sabato 7 marzo 2009

Uno e trino




L'omissione della data in fondo a questo articolo di Gustavo Zagrebelsky non costituirebbe una rilevante disattenzione. Semplicemente non farebbe differenza.  Infatti Silvio B. (tessera P2 n° 1816) come problema costituzionale è sempre attuale. Silvio B. (tessera P2 n° 1816) che ci sta condannando ad un destino che non è liberal-democratico, checché ne dicano i suoi scherani replicanti, ha assunto dimensioni ormai imbarazzanti, invasive e deliranti. Disgustose, in altri termini.


Credo, perciò, che un modo per sfuggire alle lamentele generiche e sterili sia quello di affidarsi a buone letture. Nella fattispecie, questo breve trattato di principi costituzionali risponde allo scopo, perché l’autorevolezza di Zagrebelsky non si discute per nulla. L’insigne giurista lo scrisse il 9 febbraio 1994. Inascoltato.


Il 27 marzo dello stesso anno Silvio B. (tessera P2 n° 1816), professione: eversore dell’ordine costituito, vinse le elezioni. Eppure eravamo stati avvertiti di quello che poi sarebbe successo.


 


 


TRE POTERI CONCENTRATI  IN UNO




SILVIO Berlusconi come problema costituzionale. Risale a Platone l’idea che ogni società si regge su tre principi, ugualmente essenziali: l’economia, la cultura e il governo. L’economia si occupa dei beni materiali, la cultura dell’identità spirituale, il governo della difesa dalle minacce interne e esterne. Da questa semplice osservazione si è sviluppata nel corso dei secoli una grandiosa teoria politica tripartita, basata sull’esigenza della moderazione e dell’equilibrio: la teoria costituzionale liberale. Essa si contrappone alle concezioni basate sul numero uno, essenzialmente dispotiche e a quelle basate sul numero due, essenzialmente sovversive: dove il potere è concentrato, sarà senza limiti; dove è diviso in due, l’uno vorrà sopraffare l’altro. Il tre, invece, è il numero della stabilità moderata La ragione è semplice: ogni parte per evitare il confronto diretto, è interessata alla sussistenza delle altre due. Si capisce perciò che il tre è il numero magico del costituzionalismo.


La moderna teoria della tripartizione e della separazione dei poteri non è che una versione rinnovata di questa visione tripartita che ha attraversato il mondo classico, il Medioevo cristiano ed era ben visibile nei tre «stati» dell’Antico Regime. Montesquieu aveva osservato che chiunque disponga di potere è portato ad abusarne e che è quindi necessario disporre le cose in modo che il potere arresti il potere. Nella teoria costituzionale liberale, i tre poteri corrispondevano ai tre princìpi sociali: gli interessi materiali si esprimevano nella Camera elettiva, l’identità culturale era allora assicurata essenzialmente dal diritto, e quindi dai giudici e dalle Camere alte che erano i massimi organi giudiziari, la funzione di governo dal Re e dai suoi ministri. Ciascuno di questi tre organi doveva essere indipendente, per garantire l’equilibrio della società.


Oggi noi abbiamo perduto in gran parte il significato profondo di questa concezione e ci accontentiamo di una nozione meccanica della separazione dei poteri, come formula esclusivamente giuridica. In origine, non era così. Il problema era l’equilibrio sociale, del quale l’equilibrio costituzionale era conseguenza e garanzia.


Quanto questo equilibrio sia importante, si è compreso quando si è rotto. La «dittatura della borghesia» o il governo come «comitato esecutivo della borghesia», le dittature teocratiche o tecnocratiche, le dittature dei regimi a partito unico sono esempi storici della rottura dell’equilibrio, a favore ora dell’economia, ora della cultura, ora del governo. Ma più vicino a noi, qualcosa di simile è stata la grande connivenza politico-amministrativa e imprenditoriale, sotto lo sguardo assente dei giudici e dell’informazione (cioè della cultura), che va sotto il nome di Tangentopoli. La variante è che qui i tre princìpi sociali si sono corrotti per essersi non sottomessi ma compromessi. L’effetto è stato però ugualmente la degenerazione della vita sociale.


Berlusconi come problema costituzionale significa che in lui può aversi l’unificazione personale dei tre princìpi: egli è economia, è cultura (nel suo modo d’essere attuale: giornali e televisione) e vuole diventare governo. Qui, un soggetto uno e trino disporrebbe contemporaneamente di poteri economici, culturali e politici ciascuno dei quali può essere messo al servizio degli altri, in un rapporto incrementale circolare di impulsi incessanti. Il potere culturale come moltiplicatore del potere politico, il potere politico come moltiplicatore del potere economico e il potere economico come moltiplicatore del potere culturale. Si aprirebbe una spirale perversa e sempre più esigente, una prospettiva catastrofica, una metastasi sociale inarrestabile, del tutto indipendentemente dalla buona o cattiva volontà dei protagonisti (Montesquieu: è nella natura dell’uomo abusare del potere…).


Può anche darsi che questo sia il nostro destino, perché forse l’idea dell’equilibrio sociale appartiene ai tempi andati, quando la tecnologia applicata alle comunicazioni di massa non aveva stretto insieme economia, cultura e politica. Può perfino essere che le forze in campo, quando si sia operata questa micidiale congiunzione, siano oggi inarrestabili. Ma almeno non si dica che questo è un destino liberal-democratico.


Gustavo Zagrebelsky*


La Stampa (9 febbraio 1994)


*Gustavo Zagrebelsky ex Presidente della Corte Costituzionale, è attualmente docente di giustizia costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza di Torino. Collabora con i più importanti i quotidiani italiani (La Repubblica, La Stampa) ed è socio corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei. È anche presidente onorario dell'associazione Libertà e Giustizia. (da Wikipedia)

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