giovedì 22 gennaio 2009

I giorni della speranza

Chiesa Valdese di Milano




La mattina del giorno di Natale, mentre la mia compagna era in tutt’altre faccende affaccendata, ritrovavo tra i cuscini, sul divano, il telecomando che lì poltriva. Premuto il pulsante di accensione mi mettevo a fare zapping, come nel più classico panorama domestico, quando restano nuvole di sonno che neppure un buon caffè (il suo caffè) è riuscito a dissolvere.


La tradizione esige che si inizi dal tasto 1 per poi continuare in
progressione, finché la curiosità di vedere cosa viene trasmesso, in quelle ore così particolari, svanisce e ci si trastulla tra cartoni animati e babbi natali che spuntano da ogni film. Però, quella mattina del 25 dicembre, l’interesse scalzava la curiosità, il torpore scivolava via e l’ascolto diventava prepotente e prevalente.


Se era, infatti, scontato che tra i vari programmi ci fosse la visione della messa festiva, assai meno lo era imbattersi nella celebrazione del culto di Natale in onda dalla Chiesa Valdese di Milano. E lì mi fermavo, laddove curiosità e interesse si congiungevano.


Stava giusto iniziando il sermone intitolato: "Natale 2008 nei contrasti: il buio e la luce, la paura e la speranza, la miseria e lo splendore". Una predicazione che reputavo subito avvincente e stimolante, culturalmente alta e con citazioni di rilievo. Al punto che non solo continuavo a seguire, pur non essendo più credente, il rito religioso (tra l’altro assai suggestivo), ma andavo in seguito a cercare maggiori informazioni e, soprattutto, recuperavo il testo del pastore Gianni Genre che qui propongo. 


 


(Luca, 2: 1-20)


In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.


C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».


Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.


I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.


 


Come stai, sorella e fratello mio di Milano, in questo mattino di Natale…? Quali sensazioni ti abitano per aver deciso di entrare in questo tempio? Nella continua ricerca di Dio – che forse giunge inaspettata o è una consuetudine – hai deciso di dedicare un momento all’ascolto e alla lode… E tu, dove sei sorella mia, all’ascolto? Dove ti trovi, fratello, mentre le note di questi canti molto conosciuti ti raggiungono?


Ti posso e ti voglio immaginare sereno, circondato dai tuoi cari, forse distrattamente impegnato nei preparativi. Ma voglio anche e soprattutto pensare a te, che hai deciso di accendere la televisione per caso o per sentirti meno solo. O, ancora, perché, forse, sei immobilizzato in un letto d’ospedale o recluso in un carcere che ti toglie l’aria.


Voglio rivolgermi anche a te, che non sopporti il bailamme di questi giorni in cui tutti sembrano dovere essere necessariamente felici, e fiduciosi, mentre tu non ci riesci, lacerato come sei tra la nostalgia di qualcosa che è stato e l’incertezza per un domani che avverti precario. Per te, che vedi nubi oscure all’orizzonte, le atmosfere di questi giorni sembrano – comprendo la tua insofferenza – imposte ed artificiali. Non voglio quindi farti alcun augurio - che potresti legittimamente rinviare al mittente - e condivido la tua allergia alle atmosfere imposte e artificiali che però, nel racconto che abbiamo appena ascoltato, non ci sono affatto.


Rileggi il testo, prima di archiviarlo come una fiaba che oggi non vuoi riascoltare, coglierai anzitutto la semplicità assoluta con cui viene raccontato un avvenimento apparentemente del tutto irrilevante: la nascita di Gesù. Poche parole, poche frasi dell’evangelista Luca inquadrano nella storia e nel tempo un evento di cui nessuno (o quasi) si accorge. Non ci sono pensieri pii e parole di troppo.


Una coppia di poveracci è costretta dal potere di quel tempo ad affrontare un viaggio a piedi. La donna è incinta. Tutti devono essere censiti, tutti devono essere controllati, vessati da un sistema di drenaggio fiscale spaventoso. Ma non c’è posto per loro – e il bambino nasce in una stalla.


Tutta l’azione si svolge nel silenzio, come nel silenzio e nell’anonimato si svolge la larga maggioranza delle piccole o grandi tragedie del nostro tempo. Anche qui, nel nostro testo, non c’è proprio nessun miracolo da raccontare, nulla di spettacolare.


Anche i primi ad essere raggiunti dalla notizia buona della nascita di Gesù sono dei poveri diavoli qualunque: un gruppo di pastori - con il loro piccolo gregge - del tutto esclusi dalla società di quel tempo. Persone viste di malocchio - un po’ pezzenti e un po’ delinquenti - e per queste ragioni private dei loro diritti di cittadinanza e della loro dignità. Proprio come coloro che oggi, nei nostri paesi che si dicono cristiani, si vedono costretti in condizioni di sfruttamento, di diffidenza, di continua minaccia.


Ecco perchè, forse, sorella e fratello, molti amano ancora questo racconto antico, il suono amico e intimo di queste espressioni, tante volte udite; perché, a prescindere anche dal proprio riferimento di fede, si riconoscono in quei personaggi senza nome che ricevono l’annunzio dell’angelo di Natale.


Il grande scrittore russo Fedor Dostoévskij, nel suo libro “Memorie dalla casa dei morti”, scritto dopo aver scontato la sua pena in un campo di prigionia della Siberia, racconta del Natale dei prigionieri che vivono in un inferno in cui l’unico libro permesso è l’Evangelo. E’ uno spaccato di umanità cui è tolta ogni dignità, estirpata ogni speranza, ogni brandello di amor proprio, prima ancora che di amore per gli altri.


Eppure – ci viene raccontato - tutti si fermano, quel giorno: proprio tutti. Per quei reietti, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, Natale è un’occasione “per mettersi in contatto con il mondo intero, per non sentirsi del tutto perduti (…)” A Natale anche quei miserabili diventano, come me e come te,  in qualche modo, protagonisti. Simili ai pastori della notte di Betlemme, che – disorientati - si sentono raggiunti e coinvolti da quella storia. Quell’evento - nota bene - non trasforma magicamente la loro condizione di vita.


I pastori rimangono e rimarranno pastori, anche dopo Betlemme. Ma per un momento, come possiamo accettare di fare anche tu ed io, si mettono in marcia e vanno a vedere che cosa sia successo a Betlemme. Ricevono dagli angeli un annunzio incredibile (nel senso che non può essere creduto), poi ascoltano il loro canto celestiale (senza capirci granché) e dopo aver visto un povero neonato avvolto e messo in una mangiatoia - cioè un segno in sé del tutto insignificante - diventano a loro volta angeli che portano la notizia agli altri.


Già, sorella e fratello, perché “angelo”, in greco significa inviato. Quando gli angeli ritornano al loro cielo, gli inconsapevoli pastori diventano - loro - messaggeri di quel Cristo che nasce nelle pieghe, nei dettagli della storia. “Ev-angelizzano”, diventano angeli, cioè portatori di quella buona notizia che cambia i cuori e la storia. Sono – anche senza saperlo – angeli per coloro che incontrano, ai quali portano una “buona” parola che interpreta quel segno altrimenti indecifrabile.


In questo senso, non solo credo che tu abbia incontrato degli angeli, nella tua vita, ma credo che tu sia stato angelo per qualcuno. Sei stato raggiunto e ti viene chiesto di lasciarti anche oggi raggiungere da quella buona parola che a tua volta puoi portare agli altri. Ecco perché questa storia, al di là del suo sapore infantile e forse per te un poco retorico, è in realtà la TUA storia.  


Certo, tu mi dirai, oggi la tua vita è segnata da grandi contraddizioni e forse da grande dolore, con momenti di buio e di travaglio che si alternano a momenti di luce e di pace. E mi puoi rispondere che talvolta non ce la fai più.


Ebbene sì, è vero, la vita è questo intreccio, a tratti faticoso o anche insopportabile di miseria e di splendore, di squallore e di fiducia, di paura e di pace. Dio lo sa e questo racconto te lo dice: alla triste insignificanza di una nascita che non fa notizia e non ha rilievo su alcun giornale fa eco la grandezza del canto celeste, dell’annunzio che la paura può adesso essere vinta. Proprio in questo contrasto Dio è venuto. E’ venuto ad assumere su di sé esattamente questa contraddizione che per te, a volte, è così pesante da sopportare.


Cristo nasce nella notte, sorella e fratello, e la notte è il tempo della paura. Oggi – e non solo in Italia – la paura viene ogni giorno alimentata nei nostri cuori; invitati alla paura, ci guardiamo intorno con crescente diffidenza: paura del domani per la crisi economica, paura degli altri e in particolare del diverso; paura anche di Dio, che spesso ci viene ancora presentato come un giudice impietoso, come una divinità mai soddisfatta.


“Non temere” ci viene invece detto a Natale. Il contrario della fede non è l’incredulità, non è quel dubbio che ti accompagna da sempre e ti parla ogni giorno della tua umanità; il contrario della fede è la paura. Nel momento in cui la paura è assunta, in cui il coraggio di esistere e di amare si afferma, la fede nasce.


Adesso è possibile tenere insieme miseria e splendore, in ogni singola esistenza, anche per te, amica e amico che sei all’ascolto. Perché Dio è con te; non contro di te, non accanto a te, non al di sopra di te. Ma “Emmanuele”, Dio con te.


Concludo. Un altro grande scrittore del secolo scorso, per 25 anni, ininterrottamente, ogni anno, mantenne l’abitudine di scrivere una lettera alla madre lontana in occasione del Natale. Rainer Maria Rilke, come pochi altri, conobbe, sperimentò, cantò con la sua poesia, quel contrasto fra miseria e splendore. Quasi sempre assediato dalla solitudine, ogni anno, alla vigilia di Natale, alle sei  di sera, chiedeva alla madre lontana di raccogliersi con lui in un intenso momento di comunione e di fiducia. Mentre è a Tunisi, in Africa - dove nulla può evocargli i colori, gli odori, le atmosfere del Natale - scrive alla madre: “Questo è il Natale: avvertire dentro di sé, una volta l’anno, questa aspettativa, sentire che in fondo i nostri più grandi desideri, se solo apriamo loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi. Non possono non essere esauditi!”


Rilke tenne vivo, anche negli anni più bui della sua vita, il coraggio che aveva ricevuto dal canto degli angeli. Non temere! Non avere paura di assumere il carattere meraviglioso, eppure faticosissimo della vita quotidiana.


A chi gli chiedeva – e forse anche tu ed io saremmo fra questi – come si potesse continuare a credere alle parole degli angeli davanti alle domande inquietanti della vita (intorno a salute e malattia, vita e morte, ingiustizia e dolore) rispose un giorno: “Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e… cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che non possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse. Il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta.”


“Non temere” dunque, tu che – anche se non ti conosco - mi sei fratello e sorella nella fragilità e nella gioia, nella colpa e nel perdono, nella lotta e nella speranza. In attesa di quel giorno, in cui il senso del Natale apparirà in modo evidente e incontrovertibile nella tua vita, mettiti in marcia verso la mangiatoia di Betlemme. Anzi, proviamo a metterci in marcia insieme! Dio, il Dio che vuole accompagnarci e aiutarci proprio in virtù della sua debolezza, ti aspetta.


Sarà Natale quando Dio farà di te un angelo. E cioè quando ti sarà dato di trasmettere ad altri il segreto della mangiatoia di Betlemme. Amen.



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