Le
radici dell' odio contro gli ebrei
Pietro
Citati
Le
origini dell'antisemitismo sono antichissime. Era già diffuso, lungo
i paesi del Mediterraneo, nel quarto o terzo secolo avanti Cristo,
quando ebbe luogo la prima emigrazione giudaica. Sugli ebrei
circolavano leggende simili a quelle narrate dai cattolici sino alla
fine del diciannovesimo secolo, e oggi ripetute dai musulmani.
Persino Tacito, il più grande e severo tra gli storici, che non
sapeva niente di Israele, raccontava che gli Ebrei - questa
taeterrima gens, «pervicacemente superstiziosa», «odiata dagli
dei» - venerava una testa d' asino. Un altro storico, Apione, diceva
che nel loro Tempio compivano sacrifici rituali di stranieri,
ingrassati a forza come Pollicino. Solo la menzogna è immortale. La
spiegazione di questo antisemitismo è semplicissima.
Tra
i popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente, gli Ebrei erano
(quasi) gli unici Monoteisti. Mentre gli altri popoli possedevano un
pantheon colorato, che accoglieva sempre nuove figure, fuse e
mescolate con quelle antiche, gli Ebrei avevano un solo Dio: unico,
esclusivo, eternamente immutabile, che non nasceva come gli dei greci
e non moriva come quelli egiziani. Questo Dio era possente e
tremendo, e non poteva venire rappresentato con immagini umane o
animali. Bisognava osservare la Legge, che egli aveva promulgato, i
riti che aveva imposto, ed essere puri. Chi cercava di restare puro,
doveva vivere separato: non condividere i pranzi con i vicini pagani,
dove si mangiavano cibi che il rito proscriveva; e a volte nemmeno
parlarne la lingua. Come dice Tacito, questi «misantropi» erano
«separati a tavola». Nessuno straniero doveva entrare, pena la
morte, nel Tempio di Gerusalemme. Nessun ebreo doveva venerare le
statue degli altri dei o degli Imperatori, mentre i pagani veneravano
sia Dioniso sia Osiride, sia Demetra sia Iside, Augusto, Nerone e
Caligola. Così la vita degli Ebrei, per quanto attivi, mobili e
curiosi (quali occhi chiari ed avidi spalancarono sul mondo!), era
concentrata su un punto: quel Dio luminoso-oscuro, che si rivelò
durante l'esodo tra le fiamme e le nuvole del cielo.
Mai
un popolo portò sino a un punto così alto e profondo la passione
religiosa: furibonda, ardente, meticolosa, capace di sottigliezze
intellettuali meravigliosamente acute. Per questo, sebbene fossero le
persone più tolleranti (come Filone d'Alessandria, vissuto al tempo
di Cristo), furono anche i più fanatici: come gli Zeloti, che nel
66-70 d.C. difesero contro i Romani il Tempio di Gerusalemme. La
passione religiosa dei cristiani e dei musulmani è, nel suo fondo,
quasi completamente ebraica; e per questo alcuni di loro, oggi,
odiano gli Ebrei. Si odiano soltanto i propri simili.
Molti
parlano con sufficienza delle religioni politeistiche. Quale
bellissimo cosmo era quello egiziano o greco, dove l'essenza divina
si moltiplicava in migliaia di forme, il sacro veniva rappresentato
in ogni figura, sia astratta sia animale sia umana; e dove cento
rapporti legavano tra loro le divinità, fino a farci intravedere,
dietro le differenze apparenti, la parola segreta di un solo Dio! Nel
mondo greco, il fanatismo religioso era molto più raro che nei
monoteismi ebreo, cristiano, ed islamico. Non c'è violenza peggiore
di quella dell'imperatore cristiano Teodosio, che nell'anno 426 d.C.
fece abbattere le bellissime colonne dei templi di Olimpia: il
terremoto lo soccorse. Ora le colonne doriche e corinzie stanno a
terra, tagliate come fettine d'arancia; e solo i pini, dolcemente
smottati dalle vicine colline, le consolano in silenzio per le ferite
della storia.
Proprio
perché gli Ebrei vivevano separati, attraevano le immaginazioni dei
popoli antichi. Molti stranieri portavano offerte votive e ordinavano
sacrifici ai sacerdoti dell'immenso Tempio scintillante d'oro, due
volte costruito, due volte distrutto: la seconda volta per sempre.
Quale era il vero Dio d'Israele? Cosa accadeva nel Tempio di
Gerusalemme, dove i pagani non potevano penetrare? Qual era il nome
segreto di Jahwe, ignoto persino al suo popolo? Quando sarebbe venuto
il Messia, il Cristo? Forse non ci fu evento che colpì le fantasie
antiche come ciò che accadde nel 63 a.C.. Pompeo Magno entrò nel
Tempio di Gerusalemme, penetrò sino al Santo dei Santi, la piccola
stanza dove aleggiava lo Spirito di Dio, e dove solo il Sommo
Sacerdote poteva insinuarsi una volta l'anno. Non scorse nulla. La
stanza era completamente vuota. Dunque il cuore della religione
giudaica era un bugigattolo pieno di ragni? Certo, alcuni Greci e
Romani compresero che il Santo dei Santi era vuoto perché solo il
Vuoto può alludere all'essenza inafferrabile e incomprensibile di
Dio.
* * *
Nel primo secolo dopo Cristo, dall'ebraismo si
distaccò, come un gracilissimo albero presto destinato a diventare
una foresta rigogliosa, il Cristianesimo, questa eresia giudaica.
Quasi tutto il Nuovo Testamento può essere commentato, come circa
ottant'anni or sono hanno fatto due studiosi tedeschi, L. Strack e P.
Billerbeck, con frasi che appartengono alla tradizione ebraica.
L'Apocalisse di Giovanni è un testo giudaizzante scritto contro i
Giudei. Certo, queste frasi non contengono mai l'affermazione che
Gesù è il figlio di Dio incarnato (perché per gli Ebrei e l'Islam
è scandaloso che Dio assuma un corpo umano); né che è morto e
risorto (affermazione ancora più scandalosa). Queste furono le
fondamenta della nostra fede. Per gli Ebrei, Gesù era soltanto un
falso Messia: un Messia eretico; qualcuno di loro lo trovava "un
uomo saggio"; qualche altro (non Pilato) lo fece uccidere. Una
generazione più tardi, il sommo sacerdote sadduceo, Anano, ordinò
di lapidare Giacomo, fratello di Gesù, capo della comunità
giudeo-cristiana di Gerusalemme. Molti Farisei, ancora vicini ai
giudeo-cristiani, non approvarono questa uccisione.
Oggi,
colla nostra apparente tolleranza, condanniamo quei delitti
religiosi: ma non posso dimenticare che quei morti innocenti si
moltiplicarono durante venti secoli in milioni di morti ebrei (non
conto quelli sterminati da Hitler). Purtroppo, la passione religiosa
porta anche a questo. Malgrado ciò, è la migliore delle passioni:
accende la fantasia, risveglia l'immaginazione, dà forza e movimento
alle idee, costruisce edifici intellettuali, incanalando la follia
umana. Nel secolo scorso, abbiamo visto che la pura passione politica
- nazismo e comunismo - conduce ad Auschwitz e alla Kolyma: massacri
incomparabili con qualsiasi pogrom.
Dopo la metà del secondo
secolo dopo Cristo, Israele rinunciò (sebbene non completamente) a
realizzare il regno di Dio in terra, qui ed ora: il più terribile
dei desiderii. Cominciarono i secoli oscuri, nei quali la diaspora si
moltiplicò in ogni direzione, perché gli Ebrei erano destinati a
diventare il sale della terra. Israele accettò di porre il collo
"sotto il gioco delle potenze terrene", come aveva detto
Geremia. Israele visse bene, o relativamente bene, sotto il dominio
dei Califfi e dei signori islamici, immerso nel profumo dell'Islam,
come ha raccontato stupendamente Abraham B. Yehoshua in Viaggio alla
fine del millennio (Einaudi). Gli Ebrei vissero male o malissimo
sotto il dominio dei re, dei papi e dei sacerdoti cristiani,
perseguitati per il deicidio che avevano commesso (e che avevano
effettivamente commesso, senza saperlo): sfruttati, derubati, uccisi
con la spada, sgozzati, bruciati, stuprati, costretti con la forza
alla conversione. La causa principale di questa persecuzione sono i
Vangeli, le Lettere di San Paolo, gli Atti degli Apostoli e
soprattutto l'Apocalisse: testi fatalmente antisemiti, perché la
nuova religione si liberava con violenza dalla antica Madre. La
storia si ripeté quindici secoli dopo, tra luterani e cattolici.
Israele
visse in segreto dal III al XVIII secolo, leggendo la Bibbia,
interpretandola secondo la lettera, i simboli e le speculazioni
numeriche, cercando testi arabi, cristiani e greci, creando grandiosi
miti cosmogonici e teologici, come nel sedicesimo secolo la Cabala di
IzchakLuria. Allora, gli ebrei immaginarono un doppio atto creativo
da parte di Dio. In un primo momento, Egli si espande, si allarga, si
apre, si manifesta, ispirato dalla forza dell'amore, gettando nello
spazio la luce delle sue emanazioni, le dieci Sefirot. Questa luce è
troppo sfolgorante, perché lo spazio possa sopportarla; e viene
contenuta e fasciata in dieci "vasi". La sorte
dell'universo resta in bilico per un istante. La forza della pura
luce divina è così sovraeminente, così "tremenda e
meravigliosa", che non sopporta adombramenti. I "vasi"
delle sette Sefirot inferiori si frantumano sotto l'urto
violentissimo della luce; e le scintille divine si sparpagliano in
ogni angolo della futura creazione - negli uomini, ebrei o gentili,
negli animali, nei laghi, nei ruscelli, nei fiumi, nei mari, nelle
pietre, nelle erbe, nei cibi, nel Male. Le scintille divine sono
dovunque: ma esiliate, degradate, avvilite, prigioniere delle potenze
demoniache. Tutto viene macchiato, spezzato, frantumato. Tutto è
desolazione e disperazione.
La Shechinà, il volto femminile di
Dio, percorre esiliata le contrade dell'universo. Ora brilla soltanto
di una debole, pallida, luce riflessa, come la "sacra luna":
menomata, rimpicciolita, coperta d'ombra. Ora è una principessa che
il padre e la madre hanno cacciato, senza colpa, dal regno: ora è
una donna bellissima, che un pirata ha reso schiava; ora una vedova
vestita di nero, che piange ai piedi del Muro di Gerusalemme; rapita,
calunniata, esposta a tutte le debolezze umane. Avvolta in manti che
le nascondono il viso, essa fugge, scompare, si nasconde - e sulla
terra restano poche tracce: orme di passi, vesti abbandonate,
fuscelli di paglia.
Durante uno dei suoi viaggi, un rabbi polacco
arriva, verso il far della notte, in una piccola città dove non
conosce nessuno. Non trova alloggio, fino a quando un conciatore lo
conduce con sé, nel triste vicolo dei conciatori. Egli vorrebbe dire
le preghiere della sera, ma l'odore della concia è così acuto che
non riesce a pronunciare una sola parola. Esce e va alla scuola
rabbinica, che tutti hanno già lasciato. Mentre prega a capo chino,
comprende che anche la Shechinà è finita in esilio, abbandonata nel
vicolo dei conciatori. Scoppia a piangere per l'afflizione, versa
tutte le lacrime che la sofferenza e l'angoscia avevano raccolto nel
suo cuore, finché cade a terra svenuto. Mentre giace esanime, la
Shechinà gli appare nella sua gloria: una luce abbagliante in
ventiquattro gradazioni di colori. "Sii forte, figlio mio",
gli dice. "Grandi dolori ti attendono: ma non temere finché io
sarò presso di te". Sebbene la gloria di Dio sia stata umiliata
e ferita, essa splende come sempre. Le piccole scintille divine si
sono diffuse in ogni luogo, come il lievito che penetra il pane.
Tutto è diventato sacro.
*
* *
Due secoli or sono, i ghetti si aprirono. Gli Ebrei vennero
alla luce, ebbero un cognome, entrarono all'Università, scrissero,
composero musica, studiarono la scienza e il diritto, insegnarono,
diressero Banche, industrie e giornali. Fu l'esplosione più
grandiosa della storia europea: una immensa vitalità e intelligenza
percorsero all'improvviso le vene dei nostri paesi. Questa esplosione
ha una sola analogia: quella dell'Islam, nel settimo, ottavo e nono
secolo, quando gli Arabi conquistarono paesi, appresero il greco,
studiarono le scienze, fabbricarono automi, costruirono moschee
imitando le basiliche cristiane, assorbirono la eredità della
religione zoroastriana, raccontarono al mondo le Mille e una notte.
Quale forza trassero gli Ebrei da una vita vissuta, per diciotto
secoli, sotto il segno dell'immaginazione religiosa e della
intelligenza talmudica. La letteratura, la scienza e la psicologia
del diciannovesimo e specialmente del ventesimo secolo sono, per
metà, dovute ad ebrei, o a mezzi ebrei, nei quali la goccia del
sangue giudeo dava nuovo vigore a quello cristiano.
Venuti dalla
Russia, dalla Spagna, dalla Polonia, dal Medio Oriente, gli ebrei
diventarono francesi, tedeschi, italiani, inglesi meglio dei
francesi, dei tedeschi, degli italiani e degli inglesi. Con la loro
straordinaria qualità di metamorfosi, diventarono come noi. Le
sofferenze e i massacri erano dimenticati: non c'era più né Bibbia,
né Shechinà vagabonda, né il suono delle trombe d'argento davanti
al Tempio, né il nome segreto di Dio. Ricordo, per esempio, la
famiglia di Simone Weil, completamente ebraica, dove c'era lo stesso
profumo che nella casa di Proust: ma più antico e profondo, perché
la famiglia della madre di Simone veniva dalla Galizia. C'era lo
stesso sapore di Francia borghese: la buona cultura, l'agio nascosto,
i bei modi eleganti, la finezza psicologica, la musica, l'arte della
conversazione, la discrezione, la gaiezza sapientemente velata con la
malinconia - come se soltanto il sangue ebraico potesse portare il
genio della Francia borghese alla sua espressione più pura.
In
questa entusiastica aderenza alla civiltà occidentale, gli Ebrei
guadagnarono e persero molto. Qualcuno di loro, come Simone Weil,
odiò (senza conoscerla) la propria eredità biblica. Qualcuno la
ignorò completamente. Avevo un amico carissimo, Giorgio Bassani, che
era vissuto a Ferrara, borghese ebreo tra borghesi cattolici, con
appena un lieve ricordo di cucina giudaica e di candelabro dalle
sette braccia. Molti anni fa, gli feci leggere un mio saggio su
Nachman di Breslav, un narratore chassidico del diciottesimo secolo.
Mi guardò coi suoi dolcissimi e durissimi occhi azzurri e mi disse:
"Pietro, che cose strane hai raccontato!". Quasi soltanto
Kafka comprese che qualsiasi sradicamento dalla tradizione si paga.
Con ogni probabilità, anche noi, cristiani, lo pagheremo. Ma gli
Ebrei lo pagarono troppo.
Nel diciannovesimo e nel ventesimo
secolo, l'antisemitismo fu soprattutto borghese. I medici, gli
ingegneri, gli scrittori, gli avvocati, i giornalisti, gli scienziati
cattolici o protestanti erano invidiosi degli ebrei, perché erano
più intelligenti e fantasiosi di loro. Non invano essi portavano,
occultata nel sangue, la Bibbia. La borghesia europea dell'Ottocento
fu, in buona parte, antisemita: perfino mio padre, il più mite tra
gli uomini. Tutto questo ha condotto ad Auschwitz. Alle vecchie
leggende e ai nuovi rancori, bastò aggiungere il genio criminale di
un pittorucolo austriaco.
Tra
le scoperte degli Ebrei, oltre alla Recherche, Il Castello, la
psicoanalisi e la Teoria della relatività generale, ci fu anche la
Rivoluzione Russa. Non voglio scoprire dappertutto segni genetici: ma
forse, come molti hanno scritto, Lenin e Trockij avevano il desiderio
nascosto di realizzare con la forza il regno di Dio in terra, come
venti secoli prima i giudei Zeloti, ribelli contro Roma. Ma Stalin li
espulse, li esiliò, li massacrò, li accusò di congiure
immaginarie. Anche in Russia, paese dell'impossibile, gli Ebrei
restarono separati, diversi, stranieri: anche là non appartenevano
alla terra, della quale non hanno mai veramente fatto parte. Questa
è, per noi, la loro benedizione.
*
* *
Mi scuso di una breve appendice contemporanea. Ho letto che, a
Oslo, i giurati del Premio Nobel per la pace avrebbero voluto
togliere il premio a Peres, perché partecipa al governo Sharon.
Arafat, assediato a Ramallah con la sua patata bollita al giorno,
come Pinocchio con le pere e le bucce di pera nella casina di
Geppetto, è invece degno di qualsiasi Premio. Mi pare giusto che
coloro che danno i Premi e conferiscono la Gloria contendendo con
l'eternità, si coprano di vergogna più di qualunque essere umano.
L'Europa
del 2002 non sopporta che venga meno un suo luogo comune. Dopo
Auschwitz, l'ebreo è la vittima: gasata nei campi di concentramento
nazisti, morta di gelo tra i pini nani della Kolyma, sulla quale si
possono piangere dolcissime lacrime sentimentali. Nulla è più
commovente che una gita ad Auschwitz con una scolaresca, a cui
insegnare ad essere buoni. Non si tollera che questo popolo di
vittime predestinate abbia dei carri armati. Il massimo che gli si
può concedere è andare al ristorante o al bar, ordinare una
spremuta di pompelmo e persino un whisky, camminare per le strade di
Gerusalemme o di Haifa, saltando per aria sotto le bombe dei
kamikaze, questi nuovi Cristi che si immolano, come dice
soavissimamente Giulio Andreotti, per la salvezza del genere umano.
(12 aprile 2002)