lunedì 8 dicembre 2008

La persuasione occulta ai tempi della crisi





È un editoriale bello e impegnativo quello che ha scritto Barbara Spinelli su La Stampa di ieri. È un articolo che sollecita riflessioni, impone di fermarci per capire e comprendere quale sia il modo più efficace e sensato di fronteggiare la crisi che si è aperta. L’ho trovato molto stimolante, al punto da proporlo esaltando la peculiarità del Web tramite i link, perché numerose sono le citazioni.


L’ho detto: è impegnativo, ma vale la pena arrivare fino in fondo laddove si condensa l’insegnamento appropriato che è anche un ammonimento all’irragionevole spensieratezza che ci ha portato al consumismo più esasperato, quello che – per esempio - ha paganizzato la festa religiosa per antonomasia che è il Natale. E che, gabellando per progresso l’inaudita espansione edilizia, in quindici anni ha invaso con “catrame e cemento” un’area pari a quella di Lazio e Abruzzo. Oltre tre milioni e mezzo di ettari. Un territorio sottratto, appunto, ai nostri figli.


 


La crisi come occasione


BARBARA SPINELLI


 


La parola crisi è tra le più tentacolari che esistano nel vocabolario: più che una parola, è albero dai rami incessanti. In greco antico significa un gran numero di cose tra cui: separazione, scelta, giudizio. Il verbo, krino, vuol dire anche decidere. In medicina si parla di giorno critico o di giorni critici: per Ippocrate (e per Galeno nel secondo secolo d.C.) è l’ora in cui la malattia si decide: o precipita nella morte o s’affaccia alla ripresa. È il punto di passaggio, di svolta. Il termine riapparve nei sommovimenti enormi del ’700: nella rivoluzione francese, in quella industriale. La vera crisi, per Burckhardt, non cambia solo i regimi: scompone i fondamenti della società, come avvenne nelle migrazioni germaniche. Quel che la caratterizza è la straordinaria accelerazione del tempo: «Il processo mondiale d’un tratto cade in preda a una terribile rapidità: sviluppi che solitamente mettono secoli a crescere, passano in mesi e settimane come fantasmi in fuga» (Jacob Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale).


Il concetto di crisi fu evocato con affanno sempre più frequente dopo il primo conflitto mondiale. Lo storico Reinhart Koselleck la chiama «cataratta degli eventi» e sottolinea il suo volto ambiguo: è una condanna, ma anche un’occasione che ci trasforma. Nel Vangelo di Giovanni (5, 24) Gesù la raffigura come temibile: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». Nella versione greca, andare incontro al giudizio è letteralmente «entrare nella krisis», nel processo. Al tempo stesso crisi è intelletto all’opera, che redime: «L’uomo che non ha alcuna krisis non è in grado di giudicare nulla», scrive Johann Heinrich Zedler nell’Universal-Lexikon del 1737.


Anche la crisi che traversiamo oggi è «vera crisi»: momento di decisione, climax d’un male, e se ne abbiamo coscienza, occasione. Uscirne è possibile, purché non manchi la diagnosi: secondo Galeno, i giorni critici sono valutabili solo se l’inizio del male è definito con precisione.


Gli economisti non bastano a tale scopo, e ancor meno i politici. Spesso vedono le cose più da vicino i letterati, i filosofi, gli storici, i teologi, i medici. Se la società è un corpo - dagli esordi è la tesi dei filosofi - questi sono i suoi giorni critici: può morire o guarire, mutando forma e maniere d’esistere.


Pietro Citati individua la radice del male nella passione dei consumi: frenesia che descrive con parole deliziose, ironiche, sgomente, evocando la telecamera americana che nel 1952 riprese una massaia che s’aggirava nel supermercato (la Repubblica, 3 dicembre 2008). La camera registra i movimenti delle sue palpebre ed ecco d’un tratto i battiti crollano davanti agli scaffali, fino a raggiungere la media di quattordici al minuto, da trentadue che erano: «Una media subumana, come quella dei pesci; tutte le signore precipitavano in una forma di trance ipnoide. Molte erano così ipnotizzate, che a volte incontravano vecchi amici e conoscenti senza riconoscerli e salutarli». Sono decenni che nuotiamo come pesci, gli occhi sbarrati, consumando senza fiutare la crisi: scriteriati. Questo ci ha cambiati profondamente. In America ha distrutto il risparmio.


Ovunque, politici e responsabili finanziari sbigottiscono davanti all’incanto spezzato (alla bolla scoppiata). Vorrebbero che la stoffa di cui è fatto - l’illusione - non si strappasse mai: perché le campagne elettorali son cucite con quei fili, vivono della chimera d’un progresso ineluttabile, senza costi. L’America dopo il Vietnam respingeva le guerre: le voleva «a zero morti». Poi ricominciò a volerle, ma «a zero tasse». Importante nell’ipnosi è accaparrare sempre più, anche se mancano i mezzi: l’ipnosi, restringendo la coscienza, è il contrario della crisi.


In America finanza e politica estera sono «entrate nella crisi» simultaneamente. Il 7 agosto inizia la guerra georgiana, e pure i ciechi scoprono che Washington non può alcunché: ha aizzato Saakashvili, ma senza mezzi per sostenerlo. Esattamente un mese dopo, fra il 7 e il 16 settembre, scoppia la bolla finanziaria (salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, poi bancarotta di Lehman Brothers, poi salvataggio di Aig). Per decenni si è sentito dire: ci sono compagnie troppo grosse per fallire. Era menzogna: non erano troppo grandi né Lehman, né l’impero Usa. Le bolle esistono nella finanza, in politica, nelle teste. Sono i giorni critici della nostra mente.


La trance ipnoide ha stravolto modi di vivere, di convivere con l’altro in casa e nel mondo. Ci ha chiusi nella sfiducia. Lo storico Andrew Bacevich lega tutte queste esperienze, e racconta come dall’impero della produzione l’America sia passata, ancor prima di Reagan, all’impero dei consumi (The Limits of Power, Metropolitan Books 2008). Nel tragitto si son perse (specie in America) nozioni fondanti: la nozione del debito, che nella nostra cultura non è senza colpa ed è divenuto un fine positivo in sé, incondizionato. La nozione della fiducia, senza cui ogni debito degrada. La nozione del limite. Il Padre nostro dice, in Luca 11, 2-4: «Perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore». In ebraico peccato e debito sono un’unica parola. La poetessa Margaret Atwood ricorda come il concetto di debito - essenziale nel romanzo dell’800: Emma Bovary si suicida perché un creditore non ripagato minaccia di rivelare il suo adulterio - sia oggi vanificato (Payback: Debt and the Shadow Side of Wealth, Toronto 2008). Soprattutto in America, le banche spingono all’indebitamento, più che a prudenza e risparmio. Scrive Zygmunt Bauman che un debitore che vuol restituire puntualmente (che «pensa al dopo») è sospetto: è «l’incubo dei prestatori». Non è «di alcuna utilità», perché il debito riciclato è fonte prima del loro profitto costante.


Ma il debito sconnesso da fiducia non è pungolato solo da banche o Wall Street. È un ottundersi generale dei cervelli, è l’ebete pensare positivo che il governante invoca con linguaggio sempre più pubblicitario, sempre meno politico. Main Street - che poi siamo noi, cittadini e consumatori - è vittima tutt’altro che innocente di Wall Street. Come nel Grande Crollo del ’29 descritto da John K. Galbraith, siamo affetti da una follia seminale (seminal lunacy) che accomuna potenti e milioni d’impotenti. Per questo è così vacuo il politico che incita a ricominciare i consumi come se niente fosse. Il suo dichiarare, i linguisti lo definiscono performativo: basta dire «la crisi non c’è», e la crisi smette di essere (le dichiarazioni performative sono predilette da Berlusconi). I politici sono responsabili, avendo ceduto a un mercato senza regole. Ora intervengono, ma senza curare la fonte del male. La crisi, cioè la svolta trasformatrice, è rinviata.


Naturalmente hanno le loro ragioni: il crollo dei consumi farà male. Stephen Roach, presidente di Morgan Stanley Asia, ricorda che comporterà disoccupazione dilatata, ulteriori cadute dei redditi e del valore delle case, aumento dei debiti, credito scarso. Ma qualcosa di non negativo può nascerne: un rapporto col debito più realistico e leale, una fiducia riscoperta, un consumo adattato alle possibilità (New York Times, 28 novembre).


Crisi vuol dire decidere, a occhi non sbarrati come la massaia del ’52 ma aperti: sul peggio sempre possibile, sulle bugie del pensare positivo, sulla duplice responsabilità verso la Terra che roviniamo, e verso i figli cui addossiamo i nostri debiti. Terra e figli sono i nostri discendenti: ignorarli perché i loro tempi son più lunghi dei nostri e perché non abiteremo il loro mondo (un mondo con meno petrolio, meno automobili) è senza dignità e chiude speranze altrui. Crisi è sottoporsi al giudizio, al processo. È ora che il processo cominci.


La Stampa (7 dicembre 2008)

8 commenti:

  1. Sì, non delude mai la Spinelli.



    In verità questo commento ha lo scopo prioritario di salutarti :)

    Cari saluti, quindi.

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  2. Veramente un bell'articolo!

    Chiaro soprattutto su come NON comportarsi per affrontare la crisi: basta non fare quello che dicono i politici!

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  3. astime, vero, è un'eccellente giornalista.

    Grazie per la priorità e ricambio con piacere i tuoi cari saluti.

    :-))))))))))

    SergioYYY, appunto è la sintesi perfetta. Perchè poi l'invito a dilapidare quel poco che si ha è da mentecatti. E lui è il loro sire.

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  4. Ottimo articolo che afferma molte verità.



    Però intorno a me continuo a vedere persone, anche senza grandi disponibilità economiche, che non rinunciano ai consumi inutili, quelli che tolgono il pane di bocca.

    Poi c'è il politico-piazzista, alias Berlusconi, che continua a vendere fumo. Io non alimento i consumi per fargli un piacere, ma sto molto attenta a quello che faccio, perché se finissi in miseria non sarebbe Berlusconi né qualche altro politico ad aiutarmi.

    Romina

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  5. santealtiziodicembre 11, 2008

    barbara for president!

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  6. Valeva la pena arrivare fino in fondo: bell'articolo, un modo lucido di riflettere sul tema crisi e le sue reali implicazioni. Grazie.

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  7. Grazie per aver proposto questo bell'articolo! :)

    Anna

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  8. sermau, ancora grazie :-)

    Romina, ha vinto lui anche in questo, inducendo cioè una coazione ad acquistare anche quando un minimo di buon senso suggerirebbe ponderazione. Ma pure il buon senso è scomparso. E i consumi superflui vengono incoraggiati ad arte. Non si tratta di lettori della Spinelli.

    Sante, d'accordissimo.

    kittymol77, grazie per aver apprezzato. Vorrei averla io quella lucidità che permette di vedere e capire meglio. In mancanza propongo ciò che mi colpisce condividendolo.

    Anna, grazie a te per aver apprezzato :-)

    Cari saluti.

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