LUGLIO 1944. IL RITROVAMENTO
QUEI CORPI NELLE CAVE. CRONACA DI UN ORRORE
All'interno delle cave c'è il buio completo. Al momento del ritrovamento, le 335 salme si presentavano orrendamente mutilate. I nazisti tentarono di nascondere l'eccidio, minando le gallerie.«Collocata la salma su un tavolo anatomico aveva inizio lo studio medico-legale». Ecco come vennero identificate le 335 vittime delle Fosse Ardeatine
PAOLO PETRUCCI
«Presso le tombe dei Martiri cristiani altre tombe si sono aperte per i martiri della Patria. Questi e quelli morirono per la libertà e la dignità dello spirito contro la pagana tirannia della forza brutale». Così un manifesto partigiano affisso per le vie di Roma subito dopo la liberazione della capitale. Dalla Porta di San Sebastiano dopo un chilometro sulla via Ardeatina si trova la chiesetta del "Quo Vadis", e da lì si raggiunge il luogo dove venne consumato il più brutale sterminio nazista: il 24 marzo 1944 trecentotrentacinque uomini, diversi per età, fede religiosa e convinzione politica vennero assassinati dentro le cave di pozzolana.
«Il colpo al cervello fu ordinato da me. Il numero delle vittime in proporzione ai miei uomini, non ammetteva che su ogni vittima si sparasse più di un colpo. L'unico colpo sicuro era al cervelletto». Herbert Kappler durante il processo che lo condannò all'ergastolo come organizzatore della strage delle "Fosse Ardeatine" non tradì la sua principale caratteristica di uomo dagli occhi di ghiaccio: la freddezza spietata. Eppure commise un errore, perché nel ricordare quell'ordine da lui impartito, si espose alla più deplorevole delle infamie per un comandante nazista: la disubbidienza dei propri soldati. Nell'esame anatomico, necessario per la ricomposizione delle salme e poi per il riconoscimento, in alcune vittime furono riscontrati più di un colpo sparato per sfondare il cranio. In una salma si distinguono nettamente quattro colpi dietro la nuca nella zona occipito-nucale. In un'altra, due fori di ingresso di proiettile nella regione occipitale, che nell'uscita determinarono lo scoppio del cranio. Quasi tutti i corpi furono ritrovati in posizione prona, con le mani legate dietro la schiena.
«Per evitare il deterioramento dei cadaveri e per riguardo al senso fisico e psichico della vittima - spiegava Kappler nella deposizione -, diedi ordine di non appoggiare l'arma e che, nonostante questo, il colpo venisse sparato dalla più vicina distanza possibile per essere sicuri dell'effetto». Alla fine delle trecentotrentacinque esecuzioni i nazisti tentarono di nascondere ogni traccia del massacro minando le cave. Non riuscirono nell'intento, che ebbe invece l'effetto di far risaltare ancora di più la loro ferocia, quando, al momento del ritrovamento, le salme si presentarono orrendamente mutilate (per trentanove di esse non fu possibile ricomporle con la testa).
«Le Fosse Ardeatine», come subito i romani chiamarono il luogo del massacro sono individuabili sulla vecchia strada. Il piano è costituito da numerose gallerie che hanno in lunghezza uno sviluppo dai cinquanta ai cento metri ed un’altezza oscillante dai quattro ai sei metri. Le gallerie si intersecano l'una con l'altra e, per via di una soprelevazione del terreno, si trovano sul piano stradale. All'interno della cave c'è il buio completo. Dalla strada si entra direttamente nella cava lunga ventiquattro metri, dopo quindici metri il crollo di una volta non permette di continuare. La commissione d’inchiesta accertò che la causa del crollo fu una bomba.
Roma era ancora occupata dai tedeschi e per questo l'operazione di recupero si presentava particolarmente difficile. Al tempo stesso tale era la gravita del fatto che tutti gli ostacoli vennero superati con una spinta di solidarietà che si iscrive nei momenti più alti della Resistenza.
Il rinvenimento e poi il riconoscimento delle salme avvenne solo a luglio, quattro mesi dopo l'eccidio, e fu reso possibile da un eccezionale coordinamento di forze: Carabinieri, Croce Rossa, personale del Verano (tra cui il direttore ), Vigili del fuoco, una ditta attrezzata per l'occasione, l'ufficio tecnico del Comune, che concorsero affinchè il rinvenimento delle «Fosse Ardeatine» diventasse un monumento alla brutalità dell'uomo sull'uomo.
«Collocata la salma su tavolo anatomico - ricorda Attilio Ascarelli - aveva inizio su ciascuna di esse lo studio medico-legale per il riconoscimento e per le altre particolarità che il caso presentava. L'indagine tecnica fu da me organizzata ed io, per forza di cose, per dovere d'ufficio, recandomi alle Cave tutti i giorni per molte ore, assunsi di fatto la direzione di tutti i lavori che colà si compivano coadiuvato da volenteroso ed adatto personale...». Il primo sopraluogo, all'inizio di luglio, servì a stabilire i punti della galleria dove si trovavano i cadaveri. Poi si proseguì in un delicato lavoro di riconoscimento; ad ogni vittima veniva assegnato un numero progressivo, che rispettava l'ordine di esumazione, poi un sacerdote, don Umberto dei Frati di san Sebastiano provvedeva alla benedizione. Un rabbino interveniva quando era possibile stabilire l'appartenenza alla religione ebraica. Per quanto riguarda il trattamento delle vittime prima dell'esecuzione Kappler entra nel merito: «In presenza di Shutz, feci domanda se poteva essere ammesso un prete. Mi venne risposto che, in caso di esecuzione, le vittime avrebbero cercato di parlare il più possibile e preferii così di non chiamare alcun cappellano, anziché dover costringere le vittime ad essere separate dal cappellano dopo qualche istante. Non credo che sarebbe stato meglio che niente, perché, quando il cappellano si mette in contatto con questi esseri umani, è molto duro farli allontanare in pochi secondi. Ho preferito così non chiamarlo. Ho detto che il carattere di esecuzione normale doveva essere eseguito in rapporto alle circostanze ed al luogo».
Il piano dei lavori venne studiato nei dettagli dall'ufficio di igiene, dall'ufficio tecnico del comune per la parte edile, dall'Acea per le istallazioni idrauliche e dal Provveditorato per l'arredamento. Le gallerie vennero attrezzate di impianti elettrici, e venne assicurato il massimo livello igienico sia per il personale che per i visitatori. Sulla strada venne allestita una tenda per il pronto soccorso, e alcune gallerie vennero allestite a reparto medico, con i tavoli anatomici, con tutto il necessario per le indagini. Un'attrezzatura di lavaggio e di disinfestazione venne collocata all'ingresso delle cave. I carabinieri garantirono la sorveglianza.
Rimosse le frane che ostruivano i punti diversi delle esecuzioni, il 26 luglio fu iniziata la rimozione delle salme e lo studio medico legale di ognuna di esse. Il lavoro di esumazione costituì la parte più complicata, e venne svolta dal personale del Verano, dai Vigili del Fuoco e dall'impresa diretta da Attilio Ascarelli, che ebbe il compito di ripulire le gallerie. Nelle macerie vennero ritrovate trecento cartucce di dinamite e trenta bombe di tipo spezzone. «Dare un’idea esatta di come si presentavano questi carnai è cosa che io non so esprimere con adeguate parole - testimonia Attilio Ascarelli - il senso di orrore e di pietà che ne ritraeva il visitatore è superiore ad ogni immaginazione». Due gruppi di cadaveri occupavano uno spazio di cinque metri di lunghezza e tre di larghezza e un metro e cinquanta di altezza. Le salme si presentavano ammucchiate, ricoperte in parte da terriccio, del tutto irriconoscibili per la decomposizione. I corpi erano sovrapposti in tre strati nella galleria A; e in cinque strati nella galleria B. Quasi tutti avevano le mani legate dietro la schiena con cordicelle robuste. Vennero riempiti schedari di identificazione: nove gruppi per età, cinque per statura, quarantadue per professione. Le famiglie avevano compilato i questionari in cui riferivano i tratti somatici, l'altezza, la professione e l'età del congiunto. Di ciascun cadavere venne redatto un verbale giudiziario tenendo conto anche delle vesti di ognuno e di ogni particolare; spesso si trattava di resti irriconoscibili.
L'indagine per ricostruire la vicenda fu diretta dal colonnello Pollock, del comando di polizia alleata. Le vittime - accertò l'inchiesta - erano state caricate su furgoni di quelli in uso per le carni dal macello, e per la via Appia condotti alle cave Ardeatine. Tutte le vie erano sbarrate da Ss, che presidiavano l'ingresso delle cave. Ciascun automezzo trasportava sessanta, ottanta uomini. I camion entrarono a marcia indietro, e i prigionieri venivano subito avviati all'interno delle cave nel luogo prescelto per l'esecuzione. Gli spari iniziarono alle 16,30 del 24 marzo e proseguirono per tre ore. Poi ripresero alle 14 del giorno 25. Tutte le esecuzioni vennero compiute con proiettili calibro nove. Il termine del massacro venne segnato dall’esplosione di quattro o cinque mine.
Un porcaro, Nicola D'Annibale, da un terreno prospiciente, poté assistere inosservato a tutta l’esecuzione; ne rilasciò un’importante testimonianza.
AVVENIMENTI
18 MAGGIO 1994
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