Un posto all'ombra. Di un immaginario da incubo
Tamar Pitch
Roberto Ferri ha rapito e sequestrato Carmen in un luogo segreto e sicuro. Questo succede dopo che Ferri ha cercato di impedire a Carmen di fare una vita normale, prima con le buone, promettendole una vita facile e ricca, poi con le minacce: niente. Carmen, infida, si fa sorprendere a telefonare al padre che vuole andare a vivere da lui, in povertà, pur di tornare libera di sé. Di qui gli ultimi (per ora) sviluppi di "Un posto al sole", telenovela che spesso riesce a mettere il dito sulle piaghe italiane assai meglio di tutti i talk show. Carmen è una bella ragazza, buona, brava e desiderosa di ricominciare la sua carriera di cantante. Purtroppo, però, è incinta: del figlio maggiore morto tragicamente del suddetto Ferri, ricco e potente imprenditore napoletano, che questo possibile nipote non vuol perderlo in alcun modo. E' così che, piano piano, Carmen è ridotta da Ferri a contenitore del sacro feto di suo figlio morto. O meglio, Ferri vorrebbe che così fosse, e che così Carmen si comportasse. Ma Carmen, ahimé, è una donna, che vuole bensì fortemente questo bambino, ma non ritiene di dover rinunciare alla sua vita, i suoi desideri, le sue speranze per comportarsi da bravo e docile contenitore di un feto: e oltretutto pensa che questo, al feto, non faccia affatto bene. Lei, infatti, si sente tutt'uno col suo futuro figlio (se ne parla sempre al maschile), e pensa che star bene con se stessa sia la prima regola per far star bene il feto che vive in simbiosi con lei. Di qui le crescenti paure di Ferri, le sue ansie, l'angoscia che perdendo il controllo di Carmen perderà il figlio di suo figlio, dunque il suo stesso futuro... e Ferri si comporta di conseguenza, mettendola sotto chiave in un posto sicuro e segreto. Ecco un bell'esempio di coerenza maschile, quella coerenza che in coscienza dovrebbero perseguire Ferrara, Ratzinger e tutti gli altri e altre che discettano di poveri embrioni uccisi a miliardi, senza che li sfiori il pensiero che questi embrioni vivono, se vivono, in simbiosi con una donna, grazie ad una donna. Ossia: se l'aborto è un omicidio, come dicono, se l'embrione è non solo «vita» (che ovvietà), ma vita umana da tutelare, allora, oltre a prevedere per l'aborto la pena prevista per l'omicidio, dovranno darsi da fare per sorvegliare tutte le donne che presumano essere incinte o in procinto di diventarlo, costringerle a seguire lo stile di vita giudicato più salutare per lo sviluppo dell'embrione. O magari, tout court, metterle sotto chiave, come Ferri con Carmen. Non se ne esce: o si riconosce pienamente la responsabilità femminile in ordine alla procreazione (responsabilità, non diritto: così abbiamo sempre detto in Italia), o si trattano le donne come contenitori attuali o virtuali di figli per gli uomini, e se si rifiutano le si costringa. In futuro, chissà, delle donne si potrà fare a meno. In un libretto recente, Henri Atlan dice che arriveremo all'utero artificiale. Dopotutto, già ora gli embrioni si fabbricano in laboratorio, e i feti sopravvivono in incubatrice sempre più prematuri. Che meravigliosa semplificazione! Niente più donne con cui avere a che fare, persone inaffidabili e potenzialmente omicide, che continuano a voler vivere normalmente anche quando sono incinte. Un bel contenitore senza volontà, desideri, fantasie, affetti! E infatti per Atlan l'utero artificiale inaugurerà la fine della lotta tra i sessi e la pace universale. Beh, se non altro Atlan e "Un posto al sole" ci dicono chiaramente qual è la posta in gioco di questo stracciarsi le vesti di alcuni (molti? tutti? quanti maschi hanno la possibilità di immaginarsi altro che frutto di un aborto miracolosamente evitato?) sull'aborto volontario. Il futuro, reale e simbolico, non sta nelle loro mani, ma in quello di donne-madri vissute come onnipotenti e capricciose (diceva Amato parecchi anni fa che le donne abortiscono per far carriera e poter scrivere libri). Un incubo. Aggiungo un'altra ipotesi, non alternativa. Si sa, tradizionalmente le donne sono nel pensiero e nell'immaginario maschile la natura, il caos, il disordine, insomma la complessità. E che cosa c'è di più complesso di una donna incinta, una che è insieme e contemporaneamente due, parte di una relazione che è il prototipo di tutte le relazioni, irriducibile alla semplificazione giuridica e scientifica dominanti? La complessità va dominata e/o semplificata, la natura sottomessa, la relazione raccontata come il rapporto tra una mente ostile, un embrione bisognoso di tutela, e un Padre (il partner, il medico, lo stato, il papa...) severo e amoroso - verso l'embrione, si capisce. In tempi poi di catastrofi ecologiche annunciate, a causa della hubris umana (maschile), la paura di una «natura» che si ribella e minaccia punizioni collettive favorisce il riversarsi della frenesia di controllo su quella «natura» che sembra a portata di mano, le donne...
il manifesto (8 marzo 2008)
Avevo messo da parte questo pezzo che mi pare offrire considerazioni interessanti che propongo. A colpirmi, in particolare, lo spunto di partenza: “Un posto al sole”, la fiction (non telenovela) di Rai Tre che va in onda dal 1996. L’orario favorevole (20:30-21:00) e la fidelizzazione che si crea, ben presto mi hanno reso, soprattutto negli ultimi anni, spettatore fedele e interessato. Rilevando, tra l’altro con piacere, come la sottolineatura efficace di determinate problematiche sia un aspetto “caratterizzante” di questa produzione televisiva, non un semplice prodotto usa-e-getta.
Nel frattempo Carmen, liberata da un amico viene posta sotto la tutela di Marina, una ex cattiva che si era vista sottrarre, nell’adolescenza, un figlio appena nato e che, dunque, si è rivista nel dramma di Carmen, la quale però è ormai sul piede di partenza verso Campobasso, dove abita ancora il padre. Lì vorrà far nascere il figlio, lì dove si sentirà al sicuro dal cattivo Ferri. E da stasera riprendono le vicissitudini dei vari protagonisti.