giovedì 22 maggio 2008

L'istruzione perduta


Ripensando a “Gomorra”, l’eccellente film di Matteo Garrone (che invito tutti a vedere, qualora non fossi stato chiaro nel post precedente), torna utile questo pezzo scritto, come sempre benissimo, da Curzio Maltese per la rubrica Contromano de il Venerdi di Repubblica (16 maggio 2008). Infatti, in “Gomorra”, l’unico a salvarsi, abbandonando Franco (Toni Servillo), l’imprenditore che si occupa dello smaltimento dei rifiuti tossici, è Roberto il suo assistente neolaureato. In altri termini è colui meglio attrezzato intellettualmente a rendersi conto che quel percorso è deleterio, chiedendosi a cosa serva salvare un operaio a Mestre mentre ne muore uno a Mondragone.


Ha pienamente ragione Maltese: un’emergenza reale, quella relativa all’istruzione, è stata rimossa, mentre altre emergenze fittizie e strumentali (basti pensare a quelle relative a rom e immigrati, per esempio), straripano dalle prime pagine di molti quotidiani e tracimano dai notiziari televisivi che sono i più subdoli. Tutto ciò nell’Italia della mafia, ’ndrangheta e, appunto, camorra che, quanto a sicurezza, ne offrono invece tanta, al punto che di ronde in Campania, Calabria e Sicilia non esiste l’ombra. Perché disturbarsi?


 


La scuola, vera emergenza dimenticata


Alcuni problemi italiani si spiegano con le ultime statistiche dell’Istat sul livello culturale del Paese. L’Italia è in fondo alle classifiche dei 27 Paesi europei per scolarizzazione, rendimento scolastico, investimenti nella pubblica istruzione, consumi culturali delle famiglie, conoscenza delle lingue straniere, ma anche della lingua madre. Siamo in testa invece per abbandono scolastico e ore trascorse davanti alla televisione. Altre ricerche provano che il sessanta per cento degli italiani non è in grado di leggere e capire un articolo breve.


Dati come questi dovrebbero aprire un grande dibattito sul fallimento del sistema scolastico e sulle preoccupanti prospettive di una nazione così arretrata. Naturalmente non è avvenuto nulla di tutto questo. Il giorno dopo le statistiche erano dimenticate. Il nuovo ministro dell’Istruzione, una simpatica giovane bresciana, certa Mariastella Gelmini, ha promesso una rivoluzione meritocratica nel sistema scolastico. L’ha detto mentre posava per la foto ricordo accanto a Mara Carfagna, ieri soubrette, oggi ministro: un modello (o una modella?) per le giovani ricercatrici. Per la verità, non credo che la signora Gelmini, con tutta la buona volontà, riuscirà a fare peggio dei suoi predecessori, di destra e di sinistra. L’ultimo ministro della Pubblica istruzione, Beppe Fioroni, mi aveva fatto riflettere sulla possibilità di non mandare mio figlio alla scuola dell’obbligo.


I dati dell’Istat certificano che il sistema scolastico italiano è fallimentare. Non stiamo ora a discutere di chi sia la colpa, se dei pessimi ministri, degli insegnanti o degli studenti, dei sindacati o della tv o del clima. La realtà è che la scuola è fallita e bisognerebbe porvi rimedio. Almeno bisognerebbe cominciare a pensarci. Ma qualcuno lo considera un problema? Nell’ultima campagna elettorale l’istruzione non era neppure fra i primi dieci o venti temi di discussione.


Per non addossare sempre la responsabilità al ceto politico, occorre ammettere che non figurava neppure fra i primi problemi segnalati dall’opinione pubblica. Qualcuno potrebbe obiettare che se l’istruzione fosse un problema avvertito dall’opinione pubblica, forse non saremmo da 14 anni in balia del padrone delle televisioni. Eppure questa è la prima questione che un serio riformismo dovrebbe porre all’attenzione generale. Non saranno la microcriminalità, l’immigrazione, la burocrazia, la pressione fiscale, la Cina o l’India a renderci più poveri nei prossimi anni. Saranno quei dati sull’istruzione, la più importante delle cento statistiche presentate dall’Istat, la meno considerata.


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