domenica 19 dicembre 2010

Le generazioni bruciate



La sordità, l'ignavia e la pavidità di un'intera classe dirigente da una parte le impedisce di ascoltare la protesta -  che è poi anche contestazione e ricusazione - di una larga parte della società civile, di categorie molto spesso ignorate, mentre dall'altro lato suggerisce di barricarsi nel Palazzo chiedendo assistenza e tutela proprio a quegli stessi poliziotti che, il giorno prima, erano confluiti con le loro rappresentanze, sotto la villa di Arcore, per denunciare l'avvilimento che patiscono con il taglio indiscriminato a stipendi e prestazioni, con la riduzione pesantissima di risorse che si traduce, poi, nella progressiva scomparsa della dignità.



Il portone di Montecitorio sbarrato, mentre nell'aula proprio sorda e più che grigia si compie l'ennesimo sfregio alla democrazia e alla Costituzione, nata dalla guerra antifascista; l'allargamento scriteriato della "zona rossa" a tutela di lorsignori, i quali sono ben consapevoli di essere protagonisti dell'ulteriore mortificazione inflitta ad un Paese che ha ancora una parte sana, ma non riempie il Parlamento (proprio perchè sana), rappresenta l'emblema degli ultimi giorni di un regime ormai avviato al tracollo. Un regime che ha paura dei cittadini, che è terrorizzato dal dissenso che sbugiarda "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude".

Ho raccolto, a modo mio, alcuni contributi per meglio capire ciò che sta avvenendo in questa Italia infettata dal morbo B., lobotomizzata dalle televisioni del cancro B., che hanno svezzato ragazzi cresciuti con il mito dei tronisti e delle veline, ma dove nonostante questa deriva culturale, etica e sociale si è anche formata una generazione che dice "no", che non ci sta e non vuole arrendersi alla prospettiva di un futuro inesistente. E se lo vuol riprendere.

Che siano, almeno, incazzati i giovani è proprio il minimo.



 

Il colloquio

Manganelli: noi, soli a fronteggiare l’emergenza sociale

Parla il capo della Polizia: svolgiamo un ruolo di supplenza della politica in condizioni difficili. «A Roma nessun infiltrato, solo personale in borghese»

 

CLAUDIA FUSANI

 

Tensioni sociali «in forte crescita in tutto il paese» provocate da una grave crisi economica e «dall’instabilità anche del quadro politico»: tutto questo «costringe la forze dell’ordine ad un’attività di supplenza sempre più complessa e delicata». Un «superlavoro» richiesto a chi, tra l’altro, vede stipendi sempre più ridotti. Il Capo della Polizia Antonio Manganelli cerca di ragionare, il giorno dopo il martedì nero di Roma messa a ferro e fuoco, sulla situazione generale.

Un’analisi che parte dalla manifestazione degli studenti. Ma poi comprende Terzigno con le cariche per i rifiuti e Brescia con quelle sotto le gru dove si erano rifugiati gli extracomunitari senza permesso di soggiorno.

Il giorno dopo al Viminale si mettono insieme i fotogrammi di una giornata durissima ancora da decifrare. Il bilancio del 14 dicembre romano è pesante, le foto delle devastazioni e del finanziere con l’arma in pugno hanno fatto il giro del mondo. Roma come Mosca, Madrid, Atene. Il bollettino della Digos della questura di Roma è abbastanza eloquente: 23 persone arrestate, 5 denunciate, 124 feriti tra le forze dell’ordine. È andata male ma poteva andare sicuramente peggio. Manganelli elogia il questore Francesco Tagliente e il prefetto Giuseppe Pecoraro, il vertice della gestione dell’ordine pubblico, e tutto il personale in servizio «capace di sostenere una situazione estrema con grande sangue freddo».

Che martedì sarebbe stata «una giornata ad altissimo rischio» lo dicevano i report delle Digos delle varie città e lo confermavano le segnalazioni di intelligence. Il mandato del Viminale era chiaro: garantire il diritto di manifestare e tutelare i luoghi istituzionali delle democrazia. I tentativi di assalto a Montecitorio, promessi e trascritti sui manifesti, non sarebbero stati tollerati. E così è stato. Lontano da quei luoghi, da palazzo Chigi, da Montecitorio, da palazzo Madama, al di là di una cintura di mezzi blindati posizionati lungo il perimetro ampio di una gigantesca zona rossa, è successo di tutto.

«Volevano sfondare e sfasciare, abbiamo visto momenti di violenza inaudita e gratuita. Autentica rabbia», dice Manganelli mentre scoppia la polemica sugli infiltrati, agenti provocatori mimetizzati nel corteo in attesa del momento opportuno, il più utile, per scatenare la guerra.

La parola infiltrati non è ricevibile dal Capo della Polizia che boccia ogni ipotesi di questo tipo. C’era, semmai, «personale in borghese lungo il corteo» per monitorare la piazza. «La foto del finanziere che sta stringendo la pistola - precisa il prefetto - è il fotogramma di una lunga e drammatica sequenza che purtroppo abbiamo visto in diretta e con l’audio acceso qui in ufficio sui video al plasma che rinviavano le immagini dai punti più critici della città. Quel finanziere era stato aggredito da un gruppo di manifestanti che gli avevano strappato manette, casco, giubbotto, manganello. Lui temeva che potessero prendere l’arma. Ecco perché l’ha impugnata, per difenderla». Intorno a lui, a proteggerlo, colleghi in borghese, a loro volta con felpe, cappucci, anche caschi, magari di altri corpi di polizia.



Chi ha incendiato la piazza? C’è stata una regia? Da dove sono saltati fuori i black bloc? Le domande del giorno dopo. I filmati ricostruiranno la dinamica dei fatti. «Anarchici, studenti, molti arrivati da fuori, dalla città del nord, più o meno organizzati. Dobbiamo ancora capire quali effettivamente erano le categorie in piazza. C’erano decine di migliaia di persone, molti volevano assaltare Montecitorio e noi dovevamo impediarlo. C’è stato un collegamento temporale evidente tra il voto di fiducia e l’inizio dei disordini.Tutto era già programmato». Ci si chiede perché non sia stato possibilefermare prima gli assaltatori. Ma non erano un gruppo individuato e individuabile,«all’improvviso nel corteo sisono staccati gruppetti di 50-100 persone, si sono travisate ...». Ed è cominciata la guerra.

Ma non finisce qua. Il problema è la rabbia sociale che c’è in giro. Giovani e meno giovani che poco o nulla hanno a che vedere con la politica e le ideologie e che sono gonfi di rabbia, disposti a tutto. «Rifiuti, Fiat, aziende che chiudono, tanti sono i focolai di tensione. Perché i rifiuti di Napoli devono diventare un problema di polizia? Semmai è di pulizia», ragiona il prefetto. «Madrid, Londra, Atene, le grandi capitali s’incendiano. È chiaro che c’è un problema che va al di là del quadro politico italiano. Ma è altrettanto chiaro che tensioni ed instabilità

politica ed economica costringono le forze dell’ordine a svolgere una sempre più difficile attività di supplenza. Un superlavoro richiesto a chi, tra l’altro, è pagato sempre meno». Tra i tanti cortocircuiti a cui assistiamo c’è anche quello di vedere il giorno prima - è successo lunedì - i poliziotti protestare contro il governo per gli stipendi tagliati. Erano gli stessi che il giorno dopo, martedì, difendevano quegli stessi palazzi da chi, come loro, chiede ascolto e diritti.

(16 dicembre 2010)




 



http://it.peacereporter.net/articolo/25844/Cattivi+pensieri



 

Cattivi pensieri



Il presidente della commissione Difesa: "Perché a Roma il finanziere con la pistola non ha sparato?" Un carabiniere: "Parole infelici e preoccupanti. Non serve usare le armi, ma una gestione più professionale dell'ordine pubblico"



Perché il finanziere aggredito durante gli scontri di Roma, quello fotografato con la pistola in mano, non ha sparato ai manifestanti? È l'inquietante domanda che il presidente della commissione Difesa della Camera dei Deputati, Edmondo Cirielli, ha posto in un interrogazione al ministro dell'Interno. Una provocazione che ha destato allarme negli stessi ambienti delle forze dell'ordine.

PeaceReporter ha raccolto le inquietudini di un carabiniere in servizio, che per ovvi motivi ha chiesto di rimanere anonimo.

 

Quelle di Cirielli sono dichiarazioni infelici - afferma il carabiniere - tanto più perché fatte nella veste di presidente della commissione Difesa. Invocare l'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine è preoccupante perché getta benzina sul fuoco, perché affronta in maniera sbagliata il problema e, non ultimo, perché lo fa un ufficiale dei carabinieri che, finito il suo mandato parlamentare, potrebbe tornare in servizio e combinare guai seri.

Nella sua interrogazione, il presidente della commissione Difesa invita il governo a ''meglio disciplinare'' l'uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell'ordine per consentirne un uso più disinvolto. Cosa ne pensa?

La legge è chiara nello stabilire che le forze dell'ordine possono usare le armi da fuoco per legittima difesa solo in presenza di un’offesa di almeno pari entità, quindi si presume che un agente tiri fuori l'arma quando si trova davanti gente armata allo stesso modo. L'uso di armi è consentito in circostanze estremamente gravi, ma qui si entra nel campo dell'interpretazione. Un'efficace gestione dell'ordine pubblico non dipende dall'uso delle armi, ma dall'adeguatezza numerica e professionale del personale.



A Roma non è stato solo il finanziere aggredito a tirare fuori la pistola: anche suoi colleghi carabinieri hanno estratto l'arma, come dimostra la foto pubblicata giovedì sulla prima pagina del Manifesto.

Quel finanziere e quei carabinieri sono stati lasciati soli. Come dicevo, se gli agenti messi in campo sono pochi e male addestrati, succede quello che non dovrebbe succedere, perché si creano facilmente situazioni in cui alcuni uomini rimangono isolati, cosa che non dovrebbe mai accadere, finendo in condizioni personali di pericolo che possono far perdere la testa. La questione non è se permettere o no un uso più disinvolto delle armi da fuoco: la questione è evitare di finire in situazioni pericolose, e ciò è possibile solo se gli uomini in campo sono in numero sufficiente, operano in maniera professionale e ben coordinata, con un buon supporto di intelligence, in maniera che la situazione sia sempre sotto controllo e nulla sia lasciato al caso.

Si profilano all'orizzonte nuove proteste contro la riforma Gelmini e, vista la situazione politica ed economica che stiamo attraversando, è facile prevedere un periodo molto 'caldo'. Pensa che la provocazione di Cirielli possa incidere negativamente su un'equilibrata gestione dell'ordine pubblico?

Confido nella tradizionale moderazione delle forze dell'ordine italiane, che solo in pochi e ben noti casi hanno perso la testa per i motivi a cui ho accennato prima. La provocatoria iniziativa del presidente della commissione Difesa non avrà ripercussioni se, come mi auguro, il ministro Maroni ignorerà le parole di Cirielli e se altrettanto faranno i mass media, soprattutto la televisione. Spero che questa interrogazione finisca dimenticata in un cassetto. Io la ricorderò con amarezza.

Enrico Piovesana

(17 dicembre 2010)

 

http://it.peacereporter.net/articolo/25850/Le+amnesie+di+Alemanno:+tre+arresti+e+tre+assoluzioni.+Ma+oggi++contro+le+scarcerazioni+altrui

 




Le amnesie di Alemanno: tre arresti e tre assoluzioni. Ma oggi è contro le scarcerazioni altrui



Un agguato contro un 23enne, una molotov contro l'ambasciata Urss, un tentativo di bloccare il corteo di Bush padre a Roma. Tre volte accusato, con 8 mesi di carcere. Poi sempre assolto

"Sono costretto a protestare a nome della città contro le decisioni assunte dalla sezioni II e V del tribunale di rimettere in libertà in attesa di giudizio quasi tutti imputati degli incidenti del giorno 14". Gianni Alemanno, sindaco di Roma, se la prende con i magistrati.

Il sindaco di Roma, da tempo in giacca e cravatta e modi urbani, è lontano anni luce dalla sua turbolenta 'giovinezza', celtica al collo a parte (ma quello è un ricordo affettivo e personale). Il fatto che stupisce è come Alemanno, che conta all'attivo tre arresti, otto mesi di carcere e proscioglimenti in tutti i tre i casi, non riesca a capacitarsi delle decisioni motivate dei giudici.

"C'è una profonda sensazione di ingiustizia - insiste Alemanno - perché i danni provocati richiedono ben altra fermezza nel giudizio della magistratura sui presunti responsabili di questi reati. Non è minimizzando la gravità di certi fatti che si dà il giusto segnale per contrastare il diffondersi della violenza politica nella nostra città".

L'arringa accusatoria viene da chi ha vissuto da protagonista ben altre stagioni della violenza politica. I casi in cui è rimasto impigliato l'attuale sindaco sono tre:



Novembre 1981 per aggressione di uno studente di 23 anni. (Ansa, 20/11/1981)

Nel 1982 viene fermato per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma, scontando poi 8 mesi di carcere a Rebibbia. (Ansa, 15/05/1988)

Il 29 maggio 1989 viene arrestato a Nettuno per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, tentato blocco di corteo ufficiale, lesione ai danni di due poliziotti, in occasione della visita del Presidente Usa George H. W. Bush (Ansa 29 e 30/05/1989).

In tutti e tre i casi l'Alemanno - direbbe il linguaggio da questura - ne riesce a uscire pulito dal punto di vista giudiziario. Ma i ricordi delle 'ingiustizie' subite, evidentemente, non giovano alle dichiarazioni ufficiali. "E' evidente che queste persone hanno dimostrato di essere soggetti molto pericolosi per la nostra città", ha detto ancora.

Chissà che fra i ragazzi scarcerati non si celi un prossimo ministro o sindaco dell'Urbe.

Angelo Miotto

(17 dicembre 2010)



Prime pagine de: il manifesto del 15 dicembre, il manifesto del 17 dicembre, Liberazione del 17 dicembre, il manifesto del 16 dicembre, il manifesto del 18 dicembre, l'Unità del 18 dicembre.

 

 


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