mercoledì 3 dicembre 2008

Puffolandia




Questo è il promo contro la chiusura delle tre reti Fininvest in cui, sulle note di "Yesterday", si ripercorrono dieci anni di successi ed eventi trasmessi da Canale 5, Italia Uno e Retequattro.

(3 dicembre 2008)





Non è affatto una cattiva idea quella di ricorrere all’archivio per capire meglio perché sia paradossale la diatriba che oppone Sky a Mediaset, al punto da oscurare gli insani provvedimenti assunti in campo energetico. Uno scontro tra titani, lo Squalo contro il Caimano e il centrosinistra che, per non farsi mancare nulla, si schiera con il plutocrate straniero (da avversare allo stesso modo di quello italiano).


La storia si ripete, i lamenti pure, come sempre quando c’è di mezzo (difficile che non ci sia) l’ometto B., tessera P2 n° 1816. Si propone, così, la quintessenza del contrappasso. Perché correva l’anno 1984 quando fu la Fininvest, invece, a scatenare la teleprotesta. E intanto Rete4 continua a trasmettere abusivamente, nonostante i ripetuti pronunciamenti Ue, la medesima Unione citata adesso, con tanto trasporto, dai berluscloni.


Negli articoli sottostanti, tutti tratti da “la Repubblica”, è possibile leggere:


1.      il gustoso commento di Paolo Guzzanti, quando lo stesso esprimeva il meglio scrivendo (1984);


2.      le reazioni del mondo politico (1984);


3.      una significativa dichiarazione di Craxi (1984);


4.      la rubrica “Il sabato del villaggio” di Giovanni Valentini (2003).


 


 


MIGLIAIA DI TELEFONATE PER SAPERE PERCHE' SONO SCOMPARSI I PUFFI


di PAOLO GUZZANTI


ROMA - "Si è spenta quasi tutta la scatola", singhiozza un bambino al telefono. E un altro si è sepolto sotto al tavolo in preda a frustrazione incupita: si succhia il dito e non c' è verso di tirarlo fuori. Nelle città oscurate dai pretori ognuno conosce le reazioni dei bambini. Ma gli adulti? La gente della strada e del mercato, dell' autobus e della coda allo sportello, come l' ha presa? L' ha presa esattamente come i bambini. Ieri a migliaia hanno tempestato di telefonate Palazzo Chigi, la pretura, i giornali. Se i piccoli possono succhiarsi regressivamente il dito per avere smarrito i Puffi (i nani blu che imperversano da padroni sulle infanzie recenti), gli altri, gli adulti, hanno perso altre continuità, altre frequentazioni con la favola, salvo altère e sospette eccezioni. Hanno (difficile confessarlo) perso uno dei ritmi acquisiti della vita: colpiti nell' attesa, minacciati in un frammento di esistenza. I più incolleriti e disperati? Tutti coloro che non sanno nulla della questione politica delle televisioni private, delle leggi mancate e della grande partita a colpi di furbizia. E sono la quasi totalità: gente che non ha mai sentito la parola "interconnessione", ma che constata con rancore come il televisore di casa, un accessorio della vita, sia stato in qualche modo manomesso, guastato. Una signora anziana e sola: "So tutto su questa storia, ho letto i giornali. Ma quello che i giudici fanno è ingiusto anche se agiscono in nome della legge. La televisione privata, in questo paese che ignora i deboli, è diventata un servizio pubblico: che offre gratis emozioni, favole, sorrisi e anche qualche lacrima. A me piace piangere e passare il tempo. Sarà stata osservata la legge, non discuto. Ma c' è qualcosa di disumano in questa operazione: qualcosa che colpisce i più poveri e i più deboli nella loro fragilità, nei loro minuscoli equilibri di vita". La gente del bar, tassisti, pensionati, ragazzini e autisti di autobus in pausa, va meno per il sottile. La televisione ha i suoi simboli. Per loro il simbolo della Rai è Pippo Baudo; quello delle private Maurizio Costanzo. Di pretori e legislatori non ne sanno e non ne vogliono sapere niente: è un duello tra samurai, quello che loro vedono. E la Rai, ne sono sicuri, è l' untore che ha ammalato di peste il loro tv-color. Motivo per cui viene emesso uno strabiliante verdetto: "Se Pippo Baudo si crede che adesso io passo il sabato sera a sentire le sue scemenze si sbaglia. Magari vado al cinema". E infatti: può darsi che i cinema traggano qualche lieve beneficio dalle televisioni ammainate, ma non ci sono per ora riscontri. In un vecchio teatro Costanzo sta trasmettendo due serate in diretta (una con gli addetti, una con il pubblico) sul fattaccio dei network zittiti. E quelli di "Canale 5" vanno in giro con due troupes filmando umori e malumori. Nessuno che parli a favore? Nessuno che dica: "Bravo pretore, era ora. Troppi film, troppe telenovelas, basta con quest' orgia di cartoni animati, che diamine. E dove siamo? A Bengodi". D' altra parte, ascoltando e domandando, ci siamo resi conto che sì e no un italiano su cento si rende conto di che cosa e perchè è successo. Naturalmente tutti conoscono, dal telegiornale della Rai, i motivi formali. Ma la gente non è convinta: in dieci anni sono caduti tabù sessuali, comportamentali, linguistici e nessuno è disposto a credere che nel frattempo, zitto zitto, sia nato e si sia fortificato, fino a diventare un piccolo maciste, un altro tabù: quello detto "di interconnessione". Troppo astruso, troppo artificioso. Non c' è proporzione col danno. E infatti i soliti bambini, che sono i più irriducibili telefonatori di queste ore di privazione, telefonano al giornale facendo domande di questo genere: "Voglio sapere che cosa è un pretore e quanto conta". Oppure: "Ditemi con chi devo parlare per farmi rifunzionare il televisore: papà dice che non dipende dall' antennista ma dal giudice. E' vero?" Diffuso il senso di lesa libertà. Un gruppo di opinioni si sintetizza così: "Libertà vuol dire scegliere. Molta scelta, molta libertà. Meno canali televisivi, vuol dire diminuzione non tanto della libertà reale, ma del senso individuale della libertà". Molto sinteticamente: "Ci avete abituati così? Vuol dire che a qualcuno faceva comodo. Adesso esiste un diritto acquisito e collettivo che nessun giudice può toglierci senza commettere una grave ingiustizia". Il malumore è espresso con qualche nota di lagnoso pauperismo; invece di dire: "ridateci Dallas" si sentono soltanto tortuose doglianze sui minorati, gli anziani, i dispersi nei casolari campestri. Siamo, collettivamente, propensi al piagnonismo, ma è innegabile che qui sia stato rubato un giocattolo prezioso mentre altri (l' Italia finora graziata dai pretori) godono. Tutti coloro che aspettavano l' accoppiata Dallas-Dinasty (insospettabili fanciulli, cupi intellettuali) ora si corrodono: "Che cosa sarà successo mentre noi eravamo esclusi?". Condannati all' esclusione e alla separazione: roba da psicoanalisi. E colpiti nell' attesa, cioè nel tempo. Nessuno si fa scippare il tempo dall' orologio senza odiare lo scippatore.



 


ADESSO TUTTI SCOPRONO CHE OCCORRE UNA LEGGE


ROMA (d. b.) - I politici hanno scoperto che una legge di regolamentazione dell' emittenza radiotelevisiva è indispensabile, urgente e che la situazione attuale non si può procrastinare. Questo è più o meno il senso di tutte le dichiarazioni dei leader raccolte a caldo. Tutte indignate o preoccupate con poche distinzioni. La Democrazia cristiana per bocca del responsabile del dipartimento Comunicazioni sociali, onorevole Bubbico, fa sapere che presenterà a giorni una legge di pochi articoli "adeguata ed efficace per uscire dall' incertezza generale e dare a tutti certezza del diritto". Aggiunge l' esponente dc che "prima o poi doveva accadere. Nonostante tutti i bizantinismi che ritardano la definizione del sistema misto dato ovunque per un fatto compiuto e che invece episodi come quello odierno dimostrano che non esiste ancora". Anche il Psi presenterà una legge: sarà una legge quadro, a quanto afferma il vicesegretario Claudio Martelli, che coglie anche l' occasione per polemizzare col Pci che "paralizza la Rai rifiutando tutte le ipotesi prospettate dalla maggioranza per il rinnovo del consiglio di amministrazione". E naturalmente su questo è subito polemica. Veltroni, comunista: "A quanto ci risulta la maggioranza non ha nessuna proposta, tanto è vero che nel comitato ristretto i due relatori, democristiano e socialista, si sono presentati senza ipotesi concrete. Intanto il 30 novembre si avvicina". C' è anche la prima presa di posizione ufficiale del neoresponsabile socialista dei problemi televisivi, Paolo Pillitteri. "L' intervento del pretore" dice "desta stupore e preoccupazione per una serie di motivi: innanzitutto è quanto meno improprio nel momento in cui il Parlamento sta celermente esaminando ed elaborando la nuova legge sull' emittenza privata. Non solo, ma mettere i sigilli a una televisione non può non evocare sinistri interventi censori". L' intervento della magistratura, secondo Pillitteri non riguarda nè l' interconnessione, nè la diretta nè l' ambito nazionale, ma l' ambito locale e regionale che la giurisprudenza e la prassi avevano ritenuto legittimo. Anche il comunista Bernardi mette l' accento sulla mancanza della legge, ma ne attribuisce intera la responsabilità al governo, ai partiti di maggioranza e, in particolare, a democristiani e socialisti "che per otto anni hanno impedito al Parlamento di approvare una legge adeguata e che tuttora tendono a diluire e insabbiare i lavori del comitato ristretto che si è costituito alla Camera". I comunisti non si esprimono sulla sentenza del pretore, ma fanno riferimento a tutti coloro che l' avevano sottovalutata: "Oggi diversi pretori la rendono esecutiva dimostrando che nessuno stato di fatto è irrevocabile, che non vi sono santuari intoccabili, che l' arroganza di tutti questi anni alla fine non paga". Anche l' indipendente di sinistra Bassanini sottolinea le contraddizioni della maggioranza e l' inerzia del governo. Ma all' interno delle forze governative le voci si differenziano. Il ministro delle Poste, Antonio Gava, dice di sè che "deve tacere e studiare il problema, cosa che mi accingo a fare immediatamente, perchè la notizia mi è pervenuta durante il Consiglio dei ministri". Invece ha parlato subito il ministro dell' Industria, Renato Altissimo: "Il provvedimento preso è grave, in quanto mette di colpo un congruo numero di aziende in uno stato di incertezza imprenditoriale. Solleciterò che si prendano nelle sedi competenti e in termini di estrema urgenza le decisioni che da più mesi si impongono. Un' ipotesi potrebbe essere quella che pur ribadendo il divieto di interconnessione ed in attesa di una legislazione più ampia che riguardi tutto il settore, riconosca la facoltà delle trasmissioni in simultanea attuate mediante la messa in onda delle registrazioni". Dure reazioni anche del Pri, del liberale Battistuzzi, del missino Servello, del demoproletario Pollice e di molti esponenti sindacali. Intanto oggi il ministro Gava risponderà in Parlamento sul piano delle radiofrequenze. Nei giorni scorsi infatti si era molto discusso sulla possibilità delle emittenti radiofoniche private di sopravvivere dopo l' approvazione del piano internazionale di ripartizione delle frequenze presentato a Ginevra. Sarà naturalmente l' occasione per discutere anche del fatto nuovo di ieri. Il ministro oggi annuncerà la creazione di una commissione mista composta da rappresentanti della Rai e dei privati che si occupi, appunto, di un nuovo censimento dell' emittenza privata e delle frequenze. - nostro servizio



 


 


DOMANI CONSIGLIO DEI MINISTRI PER RIATTIVARE LE TV OSCURATE


ROMA - Se oggi non interverrà un provvedimento amministrativo che consenta di riaccendere su tutto il territorio nazionale i tre networks di Berlusconi, domani si riunirà il consiglio dei ministri per approvare un decreto legge in proposito. Lo ha detto Craxi mentre si recava in volo a Londra: "Ci vuole un provvedimento che ristabilisca la certezza del diritto in questa materia, l' eguaglianza di trattamento dei cittadini e il dominio del buon senso". E alla domanda dei giornalisti se si riferisse ai pretori ha poi risposto: "Certo non mi rivolgo ad ignoti". Il presidente del Consiglio ha infatti chiesto al ministro delle Poste Gava di emanare un decreto amministrativo di interpretazione dell' articolo 195 del codice postale. Dandone una diversa "lettura" verrebbero a cadere i motivi in base ai quali i pretori hanno disposto il parziale oscuramento delle tre reti. (…)


di DANIELA BRANCATI



 


E ora va in onda il pianto greco


Era la mattina del 16 ottobre 1984 quando nuclei della Polizia postale e della Guardia di Finanza, in esecuzione dei decreti penali firmati dai pretori di Torino, Roma e Pescara, disattivarono gli impianti per le interconnessioni televisive oltre l' ambito locale. Fino ad allora, sulla base delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale a partire dal 1976, le tv private non potevano trasmettere simultaneamente su scala nazionale, bensì su un territorio circoscritto. Nulla vietava dunque alla Fininvest di modificare il suo palinsesto, in modo da rispettare la legge e l' intervento della magistratura. E invece i telespettatori del Piemonte, del Lazio, dell' Abruzzo e di una parte delle Marche, sintonizzandosi quel pomeriggio sulle reti del Biscione, trovarono sul video soltanto nebbia, nevischio o sabbia. Molti pensarono subito a un guasto dell' apparecchio o dell' antenna, ma i canali della Rai e delle tv locali si vedevano perfettamente. Finché, alle 20,20, sui monoscopi della Fininvest apparve in quelle regioni un cartello: "Per ordine del pretore di Roma (o di Torino o Pescara - ndr) è vietata la trasmissione in questa città dei programmi di Canale 5 (o di Italia 1 o di Retequattro - ndr) regolarmente in onda nel resto d' Italia". I quotidiani dell' indomani accreditarono in buona fede la versione tendenziosa divulgata da Segrate. In realtà non si trattò di un "oscuramento" disposto dai pretori: era piuttosto una serrata, decisa dall' azienda per rendere più visibile la sua contestazione e provocare le reazioni del pubblico. Bastò infatti quel black-out di mezza giornata per scatenare le proteste degli spettatori, improvvisamente privati delle avventure dei Puffi per i loro bambini e più tardi delle puntate di Dallas o di Dinasty. Da lì a pochi giorni, toccò al governo socialista guidato da Bettino Craxi convocare d' urgenza il Consiglio dei ministri, nella giornata di sabato 20 ottobre, per emanare un controverso decreto-legge che sanava provvisoriamente la situazione e consentiva alla Fininvest di continuare le trasmissioni sul territorio nazionale. Un provvedimento ad personam, definito dallo stesso governo "eccezionale e temporaneo", destinato a durare un anno, in attesa di una riforma generale della televisione che ancora aspettiamo. Dal fronte dell' opposizione, a nome del Pci fu Walter Veltroni ad avvertire: «Il decreto che si va profilando è assurdo e incostituzionale, poiché legittimerebbe quel monopolio privato che la Corte costituzionale ha respinto sin dalla sentenza del 1976». E con una certa preveggenza, aggiunse: «Se fosse riconosciuto per decreto-legge l' impero di Berlusconi, sappiamo tutti che la regolamentazione non si farebbe più, perché le stesse forze politiche che hanno bloccato la legge per favorire il costituirsi del monopolio privato, una volta questo fosse addirittura legittimato, non avrebbero più interesse a regolare il sistema». Decaduto una prima volta, il provvedimento verrà disinvoltamente reiterato e poi, al limite della legittimità costituzionale, beneficerà di un' ulteriore proroga sine die. Fino alla famigerata legge Mammì dell' agosto '90, con cui il governo del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) ratificò il fatto compiuto, per arrivare ai giorni nostri con l' approvazione della legge Gasparri e la solenne bocciatura del Capo dello Stato.


* * *


SONO passati vent' anni e la storia purtroppo si ripete. Ora, dopo il veto del Quirinale, sulle reti Mediaset va in onda il pianto greco, come quello della tragedia classica. Va in onda anzi a reti unificate, visto che al coro si associa anche il direttore generale della Rai, dimostrando una volta di più il livello di subalternità raggiunto dall' azienda pubblica nei confronti del polo televisivo privato. Quest' ultima replica si potrebbe intitolare "Il ricatto occupazionale" ovvero "La minaccia dei licenziamenti in massa". Come accadde già nel 1984 per la "rivolta dei Puffi", e successivamente durante la campagna per il referendum sulle tv, anche adesso si tende a innescare la teleprotesta popolare. Ma è soltanto l' ennesima mistificazione di un potere mediatico che si difende con le stesse armi che detiene abusivamente, cioè in un quantitativo illegittimo, come ha sentenziato più volte la Consulta e hanno ribadito anche le Autorità di garanzia. Di fronte a una disciplina antitrust, com' è appunto quella che riguarda Retequattro, l' alternativa è semplice: o viene applicata alla lettera (in questo caso, con il trasferimento della rete sul satellite) oppure si cede il ramo d' azienda che supera il "tetto" della concentrazione. Così si può allargare il mercato ad altri soggetti, si possono aumentare il pluralismo e magari i posti di lavoro. Altro che licenziamenti, ristrutturazioni o tagli occupazionali. Altro che "salvataggio" di Retequattro: è necessario salvaguardare l' intero sistema dell' informazione. Se avesse voluto rispettare le regole, dalla sentenza della Corte costituzionale del '94 alla legge Maccanico del '97, il gruppo Berlusconi avrebbe avuto tutto il tempo per mettere Retequattro sul mercato, aprire trattative e spuntare il prezzo migliore per il suo avviamento: magari ritoccando per le altre due reti le tariffe pubblicitarie che sono tuttora le più basse d' Europa, a danno della concorrenza e degli altri media. La verità è che il governo e la maggioranza di centrodestra hanno cercato fino all' ultimo di scardinare le norme antitrust con il grimaldello della legge Gasparri, arrivando a quindici giorni dal "termine perentorio" del 31 dicembre 2003 fissato un anno fa dalla Consulta, per ricorrere infine a un nuovo decreto-legge ad personam, anzi ad aziendam, nel grottesco rimpallo di responsabilità sulla firma tra il premier e il vicepremier. E con la stessa arroganza del potere, si minaccia adesso di abolire o modificare la "par condicio", quasi ad attuare una ritorsione o una rappresaglia. Rispetto alle reazioni intolleranti (e intollerabili) del dottor Confalonieri, alle lamentazioni di Emilio Fede, ai 700-800 posti che sarebbero in pericolo a Retequattro, viene proprio da chiedere: quanti sono i giornalisti o gli altri dipendenti delle aziende editoriali, delle tv locali, delle radio o dei portali Internet, licenziati negli ultimi anni, pre-pensionati, non assunti o impiegati in modo precario, anche a causa dello strapotere televisivo e pubblicitario del Biscione? E che dire di un' emittente come "Europa 7" che nel '99 ha ottenuto regolarmente una concessione televisiva nazionale, ma non ha ancora materialmente le frequenze per trasmettere perché quelle disponibili sull' etere non sono sufficienti per tutti? Qui non si tratta di fare la guerra fra la tv o la carta stampata. Si tratta semplicemente di garantire, attraverso un' equilibrata ripartizione delle risorse, le condizioni minime per tutelare il pluralismo e la libera concorrenza in un settore nevralgico come questo. Poi, certo, a decidere gli investimenti e a scegliere i mezzi più idonei dev' essere il mercato. Ma all' interno di regole e limiti stabiliti - come in tutti i sistemi capitalistici - in nome della democrazia economica.

Giovanni Valentini





(1 dicembre 2008)

3 commenti:

  1. sregolatezzadicembre 04, 2008

    Ciao, ottimo resoconto. Purtroppo tutto in Italia è assurdo, ad iniziare dai politici e dai loro conflitti d'interesse. Non riesco però a vedere i primi due video, potresti cortesemente ricontrollare il link originale? Grazie e a presto.

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  2. Frank, non ho parole. Che Sky faccia i suoi interessi e' piu' che legittimo ma che si faccia passare l'aumento dell'IVA come "un aumento delle tasse per le famiglie" non ha dell'umano!!!! Ma le famiglie mangiano pane e Sky per caso?

    Perche' non si fa piu' casino per la quasi eliminazione per i benefici fiscali per il risparmio energetico?

    Ma che opposizione e'???

    Artemisia

    (sempre piu' desolata)

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  3. sregolatezza, grazie. A cause delle loro assurdità stiamo sprofondando e il mai risolto conflitto d'interessi accresce lo stato di disagio. Anche se è non è ovviamente l'unica causa della regressione morale. Spero che nel frattempo i video siano diventati visibili.

    Ciao.

    sermau, sempre puntuale.

    Artemisia, spero meno desolata. La domanda me la sono posta anch'io e risulta essere una domanda platonica, perchè l'ambiente, la devastazione del pianeta non sono certo in cima ai pensieri della classe dirigente. Leggi l'illuminante conclusione dell'editoriale di Barbara Spinelli che ho postato poco fa. Se non ripartiamo dalla consapevolezza che l'uso dissennato delle risorse sarà la rovina nostra e delle generazioni a seguire, avremo poca strada da fare. Ma tanto "Silvio c'è"... E l'opposizione è ombra...

    Un caro saluto :-)

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