giovedì 29 maggio 2008

La festa di tutti


Il blog si concede una breve pausa, tuttavia voglio lasciare un post multiplo, o se preferite extralarge. Si tratta di pezzi che hanno attirato la mia attenzione per motivi diversissimi e riflettono fatti di cronaca delle ultime settimane. Al mio ritorno sarebbero apparsi datati, sebbene la riflessione non possa esaurirsi così in fretta. Gli argomenti, comunque, non mancano.


Vi auguro buona festa della Repubblica, una Repubblica così vilipesa dalla rinnovata arroganza fascista e dalla sciatteria di una classe dirigente mai così autoreferenziale e miope. Aggiungo, in coda, un particolare saluto ad una persona che passa spesso da queste parti senza lasciare traccia di sé, lettrice muta che mi onora con la sua attenzione dalla solare Sicilia.


 


Napoli la nostra saccheggiata memoria



O Napoli, la cui bellezza brilla nella notte come una maledizione. O città dai profondi occhi neri e dalle lunghe e forti mani, dalle tue spalle larghe come l' oceano, ti sei lasciata andare. Hai abbassato lo sguardo, hai abbassato la guardia; ed eccoti, contaminata come un volgare luogo che persino i ratti hanno disertato. Napoli e la sua periferia; la città e le sue terre senza vita, i suoi corpi che hanno perso qualunque cosa; le foglie e la linfa; il colore e il fruscio che fa sognare gli uccelli. Napoli è un enigma, un volto dietro altri volti, uno spirito in cui il vizio e la virtù si mescolano e si scambiano i ruoli, e se la ridono di tutto.  TAHAR BEN JELLOUN


La città dalla memoria saccheggiata

la Repubblica — 12 aprile 2008   pagina 10   sezione: NAPOLI

(segue dalla prima di cronaca) Il cittadino impara che ciò che vede non è ciò che esiste; o piuttosto, ciò che appare è solo un velo steso su altre cose, dal dramma alla fantasia, dove la morte danza su una Vespa giù per viali scuri che somigliano a labirinti. La Morte, uno scherzo dubbioso, una figura; l' evidenza di una stagione, che sviene. Al momento, ha messo in scena uno spettacolo dato da mucchi di immondizia che continuano a crescere, sempre più in alto, fino al cielo. Napoli è un miscuglio, è un piatto cucinato da più mani, con spezie che provengono da terre lontane e odori che uniscono la quintessenza dei fiori con i residui putrefatti di sardine lasciate sui marciapiedi dai gatti. Napoli è una città con talmente tanti amanti che i suoi alberi hanno perso i loro frutti. I suoi spettri hanno smarrito la loro criniera e le sue strade hanno perso il loro nome; perché Napoli è stata seppellita come qualcosa di cui vergognarsi sotto cumuli di sudiciume su cui prospera il polline della malattia, del colera e della peste, fate la vostra scelta. Persino il vento dà il suo contributo nel trasportare il miasma nauseabondo. Napoli è stata denudata, poi dimenticata, come una sposa abbandonata durante la prima notte di nozze. Nessuno più la protegge, neanche i briganti che le devono la loro fortuna. Come in un deserto dopo una battaglia, i quartieri che vegliavano sulla bellezza di Napoli sono andati in declino. Sono diventati piaghe aperte sotto un cielo moribondo, negli occhi sconfitti di estranei disorientati. Bisogna implorare le parole affinché esprimano pietà, se vogliamo raccontare come le ferite di San Giorgio o San Antonio potrebbero essere curate. Devi chiedere al vento di prendere un' altra strada; non c' è nulla qui per cui abbia un senso venire. Si aspettano buone notizie, come durante il tempo di guerra; e non ne arrivano mai. I sacchetti si accumulano su altri sacchetti e si ergono come lo sfondo di una rappresentazione teatrale che parla della fine del mondo. La memoria di Napoli riposa, adesso, in così tanta sporcizia. Cosa potrebbe una mano, seppur ben intenzionata, tirare fuori da questo magma che non ha senso? Tutti gli specchi sono impazziti, riflettono altri volti, nuove immagini in cui i bambini camminano a testa in giù. La paura cresce come una voce e fa dei buchi nei corpi. Si tratta di un' epidemia, di soldi sporchi e di trafficanti di tutto ciò che può essere venduto o comprato. I cani sono tristi. Si aggirano senza meta, rispondendo con lamenti alla follia degli uomini. è un mare che arriva fin dove comincia la città, pieno di oggetti e rimorsi lasciati da Napoli. Tutta l' immondizia parla della vita; ci sono pelle e ossa, avanzi di esistenza. Ogni sacchetto contiene una piccola vita. Ci sono detriti di cucina, cibo andato a male, giocattoli rotti, uno spazzolino da denti consumato, una scarpa, pomodori marci e molta merda. La merda è umana! che luogo comune! che osservazione! C' era bisogno di questa invasione di schifo per mostrare che l' uomo - guarda un po' - non è quella creatura raffinata che balla con una rosa all' occhiello. Napoli e i suoi territori sotto incredibili quantità di spazzatura, è il futuro del mondo. è una sorta di violenza che acceca. E gli occhi guardano altrove. Verso la modestia, forse verso la paura. Ma cosa accadrebbe se i topi sazi scendessero nella città per una interminabile parata? E cosa dire se questi cominciassero ad attaccare i bambini che dormono? Topi e mosche. Topi e corvi. Topi e morte, che volteggiano sulla città. è il barile di polvere da sparo di una guerra senza un nome. Tra la strada e la città, il letto di un fiume seccato, la frontiera d' immondizia di un' umanità impoverita. A loro viene detto che le cose semplicemente stanno così. A loro viene detto che è colpa del governo. A loro viene detto che si tratta dell' immondizia degli immigrati clandestini, su cui nessuno può nulla. A loro vengono dette così tante cose che persino i gatti, i cani randagi e le talpe ci credono. C' è una stagione senza un nome. Ma è calda e piena d'ombra, piovosa e metallica; una stagione che brucerà negli occhi dei bambini. Quella che solleverà tutta la polvere di questo business. La bellezza verrà resa livida; la memoria ingiallirà; la passione svanirà nella cenere di un fiume fatto di parole. Il centro è stato risparmiato. Ma al di là di esso vite (e frammenti di vite) sono esposte al sole. Cosa fa lì quel divano, in cotone o in pelle; un' imitazione della poltrona Manchester, lì tra verdura marcia e lenzuola sporche e lacerate; la ruota di una bicicletta (probabilmente rubata), una borsa in finta pelle, uno scatolo di cartone pieno di stracci; e rami asciutti per coprire e nascondere tutto? I sacchetti sono squarciati come cadaveri dopo una rappresaglia, corpi aperti verso il cielo, e il sole sopraggiunge attirando tutte le mosche del mondo. Ciò accade a Pozzuoli, un luogo dove le persone vivono al rallentatore. Ma cosa ne è stato della grazia che regnava a Napoli? è sprofondata come la vergogna o la modestia. è scivolata via in una mattina quando tutto ciò è cominciato. Napoli e le sue periferie puzzano di merda e marciume! Stanno perdendo i loro gioielli per sempre, le loro perle, le loro collane di corallo; la tiara delle spose e il loro abiti bianchi; la vita è spezzata, e il tempo sta spezzando tutto ciò che viene gettato via; che nessuno raccoglie! A Marigliano, Bacoli o Acerra l' incubo non è più un sogno spaventoso che sveglia bambini spaventati. L' incubo è una statua, che si erge nel quartiere per annientare la dignità del popolo onesto; un incubo che cresce giorno dopo giorno, che rilascia i suoi effluvi e le sue muffe, come in una messa in scena della sventura che fa a pezzi le persone. Una lettura politica di questo massacro è sibillina. Come si fa a individuare i responsabili, quelli che tirano le fila, quelli che ne traggono vantaggio e, infine, quelli che stanno insultando la città? Duro stabilire la differenza tra quelli che hanno conservato la loro dignità e quelli che l' hanno gettata via. Come un vulcano spento, senza più un raggio di speranza, ci affacciamo al balcone e contempliamo il danno che gli esseri umani sono in grado di causare. è la parodia della vita, una vita oscurata e avvolta in sacchetti di plastica che sopravviveranno a noi per tutta l' eternità. è colpa del vento che sparge tutt' intorno pezzi di carta e di plastica, dando l' impressione di guardare il mare, un mare bianco e nero, talvolta grigio. Il blu è stato sacrificato. Un mare pesante e gonfio, come una vecchia donna che rovista tra i rifiuti in cerca di cibo. Siamo qui a Villaricca, sull'orlo di una presagita catastrofe. L' orizzonte abbattuto dalla fatica. Non lo si vede più. Quante ferite da curare! Quante paure da attenuare! Noi non portiamo più la testimonianza di tutto ciò nei nostri cuori e nelle nostre mani. Napoli continua a sprofondare, come una bella donna intontita dall' alcol. Perde la sua luce, i suoi sogni, le sue illusioni. Che sia a San Giuseppe, a Monterusciello o a Pianura, le sue stelle sono eclissate. Il suo cuore non è più lì. Questi mucchi di effimere rovine hanno rotto i suoi specchi. I suoi occhi pallidi vengono a riposarsi su questa bruttezza e si guardano intorno cercando un paese in cui dormire. Quest'albero ridotto pelle e ossa si erge come a sfidare l' ambiente di sacchetti che lo circonda. Non serve ad alcuno scopo. è l' albero di quest' autunno che ha rovinato la città. è un albero che fa da testimone, come la statua di Giacometti, isolato in un deserto di schifo e di rinunzia. è orgoglioso e poetico. Un nonsenso su un pontile immobile. Questa casa è stata assaltata da orde di schifo. è circondata. I sacchetti presto arriveranno in alto e, sommersa, essa sparirà come in una fiaba del tempo che perde le sue radici. Per il momento, si tratta di territori occupati, dal destino incerto. Noi continuiamo a vivere e morire qui. Per uscire dalla bara, le braccia distese in avanti per sgomberare il cammino, appena per il tempo necessario a creare una via d' uscita; poi tutto torna al suo posto, in un' eternità che spezza il cuore. René Char ha detto: «Nessun uccello ha il cuore di cantare in un cespuglio di domande». In questa fauna di spazzatura che si decompone all' infinito, nessun poeta ha il cuore di cantare le bellezze di Napoli. L' uccello non abita più l' albero. L' albero non ha più la dignità di un albero. I poeti sono in lutto a causa di tanta, organizzata bruttezza. Nessun ulteriore diritto alla frivolezza; nessun ulteriore spazio per il vecchio dibattito, Napoli versus Venezia. Un' immagine rovinata. Un cuore stretto e stropicciato. Nessun ulteriore sapore può essere estratto da questo spreco monumentale. Ci sono numerosi percorsi che conducono a Napoli, ma solo una memoria: la residenza della segretezza. Tutti questi sacchetti attorno alla città sono rumori assordanti. Gli uomini gridano, e nessuno li sente. I sacchetti avanzano come trasportati verso la città da un vento malefico. I bambini ne sono divertiti; poi, rattristati, si accontentano di sognare una città pulita governata da mani pulite, protetta da voti puliti. Napoli aspetta il suo Redentore. Forse si tratta solo di un' allucinazione. Il giorno e la notte si intrecciano nella carta stagnola. è una questione di solidarietà, come quando Napoli era una città aperta. Una città imbiancata a mano, i seni che sfidavano il crimine e l' ignoranza. Napoli non sarà il rottame o l' errore di un dramma da cui così tanta umanità si è assentata. -
TAHAR BEN JELLOUN


 


Se l'inferno è un'abitudine


di ALDO SCHIAVONE


La cosa più straordinaria che sta accadendo a Napoli in questi mesi ancora non l'ha raccontata nessuno. Eppure è sotto gli occhi di tutti, nuda, visibilissima, incomprensibile. Ed è semplicemente che mentre da ogni parte ci si affanna a descrivere un popolo in ginocchio e prostrato dal disastro, loro, invece, i napoletani, stanno rimanendo in piedi, "a farsi i fatti propri", come qui si impara prestissimo a dire.

E tutto, nell'immenso e sformato corpo urbano, continua a scorrere e ad andare in qualche modo avanti, in quella "quasi normalità" insieme parossistica e quieta che sembra sempre sull'orlo del precipizio, ma che poi non collassa mai davvero, e che è diventata, non saprei più dire da quando, l'autentico tempo storico della città.

L'altro giorno D'Avanzo su "Repubblica" citava Calvino, le battute finali di "Le città invisibili". Aveva ragione, è quello che viene in mente pensando a Napoli. "Accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più". E proprio questo è accaduto: i napoletani, pezzi cospicui delle vecchie borghesie, ma anche ampi strati popolari fino a qualche tempo fa orientati dalla classe operaia e ora senza più guide e riferimenti, hanno accettato l'inferno che gli cresceva intorno; vi si sono adattati, e ormai fanno persino fatica a riconoscerlo, tanto per loro è consueto. Hanno imparato ad avere accanto la camorra, una presenza capillare, quotidiana, che può togliere il respiro. Hanno assimilato il degrado urbano come sfondo "naturale" della loro esistenza. In cambio, hanno potuto coltivare, spesso anche con grande successo e qualche nobiltà, il proprio particolare, "i fatti propri", si sono conquistati la possibilità di continuare a mantenere un profilo sociale definito, un livello di consumi mediamente alto per quanto, in alcune fasce sociali più esposte, spesso distorto da bisogni indotti e fittizi; sono riusciti a non perdere i contatti con la modernità economica globale e le sue occasioni, ad allargare uno spazio di crescita individuale e familiare in molti casi tutt'altro che secondario.

E in effetti, mai come oggi Napoli è stata piena di vita. Ha riserve di energia enormi, intelligenza, talenti, conoscenze, iniziativa. Esprime impresa, professioni, creatività, ricerca d'avanguardia. Riesce persino a conservare forme impensabili di dolcezza e di microsolidarietà. Ma tutto ciò si realizza soltanto sul piano dei destini personali, delle relazioni private, del lavoro e della produttività dei singoli o di piccoli gruppi. Appare bloccato, distorto, parziale. Non sa proiettarsi in una dimensione pubblica, istituzionale, di perseguimento del bene comune, di costruzione di un'appartenenza collettiva, di un autentico legame sociale generatore di un corpo civico, di una soggettività politica e civile appena degni di questi nomi.

Napoli insomma ha scambiato la salvezza privata dei suoi abitanti - o almeno quella che una loro parte rilevante ritiene essere la propria salvezza - con la completa espropriazione del suo destino pubblico. E' questo il prezzo della sua dolorosa modernità. Ha smesso di essere una città, dal punto di vista mentale e civile, e si è trasformata in uno sconfinato tessuto urbano, che continua a integrare dentro di sé frammenti di disperata bellezza, dove si sovrappongono milioni di piani di vita ciascuno inchiodato nella sua sola dimensione privata, a volte luminosa, a volte dannata, ma comunque senza più alcuna capacità, o volontà, o possibilità di discorso pubblico, di organizzazione solidale, di oltrepassamento del proprio particolare.

Tutto è precipitato agli inizi degli anni ottanta, dopo il terremoto. Naturalmente c'era stato un prima: allo storicismo napoletano che raccontando Napoli racconta se stesso il prima non sembra mai sufficiente, per quanto indietro si risalga. Ma resta il fatto che il dopo terremoto ha cambiato in modo definitivo la storia della città. E' stato il punto di svolta. Con la ricostruzione arrivarono di colpo a Napoli fiumi di denaro pubblico (decine e decine di migliaia di miliardi di lire). Una quota cospicua finì, attraverso una catena di complicità e di inerzie politiche e amministrative che nessuno ancora ha davvero ricostruito, nelle mani della camorra, che la utilizzò per finanziare il passaggio (costosissimo) dal contrabbando alla droga, e per darsi una base sociale di massa (mai prima avuta) nell'antico sottoproletariato del centro storico e in quello più recente delle periferie. Si aprì così una stagione di modernizzazione selvaggia della città, certo non interamente illegale, ma dove tuttavia la nuova struttura criminale arrivava a dettare in qualche modo la forma complessiva del processo: tempi, luoghi, priorità. La cultura , se possiamo chiamarla così, che sorreggeva questa tragica egemonia era tutta, letteralmente, anti-Stato: cultura della violenza, della sopraffazione, della rottura delle regole, dell'affermazione spietata del singolo o del gruppo.

Fuori, la parte della città non investita direttamente dalla decomposizione malavitosa, abbandonata dalla politica a se stessa e alle sue antiche fragilità, ha risposto come poteva. Ha cercato di adattarsi e di sopravvivere, di non gettare al vento le proprie energie, di cogliere le opportunità e di fare anch'essa a meno dello Stato, sostituito da una rete "privata" di protezioni, di legami, nazionali e internazionali, di contiguità. Vi è riuscita, ma sacrificando completamente quel tanto di spirito pubblico e di vocazione civile che era riuscita a strappare alla propria storia. Ha soffocato nell'indifferenza la sua voce, e non riesce a ritrovare il filo della propria coscienza smarrita.

Ed è chiarissimo che Napoli, da sola, non ce la può fare a venirne fuori, a ritornare ad essere una città, a spezzare la spirale fra degrado pubblico ed egoismo privato. Ha bisogno del suo Paese e del suo Stato. Di uno Stato che innanzitutto le restituisca il suo territorio, che vi imponga, anche con la forza, la sua sovranità democratica, che sappia spezzare i circuiti dell'economia criminale sostituendoli con quelli di un'imprenditorialità sana e competitiva, che sappia avviare, per prima cosa attraverso la scuola, una gigantesca politica di recupero civile delle giovani generazioni.

Dobbiamo esserne tutti convinti: nelle strade di Napoli è in gioco l'identità italiana, la nostra capacità di essere davvero una nazione. E se decideremo di combattere questa battaglia, dobbiamo sapere che ci aspettano giorni difficili.


la Repubblica (28 maggio 2008)






Criminalità

La 'Ndrangheta, modello alQaeda

Galapagos


Piccola e grande criminalità: da un lato i romeni, i Rom e i piccoli scippi (a volte qualche orrendo delitto); sul versante opposto però multinazionali del crimine che fanno ben più danno, anche se sembrano attirare meno l'attenzione dei cittadini e della stampa, pur essendo il vero cancro del vivere civile.

Le cifre sono enormi: ieri l'Euripses ci ha informato che la sola 'Ndrangheta, la «mafia» calabrese, nel 2007 ha fatturato 44 miliardi di euro: con paragone improprio, corrisponde a circa il 3% del Pil italiano.

La 'Ndrangheta è una delle associazioni criminali meno conosciute, rispetto alla mafia siciliana o la camorra napoletana. La sua crescita però è stata vertiginosa ed è andata di pari passo con la crescita degli omicidi: 202 tra il 1999 e il 2007 solo in Calabria, con un incremento del 667%. Quanti sono stati gli omicidi dei rom?

La 'Ndrangheta ormai è una holding internazionale e come tutte le hoding che si rispettano, opera con una differenziazione degli affari. Il più remunerativo, ci dice Eurispes, è il traffico di droga: circa 27 miliardi euro, oltre il 62% del giro d'affari.

Le «'ndrine» (le cosche calabresi), agiscono non artigianalmente ma come una industria moderna che lavora just in time, eliminando - anche fisicamente - la concorrenza e l'intermediazione. Insomma, si riforniscono direttamente alla fonte «ricercando il contatto diretto con i cartelli, soprattutto colombiani, o con la loro emanazione in Europa».

La 'Ndrangheta fa un uso sistematico e indiscriminato dell'intimidazione e del terrore e cerca - e spesso riuscendoci - di affermare contro le istituzioni locali una propria contro-cultura, una esplicita quanto determinata richiesta di potere, si legge nel dossier. Per Eurispes l'organizzazione ricorda da vicino il modello di al Qaeda.

Il rapporto contiene una prima mappatura della presenza delle organizzazioni criminali presenti sul territorio, con 131 cosche operanti nei vari territori calabresi. Nella sola provincia di Reggio Calabria sarebbero attive ben 73 organizzazioni criminali di tipo mafioso, 21 le cosche monitorate nella provincia di Catanzaro e 17 in quella di Cosenza.

Altri affari la 'Ndrangheta li realizza facendosi impresa: grazie ad appalti pubblici - spesso truccati - e compartecipazione in imprese, il fatturato dei gruppi criminali calabresi è pari a 5,733 miliardi di euro.

E ancora: i proventi illeciti derivanti dal mercato dell'estorsione e dell'usura suprano i 5 miliardi, quasi 3 arrivano da traffico di armi e 2,9 dal mercato della prostituzione.

Tra il 1992 e il 2007, a tutte le organizzazioni criminali presenti sul territorio nazionale sono stati complessivamente sequestrati beni per un valore pari a oltre 5,2 miliardi di euro, di questi circa 231 milioni provenivano dalle 'ndrine.

Proviamo a sommare al fatturato della 'Ndrangheta (e ai loro amicidi) quello della Camorra, della Mafia e della Sacra corona unita. Di quanti omicidi sono responsabili? Di quanto fatturato? Cifre enormi, chiaramente. Incommensurabili rispetto alla refurtiva recuperata nei campi rom.

Galapagos


il manifesto (22 maggio 2008)


 


Quei tranquilli ragazzi di Niscemi


Lidia Ravera


La fotografia di Lorena Cultraro, sulle prime pagine dei giornali, è la stessa che sua madre ha mostrato in televisione, quando ancora sperava che sua figlia, quattordici anni, fosse scappata di casa, magari per amore. Si assomigliano, la madre e la figlia, stesso ovale allungato, stesso sguardo intenso e malinconico. La fotografia che riproduce la madre nell’atto di chiedere aiuto a «Chi l’ha visto?», lascia intravedere, sullo sfondo, i pensili in legno chiaro di una cucina come tante, ci sono fiori nei vasi, è un interno italiano, decoroso e comune.

La fotografia che riproduce la figlia non può più essere guardata con il distacco dell’oggettività: è la fotografia di una ragazzina morta ammazzata, strangolata, bruciata e quindi gettata, con due pietre legate alla vita, in un pozzo, in mezzo ai rifiuti. Allora ecco che quel sorriso appena accennato, sulle sue labbra, appare più come il frutto di una decisione faticosa, quella di sembrare una ragazzina serena. Un’adolescente come tutte le altre, con i capelli neri e gli occhi grandi, con i genitori affettuosi e l’immancabile «fidanzatino».

Non è così. Lorena non era un’adolescente spensierata. Era un’adolescente costretta (o cooptata) ad una promiscuità piuttosto squallida, e, forse, era incinta, senza averlo voluto. Era una quasi bambina minacciata dalla maternità come quella del film «Juno» che ha tanto commosso Giuliano Ferrara? Non esattamente.

Nel film l’adorabile ragazzina Juno, messa incinta da un coetaneo dolcemente citrullo, decideva di tenersi il frutto del precoce e distratto rapporto sessuale ma, non avendo l’età per sentirsi madre, lo regalava ad una bella signora senza figli, così, per non eliminare il frutto dell’incontro felice fra un ovulo e uno spermatozoo. Nella realtà, l’adorabile ragazzina Lorena, invece, veniva, pare, costretta a fare sesso con gli amici del suo ragazzo, tre apprendisti criminali che, presumibilmente, se la passavano nel più assoluto disprezzo del suo corpo, della sua sensibilità, dei suoi sentimenti.

Nel film tutto finisce bene: la madre adottiva è contenta, il bebè è tanto carino, la ragazzina è felice e suona una canzone d’amore , chitarra acustica e duetto di voci, con il padre del bambino partorito e regalato. Sulla nascita dell’amore adolescente scorrono i titoli di coda. Nella realtà i titoli di coda scorrono su un cadavere carbonizzato, su tre giovani disgraziati in una stanza della caserma di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, che confessano: «ha detto: sono incinta di uno di voi... abbiamo perso la testa».

Hanno perso la testa, loro. Lei, Lorena, ha perso la vita. Se era davvero incinta, o se lo temeva soltanto, lo stabilirà l’autopsia. Magari esagerava la portata di quei pochi giorni di ritardo in un flusso mensile a cui non aveva ancora avuto il tempo di abituarsi. Magari voleva soltanto chiedere di non essere trattata come un pezzo di carne in cui scaricare a turno le proprie tempeste ormonali, i propri «bisogni» sessuali. Voleva parlare e voleva essere ascoltata. Infatti ci è andata volontariamente, in motorino con quello dei tre che si faceva passare per il suo ragazzo, sul luogo del delitto, gli altri due erano su un altro motorino. Come le altre volte? Avrebbe detto: oggi no, oggi non si fa, oggi vi devo dire una cosa importante. Si aspettava, magari, perfino, finalmente, un po’ di considerazione. In quella sub-cultura, fra i maschi siculi, si sa, le donne valgono come orifizi che forniscono piacere. Contano come madri. Rompono se restano gravide e nessuno le vuole. Se rischiano di produrre bambini non voluti, se svelano la tresca con una pancia che cresce, diventano un peso, vanno scaricate. Tali i padri tali i figli: vergini o mignotte, tutte puttane tranne mia madre. Tutte troie tranne mia sorella. È questo il brodo di coltura in cui nuotano i giovani maschi dell’entroterra siciliano. Certo, ci saranno delle eccezioni, ma la maggioranza si forma lì. Nel più perfetto e stagnante maschilismo troglodita.

Ma, naturalmente, si tratta pur sempre di ragazzi italiani, ragazzi nati in Sicilia, la nostra bella isola, culla di civiltà e generosa riserva di voti per il centrodestra. Così nessuno arma battaglie, chiede la pena di morte, marcia armato sui luoghi dove vivono gli assassini, propone espulsioni. Così i titoli dei giornali non escono a caratteri di scatola, anzi, la notizia dell’orrendo crimine (una ragazzina violentata ripetutamente, strozzata, bruciata e buttata in un pozzo) incomincia in prima e finisce in cronaca (pagina 18), senza eccessivo clamore, un fatto di nera, come tanti. Così i colpevoli vengono chiamati «balordi», che è un modo minimalista di nominare i criminali. E c’è da aspettarsi tutta la clemenza che riserviamo ai nostri figli: che sono pur sempre dei minorenni... che sono esseri umani ancora in via di formazione... che vanno puniti, ma per educarli... che magari la ragazza era anche consenziente... E comunque sono nati in provincia di Caltanissetta. E le donne le violentano e le ammazzano a casa loro. Quindi fanno meno paura?


www.lidiaravera.it

l
’Unità (15 maggio 2008)






lunedì 26 maggio 2008

Il regno dei giusti

Una cara amica, che è pure una bella donna, mi ha mandato questo video che ho trovato suggestivo ed emozionante. Lo definirei: propedeutico per la memoria. Mi è venuto spontaneo condividerlo con voi. Altro, almeno in fase di presentazione, non mi pare necessario aggiungere. Buon ascolto e buona visione.




giovedì 22 maggio 2008

L'istruzione perduta


Ripensando a “Gomorra”, l’eccellente film di Matteo Garrone (che invito tutti a vedere, qualora non fossi stato chiaro nel post precedente), torna utile questo pezzo scritto, come sempre benissimo, da Curzio Maltese per la rubrica Contromano de il Venerdi di Repubblica (16 maggio 2008). Infatti, in “Gomorra”, l’unico a salvarsi, abbandonando Franco (Toni Servillo), l’imprenditore che si occupa dello smaltimento dei rifiuti tossici, è Roberto il suo assistente neolaureato. In altri termini è colui meglio attrezzato intellettualmente a rendersi conto che quel percorso è deleterio, chiedendosi a cosa serva salvare un operaio a Mestre mentre ne muore uno a Mondragone.


Ha pienamente ragione Maltese: un’emergenza reale, quella relativa all’istruzione, è stata rimossa, mentre altre emergenze fittizie e strumentali (basti pensare a quelle relative a rom e immigrati, per esempio), straripano dalle prime pagine di molti quotidiani e tracimano dai notiziari televisivi che sono i più subdoli. Tutto ciò nell’Italia della mafia, ’ndrangheta e, appunto, camorra che, quanto a sicurezza, ne offrono invece tanta, al punto che di ronde in Campania, Calabria e Sicilia non esiste l’ombra. Perché disturbarsi?


 


La scuola, vera emergenza dimenticata


Alcuni problemi italiani si spiegano con le ultime statistiche dell’Istat sul livello culturale del Paese. L’Italia è in fondo alle classifiche dei 27 Paesi europei per scolarizzazione, rendimento scolastico, investimenti nella pubblica istruzione, consumi culturali delle famiglie, conoscenza delle lingue straniere, ma anche della lingua madre. Siamo in testa invece per abbandono scolastico e ore trascorse davanti alla televisione. Altre ricerche provano che il sessanta per cento degli italiani non è in grado di leggere e capire un articolo breve.


Dati come questi dovrebbero aprire un grande dibattito sul fallimento del sistema scolastico e sulle preoccupanti prospettive di una nazione così arretrata. Naturalmente non è avvenuto nulla di tutto questo. Il giorno dopo le statistiche erano dimenticate. Il nuovo ministro dell’Istruzione, una simpatica giovane bresciana, certa Mariastella Gelmini, ha promesso una rivoluzione meritocratica nel sistema scolastico. L’ha detto mentre posava per la foto ricordo accanto a Mara Carfagna, ieri soubrette, oggi ministro: un modello (o una modella?) per le giovani ricercatrici. Per la verità, non credo che la signora Gelmini, con tutta la buona volontà, riuscirà a fare peggio dei suoi predecessori, di destra e di sinistra. L’ultimo ministro della Pubblica istruzione, Beppe Fioroni, mi aveva fatto riflettere sulla possibilità di non mandare mio figlio alla scuola dell’obbligo.


I dati dell’Istat certificano che il sistema scolastico italiano è fallimentare. Non stiamo ora a discutere di chi sia la colpa, se dei pessimi ministri, degli insegnanti o degli studenti, dei sindacati o della tv o del clima. La realtà è che la scuola è fallita e bisognerebbe porvi rimedio. Almeno bisognerebbe cominciare a pensarci. Ma qualcuno lo considera un problema? Nell’ultima campagna elettorale l’istruzione non era neppure fra i primi dieci o venti temi di discussione.


Per non addossare sempre la responsabilità al ceto politico, occorre ammettere che non figurava neppure fra i primi problemi segnalati dall’opinione pubblica. Qualcuno potrebbe obiettare che se l’istruzione fosse un problema avvertito dall’opinione pubblica, forse non saremmo da 14 anni in balia del padrone delle televisioni. Eppure questa è la prima questione che un serio riformismo dovrebbe porre all’attenzione generale. Non saranno la microcriminalità, l’immigrazione, la burocrazia, la pressione fiscale, la Cina o l’India a renderci più poveri nei prossimi anni. Saranno quei dati sull’istruzione, la più importante delle cento statistiche presentate dall’Istat, la meno considerata.


domenica 18 maggio 2008

Mattatoio italiano


Uno, due, tre pugni allo stomaco e poi stramazzi al suolo, anche se solo metaforicamente. Colpisce duro, durissimo e fa male. Lascia storditi e privi di parole. Come privo di speranza è tutto il film di agghiacciante bellezza. Si tratta di “Gomorra”, apocalittico affresco tratto dall’omonima opera di Roberto Saviano che Matteo Garrone (già regista de “L’imbalsamatore”) ha girato senza alcun filtro né compiacimento.

Ossessiva è la musica neomelodica, martellante in certi frangenti, che rappresenta il marchio di fabbrica di una realtà dove l’unica istituzione è quella dei clan. O con noi o contro di noi. Senza “vediamo”. Febbrile è il conteggio dei soldi che passano di mano in mano e chi li riceve li conta a sua volta. Lo scopo è uno soltanto: fare “punti”, cioè morti; il resto non ha alcun valore nel mattatoio.

Per buona parte del film scorrono i sottotitoli, perché è fondamentale l’impatto del dialetto, talvolta così stretto e “sporco” che pure gli stessi napoletani faranno fatica a capirlo. Alcune inquadrature sono impressionanti per lo squallore che trasmettono (le “Vele” dall’alto lasciano sgomenti), come pure la ressa per prendere le dosi di droga distribuite come fossero caramelle. Le “Vele di Scampia: il più grande spaccio all’aperto del mondo, come ricordano alcune annotazioni in coda al film, da cui apprendo pure (avendo appena iniziato il libro) che molti proventi illegali sono stati reinvestiti nell’acquisto di azioni di società impegnate nella ricostruzione delle Torri Gemelle a New York.

S’intrecciano cinque storie, nel percorso narrativo del film adrenalinico, senza pause. Superbo Toni Servillo, imprenditore nel settore smaltimento rifiuti. Commuove la storia del sarto; ci si aggrappa alla speranza del volto ancora pulito di un ragazzino, ma dura poco. Perché lo spazio per la speranza è negato. Anche la spes, tradizionale ultima dea, muore a pistolettate nell’ade di Scampia.


P.S. Non mi sono dilungato nei dettagli, perché nulla voglio togliere a chi andrà a vedere il film. Però preparatevi bene all’impatto. I miei sogni sono stati popolati da sparatorie e sangue.

mercoledì 14 maggio 2008

Tante parti di lei e di me

… i sentimenti

Quella dolce carezza del mattino, lei che mi avvolge come un gomitolo di seta. Morbida. Profumata. Brillano i suoi occhi scuri  di una luce così potente da illuminare la stanza, ancora avvolta nella penombra. E parlano. Esprimono il desiderio di concedermi corpo e anima con una completezza unica ed incredibile ogni volta che si esprime. Esiste qualcosa che trascende la carnalità, sfociando in quella unione di anime, ben più salda e duratura di una fusione di corpi.

Le gioie non durano, peraltro, lo spazio di un mattino, ma si estendono a gesti anche semplici, di quella banalità quotidiana che tale invece non è se vissuta a fondo. Con la persona giusta. Porgere la tazzina del caffè, cercare altri biscotti quando in tavola ce ne sono in abbondanza. Seguire i gesti, assaporare gli aromi. Tutto in silenzio. Quando le anime parlano comunicano in profondità, irrompono come raggi di sole anche nella giornata più buia che ci possa essere. E quelle passate sono state, in ogni caso, luminose anche dal punto di vista meteorologico.

Anche le discussioni sembrano, in questo climax, prive di asprezza e di risentimenti. Pur se impegnative e, talora, spiazzanti. Poi basta un bacio a chiudere la bocca che ancora vorrebbe esprimersi, perché come può uno scoglio arginare il mare di tenerezza che sta travolgendomi?



… Napoli


“Quante Napoli conoscete? Quella della camorra, della disoccupazione, dei delitti sotto casa? Oppure quella dello scandalo della «monnezza»? Ebbene Napoli non è solo questo. È un universo misterioso e poliedrico, una «cittàmondo», con le sue facce doloranti e patetiche, la sua ricchissima umanità…”. Così il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli nel suo libro: “Non rubate la speranza” che è stato presentato ieri pomeriggio nella basilica di santa Chiara.

Ha ragione il prelato: la città partenopea racchiude un universo poliedrico che la rende indecifrabile. Però la ricca umanità che la popola è ormai sfiancata, tra l’altro, dal degrado ambientale che abbruttisce le persone, le rende intollerabili e rassegnate. Insofferenti e devastate sotto la cappa opprimente della puzza che sale dai cumuli di rifiuti. Ci si ammala anche nella mente così. Oltre che nel corpo. Quella che è emergenza sociale rischia ormai di degradare verso il più temuto allarme sanitario. Il caldo sta decomponendo i rifiuti che, come metastasi, intaccano ogni pertugio. Si soffre dentro e fa male al cuore assistere all’impotenza (e connivenza lungamente tollerata) di una classe dirigente gravemente responsabile: da destra a sinistra.


Fa male al cuore pensare alle potenzialità disgregate, alla speranza che sta per essere rubata alle nuove generazioni, unica risorsa disponibile perché questa città non muoia. Facilissimo montarci sopra una campagna elettorale (e vincere) illudendo la popolazione. Demagogico annunciare a Napoli il primo Consiglio dei ministri che intanto è già slittato al 21 maggio e rappresenterà una mera operazione di lifting, visto che il capobranco di lifting se ne intende.

Non entreranno mai in cronaca il disperato gesto del prete, che circonda con un telo l’abituale cumulo di spazzatura, per permettere uno sfondo decoroso per le foto dei bambini dopo la loro prima comunione. Oppure l’irresponsabile consiglio di una farmacista che indica, nel mucchio in strada, il luogo dove gettare le confezioni di medicinali scaduti. “Ma non disponete dei bidoncini per la differenziata?”. “Una volta, adesso non ci sono più” - risponde la dottoressa, neppure preoccupata di accertare perché manchino quei contenitori.



… la natura


Non c’è solo la “ricchissima umanità” a Napoli, ma esistono pure patrimoni naturalistici di incomparabile bellezza, inimmaginabili da trovare, per esempio, a pochi passi da Pianura. Prendiamo il parco degli Astroni, un oasi del WWF – info da Wikipedia - riserva naturale statale, che si trova tra Napoli e Pozzuoli ed è il cratere più grande tra i circa trenta che si trovano nella zona dei Campi Flegrei. È sede di un importante centro di recupero per la fauna selvatica ed è attraversato da sentieri naturali ed osservatori per l'avifauna. Il cratere ha un'estensione di 296 ettari ed un perimetro di circa 10 Km. All'interno del cratere vi sono 3 colli (Imperatrice, Rotondella, Pagliaroni) che ne occupano gran parte della superficie. La zona sud-occidentale è piatta con tre piccoli stagni (il maggiore è denominato "Lago Grande") ricchi di specie animali e vegetali. In passato è stato una riserva di caccia. L'eruzione degli Astroni datata 3.700 anni, ha avuto carattere prima esplosivo e poi effusivo generando il Colle Rotondella. Il cratere confina a sud con la zona di Napoli Agnano e con il quartiere Bagnoli, a est con il quartiere Pianura, a nord con la zona Pisani e la Via Antica Consolare Campana di Pozzuoli, mentre a ovest ricade quasi del tutto nel comune di Pozzuoli.

Queste alcune delle specie faunistiche che si possono trovare nel cratere:

Occhiocotto, Scricciolo, Capinera, Merlo, Ghiandaia, Picchio rosso maggiore, Picchio muratore, Folaga, Gallinella d'acqua, Airone cenerino, Garzetta, Tarabusino, Pavoncella, Porciglione, Poiana, Gheppio, Volpe, Faina.

Queste alcune delle specie floricole che si possono trovare nel cratere:

Castagno, Rovere, Farnia, Carpino, Olmo, Robinie, Quercia rossa, Pioppo canadese, Leccio, Erica arborea, Mirto, Lentisco, Ligustro, Giunco. Alcune delle specie suindicate sono state introdotte dall'uomo.

Percorrere i sentieri del parco offre la precisa idea di entrare in una favola, in una dimensione diversa e agli antipodi della caotica città che si è appena lasciata fuori. C’è da incantarsi ad ogni passo. La vegetazione è ricchissima e prorompente, la natura si esprime qui ai massimi livelli e il silenzio, notoriamente d’oro, assume in questo contesto una valenza ben precisa: permette di ascoltare la natura che parla, mettendo la sordina alle tante inutili parole di noi umani. Il Lago Grande è un luogo magico, proprio come si immaginerebbe in una fiaba. La vegetazione lacustre lo ricopre in parte, il gracidare delle rane ed ecco l’apparizione improvvisa delle anatre: un’intera famiglia con gli anatroccoli che s’inseguono e cercano goffamente di levarsi in volo. Il cinguettìo degli uccelli, lo stormire delle foglie, i raggi del sole filtrati da maestosi alberi, i sentieri ben tracciati. Un senso stordente di pace. Baciarsi così non ha prezzo. Frammenti di felicità indistruttibile.



martedì 13 maggio 2008

Segnale di vita

Mi scuso per l’assenza che sta diventando lunga, ma ci sono e rimedierò con almeno tre post, magari in unica confezione. E spiegherò.


La composizione floreale rappresenta un'ideale omaggio alla componente femminile, sovente ospite da queste parti.