Uscendo di casa incrocio P. ferma all'angolo. «Da quanto tempo mi stavi aspettando?" le chiedo con un sorriso. «Ma no, ero qui per mio figlio« si schermisce rispondendo e arrossendo. Quando passiamo qui davanti vuol sempre fermarsi«.
P. è una bella ragazza dai lunghi capelli neri che, nonostante due gravidanze, appare sempre in forma più che discreta, oserei dire perfino sorprendente. Suo marito è stato mio compagno di scuola alle elementari, perciò non posso nemmeno barare sull'età con lei quando osserva che pure io non me la passo male. In genere replico che a 40 anni il timer interno si è bloccato: prove tecniche di civetteria.
D., il figlio, è nato nel condominio in cui abito. Qui ha pure trascorso i primi sei anni di vita. Inevitabile, perciò, che la suggestione della casa natale sia avvertita in maniera così vistosa. Ripenso alla tempesta di ricordi evocati dall'immagine dei luoghi in cui nacqui.
Quando ogni tanto passo da quelle parti constato come la realtà abbia deformato e stravolto il ricordo. Il paesaggio urbano è radicalmente cambiato, le fette di campagna divorate dalla vorace urbanizzazione avanzante. Non è effetto via Gluck, ma quasi.
E allora vado alla ricerca nella memoria di quei giorni, i primi sei anni, con l'ausilio fondamentale delle foto che portano impressa una parte di me. Il primo televisore, il profumo del caffè, la lunga scala da salire per andare in camera a dormire… Un momento: non credo che disponessi di una camera tutta mia. E allora dove mai dormivo? Ecco, questo rimane un mistero insolubile.
In compenso rammento, ma non so bene il motivo, che non perdevo mai l'autobus. Intendiamoci, non lo utilizzavo certo a quell'età, ma ero spettatore di quella che per me era una manovra acrobatica. A pochi metri da casa si trovava il grande deposito delle corriere (erano tali a quel tempo) e ogni sera quando l'unica esistente aveva terminato le corse rientrava in garage e questo comportava una retromarcia, difficoltosa per la ristrettezza del posto, per poi infilarsi con il muso all'interno del locale. Ora, poter ammirare ogni volta questo bestione ammansito dalla esperta guida dell'autista mi affascinava. E “l’evento” era sempre collocato al centro dei miei racconti, prima con i compagni della scuola materna (che si chiamava asilo, privato, a quel tempo gestito dalle suore) e poi con quelli appena conosciuti in prima elementare.
Chissà quali sono i pensieri di D. ogni volta che passa davanti alla casa in cui ha trascorso l'infanzia e chissà se quei ricordi riusciranno a fissarsi nella memoria di un bambino che, nei tempi moderni, è sottoposto ad una martellante serie di sollecitazioni che «resettano« il suo cervello ogni giorno.
P., intanto, si sta allontanando con un ultimo sorriso, tenendo per mano il figlio che ha la testa voltata all'indietro.
Solo per ringraziarti per aver partecipato al mio piccolo "concorso".
RispondiEliminaRipasserò a aleggerti con comodo
Paesanino, prego, Un'idea originale meritava di essere apprezzata. A presto.
RispondiEliminaio sono sempre alla ricerca del tempo perduto. Tanto che a volte riesco a perdere anche quello presente. Ma questa è un'altra storia. Invece è bello sapere da dove si è venuti. ;-)
RispondiEliminaCompletamente fuori tema, caro amico. Sono obnubilata e desolata. Appena appena una sfumatura di speranza. Ti abbraccio. harmonia
RispondiEliminaPur'io rigorosamente fuortopic.
RispondiEliminaAvrai finito ora di sommergermi di messaggi e-mail...
;-)
Stai su, carissimo. Si doveva fare una breccia nel muro orrendo, e la s'è fatta. Per il resto, speriamo.
Un abbraccio.
StellaCeleste, ormai sono così numerosi i tuoi auspici che s'incrociano anche fuori tempo massimo. La foto è molto bella. Grazie.
RispondiEliminaMaf, hai ragione: mai perdere di vista le proprie radici. E poi proseguire con la ricerca del tempo perduto, senza perdere di vista il presente, seppure meno attraente (a volte).
harmonia, seppure a distanza di giorni e con la paura passata, il senso di sconforto resta: che ne sarà di noi? Certo a ruoli invertiti... Da brividi di reale paura. Stringiamoci forte.
A dare speranza ci sono persone come te.
Un caro e forte abbraccio.
Ziby, è vero, si doveva fare una breccia, s'è fatta, ma dopo la Grande Paura mi pare che la lezione non sia servita: adesso tutti a far uso di bilancini, lime per rafforzare un precario equilibrio. Speriamo, certo, sempre e bene. Ma l'inizio non è stato dei migliori.
Un abbraccio