"Qualche volta Dio uccide gli amanti per non essere superato in amore" Alda Merini.
lunedì 22 dicembre 2008
Serene feste
Che il periodo ci sia propizio.
BUONE FESTE.
giovedì 18 dicembre 2008
Un nuovo mondo possibile
Ancora Barbara Spinelli, ancora un editoriale che rappresenta un condensato di economia sostenibile e sociologia, ancora corposi spunti di riflessione, di quelli che difficilmente entreranno nelle chiacchiere da treno (luogo deputato alla conversazione in libertà, nonché mezzo di trasporto su cui ho già appoggiato un piede).
Lo propongo per condividere una conoscenza e anche come possibile viatico per un modo diverso di pensare e inquadrare gli argomenti. La prospettiva di vita in un altro mondo possibile. Da notare l’incipit dell’autorevole giornalista.
Verosimilmente si tratta anche del penultimo post dell’anno, ma per il provvisorio congedo e gli auguri posso rimandare all’imminente fine settimana.
L'ACCORDO EUROPEO
Il clima e la crisi
Barbara Spinelli
C’era una volta una confraternita di volenterosi che pretese di vedere, in Iraq, funghi atomici inesistenti e armi di distruzione di massa introvabili. Lanciarono una guerra, contro queste chimere, spargendo caos nel mondo. È strano, ma oggi sono gli stessi volenterosi a ritenere chimerico il disastro climatico che invece esiste, e inani oltre che costosi i piani di salvataggio della Terra. Tanto più inani in tempi di crisi economica. Il più esplicito è il presidente del Consiglio italiano, che ha dichiarato: «È assurdo parlare di clima quando c’è la crisi: è come se uno con la polmonite pensa a farsi la messa in piega». Si aggiungono gli europei dell’Est, tra cui spicca il capo di Stato ceco: secondo Vaclav Klaus (prossimo presidente del Consiglio europeo) la battaglia climatica è uno «stupido prodotto di lusso». In pericolo non è il clima ma la libertà, minacciata da un’ideologia verde che «spezza la fiducia nello sviluppo spontaneo della società umana». La politica che s’immischia è il comunismo pianificatore che torna, e l’ecologia ne è la reincarnazione. Peggio ancora:
L’amministrazione Bush ha guidato anche questa coalizione, come in Iraq: la distruzione del pianeta «non è il prodotto accidentale della sua ideologia».
La distruzione è l’ideologia. Il neo-conservatorismo è un potere che s’esprime dimostrando che puoi trasformare in macerie qualsiasi parte del mondo», scrive George Monbiot sul Guardian, denunciando i «Nuovi Vandali» del clima. La guida dei volenterosi ha cominciato a vacillare, con l’elezione di Obama, ma influenza tuttora gli affiliati. Il loro motto è: «Finché non vediamo la rovina qui, ora, essa non esiste. Magari esisterà per i nostri discendenti ma che importano i discendenti». Ieri avevano visto in Iraq la pistola fumante che non c’era. Oggi il pianeta stesso è smoking gun e non lo vedono.
L’accordo europeo di venerdì ribadisce, per fortuna, l’obiettivo fissato per il 2020: taglio del 20 per cento delle emissioni di diossido di carbonio, aumento del 20 per cento delle energie rinnovabili, miglioramento del 20 per cento dell’efficienza energetica. Ma l’accordo è pieno di concessioni ai riluttanti: Italia, Germania, Polonia sono esentati da vincoli rigidi, come ha spiegato Enrico Deaglio su
Dicono che atteggiamenti simili sono pragmatici, attenti agli interessi nazionali. Nelle stesse vesti si presentò la rivoluzione conservatrice, quando nacque negli Anni 70 e teorizzò il mercato che si riequilibra spontaneamente, senza ingerenze statali o politiche. La bolla finanziaria infrantasi quest’estate ha dimostrato quanto fosse irreale e ideologico questo pragmatismo. Esattamente lo stesso accade con il clima; solo che la bolla, ancora più enorme, è dura a svanire. Il governo italiano è d’altronde affezionato alle bolle, abituato com’è a giocare con l’illusione televisiva. Secondo Berlusconi «la crisi economica è psicologica, fatta di paura anti-consumista». È quanto sostenne nelle elezioni Usa il consigliere di McCain, l’imprenditore Phil Gramm («Questa è una recessione mentale: siamo diventati una nazione di piagnucolosi», disse al Washington Times il 9 luglio 2008). Si è visto che fine ha fatto tanta spocchiosa certezza.
Privo di sapienza pragmatica è anche il senso del tempo, in chi diffida della questione climatica. Dice ancora Berlusconi che «questa non è l’ora dei Don Chisciotte. Abbiamo tempo». Non è vero che l’abbiamo, e lo confermano non solo i rapporti Onu del 2007 ma i dati più recenti. Di qui all’estate 2013, il Polo Nord avrà perso i ghiacciai. E il permafrost in Siberia si scioglie, liberando metano letale. Da mesi ripetiamo: una crisi finanziaria come questa non c’era dal ’29. Johann Hari sull’Independent scrive che lo scioglimento del ghiaccio artico è da 3 milioni di anni che non lo vedevamo.
I riluttanti hanno questo, in comune: sono dirigenti che sprezzano intensamente la politica, che si fanno portavoce delle imprese più influenti, che accentrano lo Stato ma non per rafforzarne davvero le funzioni. Anche per questo non capiscono l’esistenza di un’economia che distrugge senza creare nulla. La lotta contro la crisi, per costoro, non fa tutt’uno con la lotta climatica. È loro ignoto quel che le unisce: le patologie, le comuni opportunità, i peccati di omissione commessi in ambedue i casi dalla politica, così bene illustrati da Jürgen Habermas nell’intervista alla Zeit del 6 novembre, e l’indifferenza ai tempi lunghi, alla posterità. I riluttanti sono aggrappati a paradigmi di un mondo ormai vecchio, in cui non è la politica a imporre il bene pubblico sugli interessi costituiti ma sono questi a comandare. E comandano le industrie più inquinanti, non le più deboli lobby verdi. Se non fosse così, la prospettiva sarebbe assai diversa. Il clima sarebbe esaminato non solo dal punto di vista dei costi, ma dei benefici.
La prospettiva sarebbe quella illustrata magistralmente dall’economista Marzio Galeotto, il 10 dicembre sul sito www.lavoce.info. Chiari apparirebbero i danni evitati dalla riduzione delle emissioni di gas-serra. Basti ricordare la canicola del 2003, che secondo l’Organizzazione mondiale della salute costò 52 mila morti in Europa. O il risparmio di spese sanitarie, ottenibile se le emissioni saranno ridotte del 20 per cento: 51 miliardi di euro (76 con un taglio del 30). L’indipendenza energetica italiana aumenterebbe, con un guadagno di 12,3 miliardi. Quanto all’occupazione, già oggi l’industria europea delle energie rinnovabili impiega più di 400 mila persone, con un giro di affari di 40 miliardi di euro (gli occupati salgono a 2 milioni nel 2020). Investimenti forti in tale settore creerebbero in Italia più di 100 mila occupati in 12 anni.
La crisi presente è un’opportunità, se crescita e energia verde son collegate. È la tesi di Obama, che vuol creare 5 milioni di posti e investire 150 miliardi di dollari nell’uscita dal petrolio: questo bene sempre più caro, raro, politicamente ustionante. Non a caso ha scelto un Nobel della fisica, l’ecologista Steven Chu, come ministro dell’Energia. Gli sforzi si concentreranno sul risparmio nella costruzione e nel riadattamento delle abitazioni (il 40 per cento delle emissioni di diossido di carbonio proviene in America da esse, secondo Al Gore). Sono proprio gli sforzi che Roma abbandona, non certo per pragmatismo ma per cinico tedio. Le misure adottate da Prodi, che agevolavano fiscalmente i lavori domestici di risparmio energetico, sono state abolite.
Finché penseremo che tutte queste crisi sono mentali non faremo nulla, pensando che nulla valga la pena. È un po’ come nella Dolce Vita di Fellini. Nella campagna romana, c’è una famiglia principesca che possiede una villa del ’500 del tutto decaduta. Il capofamiglia s’aggira sconsolato fra le rovine, sogna di mettere un pilastro qui, una trave lì. Si lamenta col figlio inerte, stanco di tutto. «Ma cosa vuoi che faccia, papà?», replica quest’ultimo stomacato.
È la cinica, accidiosa risposta di un ultimo rampollo aristocratico. Cosa volete che facciamo, per
lunedì 15 dicembre 2008
I buchi neri dell’informazione - 2
È da questa mattina, da quando cioè ho appreso la notizia, che cerco di capire la nazionalità del delinquente che ha ucciso un uomo e ferito altre 27 persone, mentre filava a tutta velocità sul suo automobilone dopo una delle tante notti di alto impegno civile (consumare alcolici). Ma non c’è stato niente da fare. Anche i notiziari televisivi si sono dilungati sui necessari dettagli: impiegato, 20 anni, residente a Cesano Maderno, di buona famiglia. Omettendo, però, il particolare che fa la differenza, vale a dire la nazionalità. È ovvio che si tratti di un italiano, perchè se fosse stato uno straniero, meglio se immigrato irregolare, di colpo i titoli si sarebbero trasformati. Quello del “Corriere della Sera”, sarebbe diventato: “Rumeno (nazionalità a scelta, a seconda di quella che tira di più) in auto contro comitiva, 1 morto 27 feriti”. L’extracomunitario…. Quello di Repubblica:“Auto contromano nel milanese investite 28 persone, un morto diventava: “Rumeno (sempre nazionalità a scelta) in auto contromano investe 28 persone, un morto". “Ubriaco in auto travolge comitiva: un morto e 28 feriti” che è il titolo di Rainews24, diventava “Rumeno ubriaco in auto travolge comitiva: un morto e 28 feriti. http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsID=89460
La Stampa http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200812articoli/39157girata.asp “Ubriaco alla guida travolge comitiva. Un morto e 27 feriti, grave una bimba” modificato in “Rumeno ubriaco in auto travolge comitiva. Un morto e 27 feriti”. E neppure nelle news di Google si fa menzione della nazionalità. http://news.google.it/nwshp?client=firefoxa&rls=org.mozilla:it:official&hl=it&tab=wn&ncl=1263396970
Così è stato deformato il buon senso comune e minimizzato quel concetto basilare di una civile convivenza che è la responsabilità personale. La pubblica opinione non è ancora pronta a sentire o leggere: “Italiano ubriaco in auto piomba a tutta velocità su un gruppo di persone uccidendone una e ferendone 27?” Dov'è l'errore?
I buchi neri dell’informazione
Accade che un giornalista venga rimosso dal proprio incarico. Senza preavviso. E nel Paese che ha perduto la memoria, ormai sulla via della “piduizzazione”, questa mutilazione alla libertà di stampa non provoca alcun sussulto. Il regime che avanza produce la stessa reazione che ebbero i viaggiatori ospitati sul Titanic, scatenati in ubriacanti danze e molteplici brindisi mentre la nave affondava.
L’aspetto più grave è che tutto ciò avviene non in un foglio di provincia ai danni dell’intraprendente ragazzo di bottega, ma nell’istituzionale redazione del “Corriere della Sera”, il cui direttore colleziona ospitate televisive (il garrulo Floris gli concede spesso e volentieri la ribalta) e sembra così affabile e buono, allo stesso modo di quando ha comunicato all’inviato Carlo Vulpio la fine delle trasmissioni.
Il giornalista è anche autore del libro che invito ad acquistare, come a dire che noi (ancora) non ci stiamo. Che ci imbavaglino tutti.
Questo è l’articolo che ha fatto infuriare i “poteri forti”. Perché quando si fanno nomi e cognomi la denuncia acquista vero spessore e il giornalismo ritrova appieno il suo ruolo di “cane da guardia”. Da notare la collocazione a pagina 21 nell’edizione di quel giorno del quotidiano milanese. Chissà quante notizie esplosive nelle precedenti venti pagine…
Il blitz Operazione dei magistrati di Salerno. Sequestrata la documentazione
Caso de Magistris, toghe indagate «Illeciti per sfilargli le inchieste»
Perquisita
CATANZARO - Non era mai accaduto prima in Italia, che una procura della Repubblica fosse «circondata» come un fortino della malavita. Ieri è successo alla procura di Catanzaro, che per tutta la giornata e fino a tarda sera è stata letteralmente accerchiata da cento carabinieri e una ventina di poliziotti, tutti arrivati da Salerno. Con i carabinieri del Reparto operativo e i poliziotti della Digos, sono entrati in procura ben sette magistrati, tra i quali il procuratore di Salerno, Luigi Apicella, e i titolari dell' inchiesta, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani. Hanno notificato avvisi di garanzia e perquisito case e uffici dei magistrati calabresi che hanno scippato le inchieste «Poseidone» e «Why Not» all' ex pm Luigi de Magistris (ora giudice del Riesame a Napoli) e dei magistrati che queste inchieste hanno ereditato, «per smembrarle, disintegrarle e favorire alcuni indagati», scrivono i pm salernitani. Tra gli indagati «favoriti», l' ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, il segretario nazionale Udc, Lorenzo Cesa, l' ex governatore di Calabria, nonché ex procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Chiaravalloti, il generale della Guardia di Finanza, Walter Cretella Lombardo, l' ex sottosegretario con delega al Cipe, Giuseppe Galati (Udc), Giancarlo Pittelli, deputato di Forza Italia, il ras della Compagnia delle Opere per il Sud Italia, Antonio Saladino. Ma questo è solo il troncone calabro. Gli stessi magistrati salernitani, infatti, stanno indagando anche in altre due direzioni. La prima riguarda uno stuolo di giudici lucani coinvolti nella «madre di tutte le inchieste» sul marcio nella magistratura (l' inchiesta «Toghe Lucane», che de Magistris è riuscito a «chiudere» prima di essere frettolosamente trasferito). La seconda andrebbe diritta verso alcuni membri del Csm: per esempio, il vicepresidente Nicola Mancino e i presunti legami con Antonio Saladino, figura chiave di «Why Not», il procuratore generale della Corte di Cassazione, Mario Delli Priscoli, andato in pensione qualche giorno fa, e il sostituto procuratore generale della Cassazione, nonché governatore (Ds) delle Marche per dieci anni, Vito D' Ambrosio, che in Csm sostenne l' accusa per far trasferire de Magistris. Ce n' è anche per l' Associazione nazionale magistrati e per il suo presidente, Simone Luerti. Molto amico di diversi indagati eccellenti quando faceva il magistrato in Calabria, Luerti non ha mai perso occasione di esternare contro de Magistris. Quando poi, qualche mese fa, si è scoperto che incontrava regolarmente Saladino e Mastella nella sede del ministero della Giustizia, mentre lui negava, Luerti s' è dovuto dimettere dalla carica di presidente dell' Anm. Nel decreto di perquisizione eseguito ieri, 1.700 pagine, i pm di Salerno accusano di concorso in corruzione in atti giudiziari - per aver tolto «illegalmente» a de Magistris «Why Not» e «Poseidone» - il procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi, il procuratore aggiunto, Salvatore Murone, il procuratore generale reggente, Dolcino Favi, il parlamentare Giancarlo Pittelli e «l' uomo ovunque» Antonio Saladino. Ma accusano anche il sostituto procuratore generale Alfredo Garbati, il sostituto procuratore generale presso
Smentita di Bruno Arcuri:
Smentisco la notizia, divulgata sul Corriere del 3 dicembre 2008, pag. 21, nell'articolo: «Caso de Magistris toghe indagate (...)» ove si riferisce che lo scrivente si sarebbe dato da fare (...) per «archiviare illegalmente» la posizione di Mastella. Secondo quanto si apprende dal capo di imputazione divulgato con il decreto di sequestro della Procura di Salerno - mai notificato allo scrivente contestualmente ad altri avvisi - all'esponente viene contestato di avere agito in contrasto alla legge penale nel momento in cui, in qualità di relatore in seno al Consiglio giudiziario di Catanzaro, ha partecipato alla formazione del parere sulla valutazione di professionalità del dottor de Magistris, conclusosi con esito negativo in data 18 giugno 2008. Non altri fatti, né complotti e né coinvolgimenti quanto al caso cd. Mastella.
Bruno Arcuri, magistrato in servizio presso il Tribunale di Catanzaro
Replica di Carlo Vulpio:
«Disintegrare professionalmente de Magistris», come sostengono i magistrati di Salerno, è un risultato che si può raggiungere anche esprimendo parere negativo sulla sua professionalità. Come ha fatto - ingiustamente, dicono sempre i magistrati salernitani - il consiglio giudiziario di Catanzaro (relatore, Arcuri) e come riconosce lo stesso Arcuri. Prendiamo atto invece che, con l'archiviazione della posizione di Mastella, Arcuri non c'entra nulla.
Carlo Vulpio
11 dicembre 2008
lunedì 8 dicembre 2008
La persuasione occulta ai tempi della crisi
È un editoriale bello e impegnativo quello che ha scritto Barbara Spinelli su
L’ho detto: è impegnativo, ma vale la pena arrivare fino in fondo laddove si condensa l’insegnamento appropriato che è anche un ammonimento all’irragionevole spensieratezza che ci ha portato al consumismo più esasperato, quello che – per esempio - ha paganizzato la festa religiosa per antonomasia che è il Natale. E che, gabellando per progresso l’inaudita espansione edilizia, in quindici anni ha invaso con “catrame e cemento” un’area pari a quella di Lazio e Abruzzo. Oltre tre milioni e mezzo di ettari. Un territorio sottratto, appunto, ai nostri figli.
La crisi come occasione
BARBARA SPINELLI
La parola crisi è tra le più tentacolari che esistano nel vocabolario: più che una parola, è albero dai rami incessanti. In greco antico significa un gran numero di cose tra cui: separazione, scelta, giudizio. Il verbo, krino, vuol dire anche decidere. In medicina si parla di giorno critico o di giorni critici: per Ippocrate (e per Galeno nel secondo secolo d.C.) è l’ora in cui la malattia si decide: o precipita nella morte o s’affaccia alla ripresa. È il punto di passaggio, di svolta. Il termine riapparve nei sommovimenti enormi del ’700: nella rivoluzione francese, in quella industriale. La vera crisi, per Burckhardt, non cambia solo i regimi: scompone i fondamenti della società, come avvenne nelle migrazioni germaniche. Quel che la caratterizza è la straordinaria accelerazione del tempo: «Il processo mondiale d’un tratto cade in preda a una terribile rapidità: sviluppi che solitamente mettono secoli a crescere, passano in mesi e settimane come fantasmi in fuga» (Jacob Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale).
Il concetto di crisi fu evocato con affanno sempre più frequente dopo il primo conflitto mondiale. Lo storico Reinhart Koselleck la chiama «cataratta degli eventi» e sottolinea il suo volto ambiguo: è una condanna, ma anche un’occasione che ci trasforma. Nel Vangelo di Giovanni (5, 24) Gesù la raffigura come temibile: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita». Nella versione greca, andare incontro al giudizio è letteralmente «entrare nella krisis», nel processo. Al tempo stesso crisi è intelletto all’opera, che redime: «L’uomo che non ha alcuna krisis non è in grado di giudicare nulla», scrive Johann Heinrich Zedler nell’Universal-Lexikon del 1737.
Anche la crisi che traversiamo oggi è «vera crisi»: momento di decisione, climax d’un male, e se ne abbiamo coscienza, occasione. Uscirne è possibile, purché non manchi la diagnosi: secondo Galeno, i giorni critici sono valutabili solo se l’inizio del male è definito con precisione.
Gli economisti non bastano a tale scopo, e ancor meno i politici. Spesso vedono le cose più da vicino i letterati, i filosofi, gli storici, i teologi, i medici. Se la società è un corpo - dagli esordi è la tesi dei filosofi - questi sono i suoi giorni critici: può morire o guarire, mutando forma e maniere d’esistere.
Pietro Citati individua la radice del male nella passione dei consumi: frenesia che descrive con parole deliziose, ironiche, sgomente, evocando la telecamera americana che nel 1952 riprese una massaia che s’aggirava nel supermercato (
Ovunque, politici e responsabili finanziari sbigottiscono davanti all’incanto spezzato (alla bolla scoppiata). Vorrebbero che la stoffa di cui è fatto - l’illusione - non si strappasse mai: perché le campagne elettorali son cucite con quei fili, vivono della chimera d’un progresso ineluttabile, senza costi. L’America dopo il Vietnam respingeva le guerre: le voleva «a zero morti». Poi ricominciò a volerle, ma «a zero tasse». Importante nell’ipnosi è accaparrare sempre più, anche se mancano i mezzi: l’ipnosi, restringendo la coscienza, è il contrario della crisi.
In America finanza e politica estera sono «entrate nella crisi» simultaneamente. Il 7 agosto inizia la guerra georgiana, e pure i ciechi scoprono che Washington non può alcunché: ha aizzato Saakashvili, ma senza mezzi per sostenerlo. Esattamente un mese dopo, fra il 7 e il 16 settembre, scoppia la bolla finanziaria (salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, poi bancarotta di Lehman Brothers, poi salvataggio di Aig). Per decenni si è sentito dire: ci sono compagnie troppo grosse per fallire. Era menzogna: non erano troppo grandi né Lehman, né l’impero Usa. Le bolle esistono nella finanza, in politica, nelle teste. Sono i giorni critici della nostra mente.
La trance ipnoide ha stravolto modi di vivere, di convivere con l’altro in casa e nel mondo. Ci ha chiusi nella sfiducia. Lo storico Andrew Bacevich lega tutte queste esperienze, e racconta come dall’impero della produzione l’America sia passata, ancor prima di Reagan, all’impero dei consumi (The Limits of Power, Metropolitan Books 2008). Nel tragitto si son perse (specie in America) nozioni fondanti: la nozione del debito, che nella nostra cultura non è senza colpa ed è divenuto un fine positivo in sé, incondizionato. La nozione della fiducia, senza cui ogni debito degrada. La nozione del limite. Il Padre nostro dice, in Luca 11, 2-4: «Perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore». In ebraico peccato e debito sono un’unica parola. La poetessa Margaret Atwood ricorda come il concetto di debito - essenziale nel romanzo dell’800: Emma Bovary si suicida perché un creditore non ripagato minaccia di rivelare il suo adulterio - sia oggi vanificato (Payback: Debt and the Shadow Side of Wealth, Toronto 2008). Soprattutto in America, le banche spingono all’indebitamento, più che a prudenza e risparmio. Scrive Zygmunt Bauman che un debitore che vuol restituire puntualmente (che «pensa al dopo») è sospetto: è «l’incubo dei prestatori». Non è «di alcuna utilità», perché il debito riciclato è fonte prima del loro profitto costante.
Ma il debito sconnesso da fiducia non è pungolato solo da banche o Wall Street. È un ottundersi generale dei cervelli, è l’ebete pensare positivo che il governante invoca con linguaggio sempre più pubblicitario, sempre meno politico. Main Street - che poi siamo noi, cittadini e consumatori - è vittima tutt’altro che innocente di Wall Street. Come nel Grande Crollo del ’29 descritto da John K. Galbraith, siamo affetti da una follia seminale (seminal lunacy) che accomuna potenti e milioni d’impotenti. Per questo è così vacuo il politico che incita a ricominciare i consumi come se niente fosse. Il suo dichiarare, i linguisti lo definiscono performativo: basta dire «la crisi non c’è», e la crisi smette di essere (le dichiarazioni performative sono predilette da Berlusconi). I politici sono responsabili, avendo ceduto a un mercato senza regole. Ora intervengono, ma senza curare la fonte del male. La crisi, cioè la svolta trasformatrice, è rinviata.
Naturalmente hanno le loro ragioni: il crollo dei consumi farà male. Stephen Roach, presidente di Morgan Stanley Asia, ricorda che comporterà disoccupazione dilatata, ulteriori cadute dei redditi e del valore delle case, aumento dei debiti, credito scarso. Ma qualcosa di non negativo può nascerne: un rapporto col debito più realistico e leale, una fiducia riscoperta, un consumo adattato alle possibilità (New York Times, 28 novembre).
Crisi vuol dire decidere, a occhi non sbarrati come la massaia del ’52 ma aperti: sul peggio sempre possibile, sulle bugie del pensare positivo, sulla duplice responsabilità verso
giovedì 4 dicembre 2008
La frustrazione del numero zero
Certo che scrivere sotto padrone, comporta un asservimento così totale da paralizzare il cervello già portato all’ammasso, da ottundere qualunque capacità logica di scrivere. In tal modo, senza verificare la connessione tra organo cerebrale e arti superiori, il pennivendolo perfetto fa scorrer le sue dita sulla tastiera, senza alcuno spartito che non sia il pentagramma aziendale. Se poi si tratta di un maschietto al quale viene commissionata la marchetta contro una collega, che ha l’aggravante di essere telegenica, bella e intelligente ecco che l’articolessa si trasforma in un bestiario dei più triti e tristi luoghi comuni della misoginia a tutto campo. Che pena usare la penna a mo’ di pene di tal Massimo Bertarelli, uomo chiaramente in chiara difficoltà con il sesso femminile. Servo e frustrato: non c’è sorte peggiore.
giovedì 04 dicembre 2008, 07:00
Il fuorigioco di Ilaria, «rigorista» di Murdoch
di Massimo Bertarelli
www.ilgiornale.it
Ilaria D’Amico è una abituata a prendere tutti di petto. Da Mourinho a Berlusconi. Lei è fatta così. E bisogna ammettere che è fatta piuttosto bene. Come sanno da anni gli abbonati di Sky, ai quali appare ogni domenica di campionato, la gonna abbondantemente mini e la scollatura decisamente maxi. Insomma, non è tipo da passare inosservato. Anche perché, indiscutibili doti fisiche a parte, è fornita di un notevole scilinguagnolo. Perfetta per l’azione di sfondamento decisa da Sky contro Palazzo Chigi, colpevole di avere alzato dal dieci al venti per cento l’Iva sui canoni della pay-tv.
Ecco dunque in azione dai teleschermi di Sky Ilaria nostra, trasformata da pasionaria dell’area di rigore in temeraria rigorista pro-Murdoch. Calpestando con studiata eleganza l’abituale pedana calcistica, in abbigliamento più castigato del consueto, ma senza rinunciare a mettere in mostra le interminabili gambe, tutta vestita di nero (segno inequivocabile di lutto), perfino la lunga chioma ancor più corvina, le spalle scoperte ma non troppo, ha lanciato il suo drammatico proclama. Se Churchill prometteva agli inglesi lacrime e sangue, lei si è limitata ai lucciconi. Ben trattenuti dentro gli occhioni bistrati, ma si capiva che erano lì pronti a spuntare da un momento all’altro. Sarebbe bastato un lieve tocco del tacco destro sulla caviglia sinistra, come un Gattuso con più stile, per far sgorgare la cascata.
Sono stati tre minuti e cinquantasei secondi, come si può tuttora verificare su YouTube, degni di Eleonora Duse. Chissà quanti applausi ha udito in cuor suo la statuaria telegiornalista, magari tutti quelli dei quattro milioni e mezzo di abbonati, se la straordinaria performance iniziale è stata rimandata nell’etere decine e decine di volte. Come si usa fare con la moviola dei casi più controversi. L’aria ora spavalda, ora lamentosa, l’incedere da primadonna, il brogliaccio con gli appunti tenuto leggiadramente tra le dita affusolate. Con la telecamera che di tanto in tanto, un po’ maliziosamente, inquadra
Alle spalle titoloni di giornali («Scoppia il caso Sky: è conflitto d’interesse»; «Pay-tv, scoppia il caso Sky») e telegrafici cartelli giganti, come si suol dire, ad hoc («Dal 10 al 20%»; «4 milioni e 500mila famiglie italiane»), mentre Ilariona sibila, sommessamente la sua filippica: «È una sorta di Robin Tax che colpisce solo alcune famiglie, togliendo ad alcune famiglie»; «una vera stangata»; «voi lo capite pagando di tasca vostra»; «un momento in cui bisogna aiutare le famiglie ad essere alleggerite». Mamma mia, che impressione.
«Noi siamo diventati novemila, assumendo nell’ultimo anno, che è stato il più difficile, cinquecento persone», aggiunge, cercando di solleticare l’istinto patriottico degli italiani in ascolto. «Inutile dirvi che noi pensiamo e speriamo, e crediamo che sia profondamente giusto, - ha concluso - in un ripensamento da parte del Parlamento, che ora si troverà a canalizzare insieme a tutto il pacchetto questa decisione. Nel frattempo continuiamo a proporvi un prodotto di grande qualità». Ben detto, compreso l’agghiacciante «canalizzare». Il de profundis per Berlusconi, firmato Murdoch è una pietra miliare contro tutte le tirannie. Altro che l’orazione funebre di Antonio, targata Shakespeare.
Tanto rumore per nulla, si può dire adesso, restando in zona. Proprio ieri la portavoce dell’Unione europea per il Fisco, Maria Assimakopoulou, di cui non si conosce nemmeno il lato A, ha spiegato che «se l’Italia insisterà nel non cambiare le aliquote Iva sulla tv a pagamento,
mercoledì 3 dicembre 2008
Puffolandia
Questo è il promo contro la chiusura delle tre reti Fininvest in cui, sulle note di "Yesterday", si ripercorrono dieci anni di successi ed eventi trasmessi da Canale 5, Italia Uno e Retequattro. (3 dicembre 2008)
Non è affatto una cattiva idea quella di ricorrere all’archivio per capire meglio perché sia paradossale la diatriba che oppone Sky a Mediaset, al punto da oscurare gli insani provvedimenti assunti in campo energetico. Uno scontro tra titani, lo Squalo contro il Caimano e il centrosinistra che, per non farsi mancare nulla, si schiera con il plutocrate straniero (da avversare allo stesso modo di quello italiano).
La storia si ripete, i lamenti pure, come sempre quando c’è di mezzo (difficile che non ci sia) l’ometto B., tessera P2 n° 1816. Si propone, così, la quintessenza del contrappasso. Perché correva l’anno 1984 quando fu la Fininvest , invece, a scatenare la teleprotesta. E intanto Rete4 continua a trasmettere abusivamente, nonostante i ripetuti pronunciamenti Ue, la medesima Unione citata adesso, con tanto trasporto, dai berluscloni.
Negli articoli sottostanti, tutti tratti da “la Repubblica ”, è possibile leggere:
1. il gustoso commento di Paolo Guzzanti, quando lo stesso esprimeva il meglio scrivendo (1984);
2. le reazioni del mondo politico (1984);
3. una significativa dichiarazione di Craxi (1984);
4. la rubrica “Il sabato del villaggio” di Giovanni Valentini (2003).
MIGLIAIA DI TELEFONATE PER SAPERE PERCHE' SONO SCOMPARSI I PUFFI
di PAOLO GUZZANTI
ROMA - "Si è spenta quasi tutta la scatola", singhiozza un bambino al telefono. E un altro si è sepolto sotto al tavolo in preda a frustrazione incupita: si succhia il dito e non c' è verso di tirarlo fuori. Nelle città oscurate dai pretori ognuno conosce le reazioni dei bambini. Ma gli adulti? La gente della strada e del mercato, dell' autobus e della coda allo sportello, come l' ha presa? L' ha presa esattamente come i bambini. Ieri a migliaia hanno tempestato di telefonate Palazzo Chigi, la pretura, i giornali. Se i piccoli possono succhiarsi regressivamente il dito per avere smarrito i Puffi (i nani blu che imperversano da padroni sulle infanzie recenti), gli altri, gli adulti, hanno perso altre continuità, altre frequentazioni con la favola, salvo altère e sospette eccezioni. Hanno (difficile confessarlo) perso uno dei ritmi acquisiti della vita: colpiti nell' attesa, minacciati in un frammento di esistenza. I più incolleriti e disperati? Tutti coloro che non sanno nulla della questione politica delle televisioni private, delle leggi mancate e della grande partita a colpi di furbizia. E sono la quasi totalità: gente che non ha mai sentito la parola "interconnessione", ma che constata con rancore come il televisore di casa, un accessorio della vita, sia stato in qualche modo manomesso, guastato. Una signora anziana e sola: "So tutto su questa storia, ho letto i giornali. Ma quello che i giudici fanno è ingiusto anche se agiscono in nome della legge. La televisione privata, in questo paese che ignora i deboli, è diventata un servizio pubblico: che offre gratis emozioni, favole, sorrisi e anche qualche lacrima. A me piace piangere e passare il tempo. Sarà stata osservata la legge, non discuto. Ma c' è qualcosa di disumano in questa operazione: qualcosa che colpisce i più poveri e i più deboli nella loro fragilità, nei loro minuscoli equilibri di vita". La gente del bar, tassisti, pensionati, ragazzini e autisti di autobus in pausa, va meno per il sottile. La televisione ha i suoi simboli. Per loro il simbolo della Rai è Pippo Baudo; quello delle private Maurizio Costanzo. Di pretori e legislatori non ne sanno e non ne vogliono sapere niente: è un duello tra samurai, quello che loro vedono. E
ADESSO TUTTI SCOPRONO CHE OCCORRE UNA LEGGE
ROMA (d. b.) - I politici hanno scoperto che una legge di regolamentazione dell' emittenza radiotelevisiva è indispensabile, urgente e che la situazione attuale non si può procrastinare. Questo è più o meno il senso di tutte le dichiarazioni dei leader raccolte a caldo. Tutte indignate o preoccupate con poche distinzioni.
DOMANI CONSIGLIO DEI MINISTRI PER RIATTIVARE LE TV OSCURATE
ROMA - Se oggi non interverrà un provvedimento amministrativo che consenta di riaccendere su tutto il territorio nazionale i tre networks di Berlusconi, domani si riunirà il consiglio dei ministri per approvare un decreto legge in proposito. Lo ha detto Craxi mentre si recava in volo a Londra: "Ci vuole un provvedimento che ristabilisca la certezza del diritto in questa materia, l' eguaglianza di trattamento dei cittadini e il dominio del buon senso". E alla domanda dei giornalisti se si riferisse ai pretori ha poi risposto: "Certo non mi rivolgo ad ignoti". Il presidente del Consiglio ha infatti chiesto al ministro delle Poste Gava di emanare un decreto amministrativo di interpretazione dell' articolo 195 del codice postale. Dandone una diversa "lettura" verrebbero a cadere i motivi in base ai quali i pretori hanno disposto il parziale oscuramento delle tre reti. (…)
di DANIELA BRANCATI
E ora va in onda il pianto greco
Era la mattina del 16 ottobre 1984 quando nuclei della Polizia postale e della Guardia di Finanza, in esecuzione dei decreti penali firmati dai pretori di Torino, Roma e Pescara, disattivarono gli impianti per le interconnessioni televisive oltre l' ambito locale. Fino ad allora, sulla base delle sentenze emesse dalla Corte costituzionale a partire dal 1976, le tv private non potevano trasmettere simultaneamente su scala nazionale, bensì su un territorio circoscritto. Nulla vietava dunque alla Fininvest di modificare il suo palinsesto, in modo da rispettare la legge e l' intervento della magistratura. E invece i telespettatori del Piemonte, del Lazio, dell' Abruzzo e di una parte delle Marche, sintonizzandosi quel pomeriggio sulle reti del Biscione, trovarono sul video soltanto nebbia, nevischio o sabbia. Molti pensarono subito a un guasto dell' apparecchio o dell' antenna, ma i canali della Rai e delle tv locali si vedevano perfettamente. Finché, alle 20,20, sui monoscopi della Fininvest apparve in quelle regioni un cartello: "Per ordine del pretore di Roma (o di Torino o Pescara - ndr) è vietata la trasmissione in questa città dei programmi di Canale 5 (o di Italia 1 o di Retequattro - ndr) regolarmente in onda nel resto d' Italia". I quotidiani dell' indomani accreditarono in buona fede la versione tendenziosa divulgata da Segrate. In realtà non si trattò di un "oscuramento" disposto dai pretori: era piuttosto una serrata, decisa dall' azienda per rendere più visibile la sua contestazione e provocare le reazioni del pubblico. Bastò infatti quel black-out di mezza giornata per scatenare le proteste degli spettatori, improvvisamente privati delle avventure dei Puffi per i loro bambini e più tardi delle puntate di Dallas o di Dinasty. Da lì a pochi giorni, toccò al governo socialista guidato da Bettino Craxi convocare d' urgenza il Consiglio dei ministri, nella giornata di sabato 20 ottobre, per emanare un controverso decreto-legge che sanava provvisoriamente la situazione e consentiva alla Fininvest di continuare le trasmissioni sul territorio nazionale. Un provvedimento ad personam, definito dallo stesso governo "eccezionale e temporaneo", destinato a durare un anno, in attesa di una riforma generale della televisione che ancora aspettiamo. Dal fronte dell' opposizione, a nome del Pci fu Walter Veltroni ad avvertire: «Il decreto che si va profilando è assurdo e incostituzionale, poiché legittimerebbe quel monopolio privato che
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SONO passati vent' anni e la storia purtroppo si ripete. Ora, dopo il veto del Quirinale, sulle reti Mediaset va in onda il pianto greco, come quello della tragedia classica. Va in onda anzi a reti unificate, visto che al coro si associa anche il direttore generale della Rai, dimostrando una volta di più il livello di subalternità raggiunto dall' azienda pubblica nei confronti del polo televisivo privato. Quest' ultima replica si potrebbe intitolare "Il ricatto occupazionale" ovvero "La minaccia dei licenziamenti in massa". Come accadde già nel 1984 per la "rivolta dei Puffi", e successivamente durante la campagna per il referendum sulle tv, anche adesso si tende a innescare la teleprotesta popolare. Ma è soltanto l' ennesima mistificazione di un potere mediatico che si difende con le stesse armi che detiene abusivamente, cioè in un quantitativo illegittimo, come ha sentenziato più volte
Giovanni Valentini
(1 dicembre 2008)