È ricomparsa nella mia vita alle 23:14 del 17 agosto. Era giovedì, l’ultima notte della mia vacanza e, per tale motivo, avrei appreso della sua riapparizione soltanto nel tardo pomeriggio del giorno dopo. Ma “lei” già c’era e attendeva un segnale.
Rientrato a casa, ho riacceso il cellulare, che avevo tenuto quasi sempre spento e ho cominciato a scorrere i messaggi recapitati. All’inizio non ho fatto proprio caso al numero mostrato dal display (da tempo avevo cancellato il suo nome dalla rubrica) leggendo con sorpresa quanto c’era scritto. Solo alla fine e grazie alla firma mi sono reso conto di ciò che era accaduto e ho riletto, questa volta con maggiore attenzione. “Ciao... È da molto che volevo sapere di te. Stai bene? Potrò sentirti al telefono? Rispondimi, ti prego... Ciao”.
Chi mi segue dall’inizio o, comunque, è risalito ai primi post, sa cosa abbia significato nella mia vita questa donna. Lo stesso blog è nato sulla scorta dei residui di una storia strappata. Con il nome, ormai marchio di fabbrica (brand si usa ordinariamente definirlo). Anche per questo motivo non l’ho mai modificato, pur non rispecchiando più il mio stato d’animo.
Ricordo l’intensità di certi scritti qui pubblicati, la rabbiosa dolcezza, la devastante malinconia, l’atroce nostalgia per un tempo che non sarebbe più tornato. Penso, anche, che non servissero a dissimulare l’irragionevole speranza di un prodigio, come fosse un ritorno alla vita.
Leggevo quelle parole e altro ancora mi veniva in mente, ma su tutto svettava il sapore della vittoria. Sì, pregustavo la mia rivincita centellinando parola dopo parola. La sua attesa, la sua speranza, quasi la sua implorazione, erano state per molto tempo mie appiccicose compagne di viaggio, tanto indesiderate quanto inevitabili. Ma adesso non era più cosi, adesso il copione si era capovolto e detenevo io il potere di decidere, di eliminare quella fastidiosa appendice, oppure farmi desiderare, elargire una parte di me come fosse la benevola concessione di un sovrano che, dall’alto del suo trono, guarda verso il basso, commiserando le sorti del popolino.
In altre circostanze, penso anche solo a un anno fa, sarebbe stata fulminea la reazione, dopo aver fantasticato l’irraggiungibile e mi sarei prostrato, avrei accolto con insperato e rinnovato desiderio questo importante segnale. Avrei fatto di ogni altra considerazione maturata, compresa la legittima dignità personale, un’ unica fascina da disperdere nel vento dell’emotività. Ma ora no, ora era troppo tardi per “lei”.
Due anni fa, alla fine di agosto, si era registrata l’ultima amarissima e anche drammatica telefonata. Risale all’8 dicembre 2003 l’ultimo incontro. Può esserci qualcosa in comune ormai? E poi ero appena rientrato dalla mia vacanza, mi sentivo tonificato e sicuro, perciò le ho concesso un: “Telefona alle 21:00, ciao”. E all’ora indicata sul display del cellulare riappariva quel numero, una volta familiare e poi la sua voce che mi sembrava tanto diversa da come la ricordavo.
Cercavo, perciò, di intuire il suo stato d’animo. La facevo parlare, senza soffocarla con domande legittime ed evitando l’interrogativo più ovvio. Aggiornamenti rapidi. Doveva trovarsi in un locale pubblico a giudicare dal sottofondo di voci e risate che si levavano spontaneamente. E intanto provavo a “sentire” pure il mio di stato d’animo. La voce non appariva incrinata, il cuore placidamente continuava a battere, l’emozione certo apparteneva a lei. Perché l’impressione che dovevo fornire era quella del vincitore, anche se poi sotto alcuni aspetti non era vero. Perciò il lavoro tutto bene, la salute tenuta efficacemente sotto controllo, in famiglia la tranquillità dominava e i sentimenti - pensavo al blog - per nulla silenti, anzi assai vivacetti. E “lei”, ad ogni riposta: ”bene, bene”, mentre la stavo “massacrando” e, indirettamente, le facevo capire l’errore che aveva commesso e che anche lei aveva capito, attraverso – per esempio - le insistenti domande della figlia che le chiedeva spesso notizie, mentre “lei” si era inventata la scusa di aver perso il mio numero. Poi c’era il ricordo di chi, nel suo giro, anche avendomi incontrato una sola volta si rammentava, mandava i saluti, per la sua stupefazione.
Che differenza nei toni rispetto a quelli adoperati nelle ultime volte, quando la frattura si andava allargando ogni giorno di più. Quanta malinconia mi pareva di cogliere nella descrizione della sua vita, delle sue giornate da divorziata (adesso), che non chatta più, che ha avuto una convivenza durata un anno con una persona “matura” (e intendeva dire rispetto a me +7), termine pronunciato con un certo imbarazzo. Poi l’uomo si era trasferito, per motivi di lavoro, così adesso si tengono in contatto telefonico, incontrandosi un paio di volte al mese. E, anche se non l’ha detto, si capiva benissimo che non avrà lunga durata questo legame. Il tono era triste, quasi rassegnato all’ineluttabile, anche perché aggiungeva valutazioni negative sugli uomini conosciuti, i quali l’avevano delusa profondamente (e immagino anche ferita). Io invece...
Di me conservava un ricordo particolare, quasi appartenessi ad un altro pianeta e se avesse potuto sbilanciarsi forse si sarebbe anche sfogata. Da un anno, peraltro, intendeva telefonarmi, poi avendo trovato il cellulare spento non si era permessa di andare oltre.
Reso audace da una resa pressoché totale, nonché corroborato dalla mia vacanza le proponevo, quasi sfidandola: “Ti piacerebbe incontrarmi?”. Non si aspettava una simile proposta (o forse proprio a questo voleva arrivare?) e vacillava, chiedeva tempo.
Dopo averla salutata mi rendevo conto che l’idea prospettata non si sarebbe rivelata una buona idea, almeno da parte mia. Ripercorrevo le fasi più salienti di quel progressivo e lacerante distacco, tornavo con la mente a quando, dopo il silenzio di uno-due giorni, giungeva un suo messaggio che trovava una rapida risposta, sempre con un interrogativo, per prolungare l’anomala conversazione. Come quella volta che m’informò che in mezzo ad un libro aveva trovato una rosa blu, regalo dei tempi felici. “Un buon segno, un auspicio da cogliere”, avevo aggiunto esultando. E cercando poi un espediente allettante per stimolarla, andare avanti, verificare le sue intenzioni. Vanamente.
Allo stesso modo era naufragata una mia proposta di rivederla ancora, in quel mese di gennaio 2004 che aveva tracciato una linea netta di demarcazione. Confusione e indecisione si erano miscelate per confluire nella lapidaria frase: “Vorrei, ma non posso”.
No, non la incontrerò. In fondo, ciò che avevo inseguito senza successo in passato adesso era stato raggiunto, pur se la mia curiosità sui motivi della sua riapparizione, dopo tanto tempo, resterà probabilmente inappagata.