la pelle d’oca... ti darei un bacio sulla fronte ma non posso farlo... prenderei l’aereo e verrei da te, se potessi”. Ora un altro dei BertoBoys, Fabio De Santis, meravigliosamente definito dalla burocratjia della Protezione civile “soggetto attuatore”, dice ad Anemone: “Dammi un bacio sulla fronte”. Anemone va un po’ più in giù: “Dove vuoi, pure sul culo se mi dai una buona notizia”. Altri ingredienti ricordano i sistemi di Bancopoli, Calciopoli e Parmalat, col controllo sulle sole variabili impazzite rimaste: non il Pd, figuriamoci, ma i pochi giornalisti e magistrati che ancora fanno il proprio mestiere.
Il giornalista spione riferisce quel che sta per scrivere Fabrizio Gatti sull’Espresso, mentre – secondo l’accusa – il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro spiffera notizie agl’indagati (l’avevano già pizzicato nel caso Unipol, infatti coordinava le indagini sui grandi eventi).
Completano il quadro le “ripassate” di Bertolaido a Francesca e a un’altra signorina (“una fisioterapista di mezza età”, garantisce il premier, sempre informatissimo), ma a scopo di “terapia” per “riprendermi un pochettino”. E aggiungono un tocco di berlusconianitudine al tutto (il listino del Beauty Salaria include il “trattamento fango”, 65 euro tutto compreso). Ce n’è abbastanza per l’immediata nomina di San Guido a ministro, con legittimo impedimento incorporato: un Bertolodo.
(12 febbraio 2010)
Fate schifo
di Antonio Padellaro
La peggiore storia italiana ci ha abituati a ruberie di ogni genere da parte di affaristi manigoldi in combutta con politici degni compari. Ma non si ricorda una scena come quella dei due costruttori amici di un amico della Protezione civile. Esultanti per il terremoto che ha appena spianato L’Aquila. Raggianti al pensiero della fetta a loro destinata nel bottino della ricostruzione. Quei due rappresentano lo spirito di un tempo triste dove, per dirla con un altro "imprenditore" a fauci spalancate: "Possiamo pigliare tutto quello che ci pare". Purtroppo è così: tutto è permesso alla "cricca dei banditi e degli appalti", altra autodefinizione ribalda di chi, vivendo nel paese delle immunità e delle impunità, si sente giustamente al sicuro: e a noi che ci tocca, e a noi chi ci tocca? Finché un giorno la magistratura scoperchia il pentolone dei grandi eventi trasformati in emergenze nazionali per meglio distribuire montagne di quattrini in deroga a leggi e controlli. E accusa un gruppo di pubblici ufficiali di avere asservito la loro delicata funzione, che comporta la gestione di enormi poteri e di rilevantissimi importi, in modo totale e incondizionato agli interessi di tal Anemone, costruttore romano. Ci interessa poco sapere che tipi di massaggiatrici frequenti Bertolaso. Fatti suoi. Altre sono le domande che lo riguardano visto che di quella Protezione civile intrisa di "corruzione gelatinosa" e assalita da torme di anemoni affamati, il capo onnipotente è lui. Nella consueta tirata contro i pm che "devono vergognarsi", questa volta il lord protettore Berlusconi non ha tenuto conto dello schifo di cui si è fatto interprete il sindaco de L’Aquila. Un sentimento largamente collettivo. Il limite della decenza è stato superato.
(12 febbraio 2010)
Il filo rosso di
Concita de gregorio
l’Unità
12/02/2010
(12 febbraio 2010)
Bertolaso, l'emergenza fatta persona
Gabriele Polo
Un uomo per tutte le emergenze, in un paese che d'emergenza vive. Quella di Viareggio è solo l'ultima chiamata per Guido Bertolaso e il suo piccolo esercito della Protezione civile: 700 funzionari, 300.000 volontari pronti a occuparsi di tutto, dalle crisi idriche ai terremoti, dai vertici internazionali allo smaltimento dei rifiuti e ai netturbini in sciopero. Uno stato nello stato cui compete qualunque evento - naturale o umano - che abbia bisogno di un intervento immediato. Con il potere di muoversi al di fuori di ogni controllo istituzionale «normale», se non quello della presidenza del consiglio.
Uno dei casi più clamorosi è datato 28 marzo 2003, durante l'invasione americana dell'Iraq, quando il governo (Berlusconi) dichiarò lo stato d'emergenza su tutto il territorio nazionale, affidando al capo della Protezione civile (Bertolaso) «la tutela della pubblica incolumità» in quanto «delegato del Presidente del Consiglio». Il decreto non conteneva nemmeno la data di scadenza della «delega», ma c'era la guerra e quasi nessuno ci fece caso - fatte salve un paio di interrogazioni parlamentari dell'opposizione. Cosicché, almeno in teoria, l'Italia è ancor oggi in «gestione straordinaria».
Del resto quella era la conseguenza di una logica che ha cambiato la stessa natura dello stato: da quando è stata istituita (febbraio 1992)
Negli ultimi dieci anni
Bertolaso è stato per la prima volta al vertice della Protezione civile tra il 1996 e il 1997, con il primo governo Prodi. Poi ha gestito il grande evento targato Rutelli come Commissario per il Giubileo del 2000. Per tornare a capo della Protezione civile nel 2001 con il governo di Giuliano Amato e rimanervi passando attraverso un Berlusconi-2 e un Prodi-2. Con l'attuale esecutivo Berlusconi, Guido Bertolaso è stato promosso sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sull'onda dell'emergenza rifiuti in Campania. Un salto di status che l'ha portato a essere il vero governatore dell'Abruzzo terremotato, incaricato di tenere assieme l'emergenza delle tendopoli con il G8 dell'Aquila, gli appalti per la costruzione delle «abitazioni provvisorie» con il grande business della ricostruzione vera e propria, garantendo al governo il controllo paramilitare della provincia aquilana, esautorando tutte le autorità locali, nel mentre di una radicale trasformazione del tessuto urbanistico e sociale. Un'impegnativa escalation, che non gli ha impedito di continuare a occuparsi dell'emergenza vulcanica delle Eolie, di quella immigrati a Lampedusa, dei mondiali di ciclismo e persino della bonifica del relitto della Haven. Di qualunque cosa serva per la gestione del paese. Con quali risultati è tutto da vedere: l'importante è il metodo, per il merito si vedrà.
(1 luglio 2009)
FRONTE DEL VIDEO |
di Maria Novella Oppo
L’invasione dei Berluscloni
E così, ora, i lavoratori sardi che hanno perso o stanno per perdere il posto di lavoro, sanno come sono stati spesi gli oltre 300 milioni di euro della Maddalena. E i terremotati sanno con quanto entusiasmo gli amici di Bertolaso abbiano accolto le prospettive di guadagno delle new town berlusconiane. Mentre la ricostruzione dell’Aquila non è ancora iniziata. Valanghe di soldi pubblici sono entrati nelle tasche di pochi italiani e usciti dalle tasche di tutti noi. A questo punto, che Bertolaso abbia intascato o no, è secondario. Le responsabilità sono evidenti e il delirio di onnipotenza inferiore soltanto a quello di Berlusconi. Anche noi telespettatori, del resto, abbiamo assistito passivamente allo strapotere del boss della protezione civile, talk show dopo talk show. Fino alla recente visita ad Haiti in diretta tv e alla prova di supponenza ai danni niente meno che dell’America di Obama. Come berlusclone ora Bertolaso è perfetto.
(12 febbraio 2010)
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