lunedì 11 dicembre 2006

Lager 2006


Sarà anche vero che Francesco Caruso, parlamentare di Rifondazione Comunista, viene fatto passare come il “Pierino” di Montecitorio, però questo racconto in presa diretta, scritto sul suo blog AltroSud, colpisce in modo profondo. Caruso si è rinchiuso nel Centro di prima accoglienza di Crotone, per richiamare l’attenzione della sempre più svagata opinione pubblica, attualmente impegnata nello shopping di prammatica, sulle miserevoli condizioni in cui vivono (?) gli immigrati che sbarcano sulle coste italiane convinti di essere approdati in un mondo nuovo, mentre passano dalla “padella” scafisti alla “brace” Cpt, une delle vergogne che un Governo di centrosinistra dovrebbe abolire al più presto e, più in generale, indegni di un Paese che si ritiene così democratico da contribuire all’esportazione della stessa democrazia.


“Nel modulo b1 del Cpt di Crotone, le luci a mezzanotte si spengono automaticamente.


Ahmed e Ibrahin hanno finito per forza di cose di giocare a scacchi e mi lasciano (tutto per me) quel materasso buttato lì per terra, che viene usato a mo' di divano, per stendermi e cercare di dormire qualche ora.


Chiudo gi occhi a più riprese per la stanchezza, ma non ce la faccio a dormire, sono troppo 'abbuffato', per dirla alla napoletana.  Come nei classici cenoni di Natale di un tempo dalla nonna, arrivi ad un certo punto che non ce la fai più.

Ma qui non sono cibi e bevande che ti riempiono lo stomaco fino all'inverosimile, ma un mare incontenibile di angoscia e disperazione umana che ti bombarda la coscienza, ti riempie di rabbia, ti lascia l'amaro in bocca. E ogni storia è un pugno nello stomaco, così uguale a quella precedente, così diversa da quella successiva.

Dopo otto ore di racconti e di parole, vorresti gridargli di smetterla, di  avere pietà del tuo senso di colpa, ma loro si aggrappano a te, a quel filo di speranza che lo sconosciuto, primo, unico visitatore possa capire e fare qualcosa per farli uscire dal cast di questo assurdo film dell'orrore in cui sono finiti, loro malgrado, nel ruolo di inconsapevoli protagonisti.


La trama è quasi sempre la stessa, seppur con le dovute sfumature: la casa e la famiglia distrutta e dilaniata dai nostrani bombardamenti umanitari o gli scontri etnici trapiantati in terre ricchissime di oro e di petrolio di cui gli abitanti del luogo non hanno mai potuto beneficiare; la fame e la miseria che  falcidiano i sopravvissuti a quelle violenze e la lunga traversata a piedi nel deserto sotto il sole a 50 gradi che falcidia i sopravvissuti dei sopravvissuti, e poi ancora la drammatica traversata sulle carrette del mare che decimano i sopravvissuti dei sopravvissuti dei sopravissuti e lasciano in fondo al mare i corpi di donne, ragazzi e bambini morti imbrigliati nel filo spinato di questo Mediterraneo diventato ormai il nuovo muro di Berlino che non divide più l'est e l'ovest del mondo, ma il nord ricco ed opulento da un sud lacerato, povero e abbandonato.


Ma i vincitori di questa drammatica roulette russa, alla fine di questo calvario, non trovano accoglienza e solidarietà, ma un nuovo capitolo di dramma e crudeltà.

Non lo sanno ancora, e a stento riusciamo a spiegarlo, che è vero, sono arrivati nella democratica e moderna Europa, ma i loro corpi sono rinchiusi in uno dei tanti buchi neri della democrazia e dello stato di diritto: sono

rinchiusi dentro un Cpt. Sono in attesa di essere espulsi, di ritornare indietro di chissà quante caselle in questo perverso gioco dell'oca, la cui posta in gioco è la loro stessa vita.


È questa l'Europa che hanno conosciuto e conosceranno, questo ennesimo girone infernale rinchiuso in queste quattro mura cinte da un'inferriata, strette in un'altra inferriata e poi un muro di cinta e poi ancora una rete di filo spinato.

Dopo ore di paziente ascolto e discussione, ti accorgi che per la stragrande maggioranza di loro non ci sarebbe nemmeno bisogno di organizzare un'evasione, ma un semplice e banale ricorso all'espulsione: gli irakeni, i sudanesi, i palestinesi avrebbero il diritto all'asilo o quantomeno alla protezione umanitaria, ma nessuno si è preoccupato di informarli.


E così dalla protesta politica scivoliamo progressivamente verso l'assistenza legale e umanitaria, a fare domande di asilo e nominare gli avvocati, a tradurre e decodificare le maglie della burocrazia repressiva nelle quali sono rimasti imbrigliati.

Qui l'assurdità non è pura follia, ma quotidiana ordinarietà: è inutile descrivere ogni caso personale e 'umano'. Alla fine, per divincolarci dalla pur onorevole funzione di assistenza sociale e mera solidarietà, cerchiamo di riportare alla politica la nostra 'internità' al Cpt, vorremmo organizzare un'assemblea di campo con tutti i migranti, cerchiamo di discutere delle condizioni di vita, le carenze e le deficienze di questa struttura, ma non ce la fanno e forse nemmeno gli interessa la qualità del cibo, le condizioni igieniche, i servizi e le strutture. No, mi ripetono con straordinaria lucidità politica, non è questo il cuore del problema. Il punto dirimente non è 'how', ma il 'why' della loro detenzione amministrativa.


Non è il come, ma il perchè. Non è il televisore che non funziona, quello si ripara o magari si compra anche a colori. È qualcosa di molto più prezioso e delicato quello che non funziona: qui, in questi lager etnici, si è rotta la democrazia, si è frantumata la libertà”.


Crotone, 10 dicembre 2006


 

1 commento:

  1. stone, quel tuo post, di cui mi hai regalato uno stralcio, è molto interessante e per nulla superficiale, introducendo anzi argomenti non convenzionali.

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