La vignetta di Altan, tratta da “L’espresso” del 25 settembre 2008, definisce in maniera eccellente lo stato in cui versa l’Italia che, senza dubbio, con il Capo e i suoi scherani ha già accresciuto in maniera stratosferica la produzione di cui si parla. Non potrebbero produrre altro. L’apogeo si toccherà in questo fine settimana quando l’ometto (tessera P2 n° 1816) diventerà partito unico, con pensiero unico (il suo) e la libertà (sua) di fare ciò che vorrà. Viva, sempre viva, la libertà.
A modo mio celebrerò questo ulteriore passo verso il baratro postando alcuni articoli assai istruttivi. Comincio con Giorgio Bocca e, occhio alle date.
II deserto del Cavaliere
GIORGIO BOCCA
Ci siamo sbagliati: non è il piccolo Cesare ma il piccolo Attila. Cesare era un letterato, un grande statista, un riformatore. Il cavaliere di Arcore passa invece come una tempesta nei campi dell'informazione e della cultura alla testa dei suoi barbari armati di telefonino e di computer. La sua maestra è stata la lady di ferro, la signora Thatcher che gli ha confidato l'arte del potere: non leggere mai i giornali. E nemmeno i libri. Bastano i cellulari. In Cina mentre era in ascensore ha potuto telefonare alla madre con un aggeggio elettronico del peso di dieci grammi lungo cinque centimetri. Che si vuole di più dalla vita? I veri ometti autoritari li riconosci dal fatto che trattano come servi, come pezze da piedi i loro sudditi. A Roma il Cavaliere presentava un libro di Bruno Vespa, e aveva al fianco due direttori di giornali. E gli diceva, alla brutta, che la parola scritta è come una carrozza a cavalli rispetto a un'automobile. Ai piccoli Attila di questo tempo non mostrate mai ciò che di nobile, di civile sopravvive nella società umana: lo azzannano, lo fanno a pezzi, lo deridono. E se ne vantano. Si sa che l'informazione pubblicitaria televisiva è una cassa di risonanza del pensiero unico, persuade la gente che non c'è alternativa, che il denaro non è la farina del diavolo ma il motore dello sviluppo. Ma a lui questa informazione va benissimo, dice a una platea di giornalisti che sono dei patetici sorpassati, che nessuno li legge, che sono retrogradi e impotenti. E sa che sarà pure applaudito dagli embedded, da quanti fanno parte del regime, del sistema.
La sicurezza dei padroni di oggi si esprime, si manifesta, si legalizza con l'arroganza. Il presidente Bush non si affida ai diplomatici per mettere in riga i paesi dissidenti, gli fa sapere che li ha esclusi dai buoni affari della ricostruzione in Iraq, e così Berlusconi fa sapere alla stampa italiana riottosa e impertinente che le taglierà i fondi. Come si permette di protestare contro il suo monopolio? Ma non basta. I nemici della libera informazione non si accontentano di soffocarla, vogliono anche essere riconosciuti come i suoi protettori: «Quale giornalista italiano - dice il Cavaliere - non può scrivere ciò che vuole?». Nel suo diario forse, non nei media che dipendono da lui. Chi dirige la televisione pubblica ha capito l'antifona: non licenzia gli oppositori, gli indisciplinati, gli eretici. Gli fa cortesemente sapere che non sono in linea con i "programmi di produzione", con le regole della produzione, cioè con il padrone. Siano ragionevoli, accettino una censura preventiva, i rinvii che vanificano il lavoro, rispettino chi ti può chiedere milioni di danni. E più il potere si sente in pericolo, più deve spiegare i suoi fallimenti, più alza la voce e fa schioccare la frusta. Bush come Berlusconi si ricandidano, vogliono altri mandati e se non glieli daranno se li prenderanno perché alle loro spalle ci sono i soldi e quelli che partecipano al bottino. Ha ragione il nostro a cantare le meraviglie della televisione: ci fa un sacco di miliardi e grazie a lei ha cancellato l'opposizione sociale, ha arricchito i ricchi e impoverito i poveri che non si lamentano neppure e se lo fanno, come i tranvieri di Milano, passano pure per sovversivi.
«Non è un attacco - dice il Cavaliere - è una constatazione». Come no! «Ormai c'è Internet - dice - il futuro è digitale», lo sappiamo Cavaliere, la conosciamo questa informazione avanzata, la vediamo ogni giorno la fuga in avanti della tecnologia che mette a tacere l'esame del presente e ci fa vivere in un futuro che non c'è ma è come se ci fosse. Lo sappiamo che prolificità e velocità hanno moltiplicato gli inganni e i condizionamenti e che siamo quotidianamente impegnati in una battaglia per resistere, per salvare la libertà e la dignità. Ma lei ci va a nozze con lo scempio, lei con i suoi cavalieri mongoli della pubblicità spazza ogni resistenza, ogni dissidenza, il peggio la inebria, la compagnia dei servi la rincuora, premia i lacchè, licenzia i capaci. Di che si lamenta Enzo Biagi? I colleghi gli hanno pure dato un premio, hanno riconosciuto che in televisione era il migliore. Di che si lamentano i satirici che la diffamano e non fanno ridere? Gli uomini di comando non si arrendono mai. Se cadono si rialzano, se perdono una battaglia continuano la guerra. La politica aggressiva di Bush è fallita, l'America si è cacciata in un pantano da cui non sa come uscire, ogni giorno soldati americani vengono uccisi. E allora si progetti il soldato invincibile, con il computer incorporato nell'elmetto, che vede nel buio e colpisce infallibilmente il nemico. È dal Vietnam che si coltivano queste leggende marziali in cui tutto è previsto, salvo che le bombe continuino ad ammazzare civili e bambini. Ma il Cavaliere indomito dopo aver distrutto la stampa riottosa e impertinente vuol essere più falco dei falchi, dice che il nostro futuro sarà una guerra continua per imporre la democrazia al mondo intero. Il marxismo "scientifico" come lo chiamavano i comunisti dogmatici, ha commesso molti errori di previsione e di analisi. Ma il più grave forse è di non aver tenuto in debito conto il ruolo nella storia delle forti personalità. Ma ci pensate alla quantità di guasti, di prepotenze, di errori di cui siamo debitori al piccolo Attila?
Nessun commento:
Posta un commento