lunedì 17 maggio 2010

Rosso come il sangue






Quel bel volto di una donna determinata e dignitosa irrompe dal televisore mentre si è in tutt’altre faccende affaccendati. Le sue parole lacerano l’anima, le immagini devastano per la loro crudezza. Agghiacciante.
Non riesco a capire bene cosa stia accadendo, si tratta di frammenti di quotidianità di una giornata all’epilogo. O forse capisco fin troppo bene, ma mi sembra tutto così inverosimile da rasentare l’allucinazione.
E invece Mariarca Terracciano è vera, reale. Anzi era vera e reale. Il filmato il suo testamento.
Quando i contorni si fanno più chiari la storia diventa pazzesca, soprattutto perché la tragedia avviene a Napoli, la città in cui la parte più oscurantista cade in deliquio alla vista del sangue (?) del santo Gennaro che si liquefa a intervalli regolari. E ne trarrebbe auspici di sventura laddove ciò non dovesse accadere. La superstizione ancora attecchisce, perché se il santo od uno qualsiasi esistessero il miracolo, quello vero, l’avrebbero fatto.
Ormai solo un evento soprannaturale può salvare questo Paese che sta declinando ad una velocità impressionante e che deve contare un’altra vittima del lavoro, una donna, Mariarca (mi vien da pensare che il nome le sia stato attribuito per la devozione, dei genitori, verso la veneratissima Madonna dell’Arco, per la quale si allestisce un vero e proprio spettacolo di paganesimo puro. E anche materialista: si passa per elemosinare moneta sonante, perché si proclamerà pure che c’è la Divina Provvidenza, però meglio andare sul sicuro) che ha scelto di andare incontro alla morte dissanguandosi giorno per giorno. Probabilmente si stabilirà che non esiste correlazione tra il suo salasso, l’accredito tre giorni dopo dello stipendio, l’interruzione della clamorosa protesta e quindi il successivo malore che è stato fatale. Ma credo che sia assolutamente irrilevante, perché la responsabilità della sua morte deve gravare su coloro che hanno spolpato fino all’osso la bistecca della sanità napoletana e, più in generale, su una classe dirigente che ci sta espropriando di tutto con inesauribile voracità.
Che con quei soldi siano dannati in eterno.
Adriano Sofri ha scritto su “la Repubblica” di sabato scorso un ottimo commento, con molte considerazioni degne di interesse (e che condivido). Il quotidiano romano ha collocato la notizia in prima pagina, taglio medio, con la giusta rilevanza (la foto accompagna l’articolo che prosegue nelle pagine interne). Peccato però che sbagli, per due volte il cognome di Mariarca nelle didascalie sotto alle immagini tratte dal video, mentre nel resoconto viene scritto correttamente: Terracciano. Poi oggi, nell’edizione nazionale, non c’è più traccia, quasi a voler rimuovere un’immagine che sarà invece difficile dimenticare.
Qui la pagina Facebook a lei dedicata.



Svenarsi per un diritto
ADRIANO SOFRI
 
È successo a Napoli, dove il sangue fa miracoli. Ma non è una storia napoletana, non solo, almeno. Non è nemmeno una storia pazzesca. Vi sembrerà una pazzia se vi fermerete a titoli e sommari: «Si svena per il salario... Muore infermiera...». Poi però guardate quella registrazione su YouTube, e restate interdetti.
Lei è così normale, le cose che dice e il tono con cui le dice sono così persuasive - e intanto quello che fa, attorniata da compagne e compagni di lavoro, è così insopportabile - che la domanda vera diventa questa: come siamo arrivati al punto in cui un atto pazzesco viene pensato e spiegato così ragionevolmente? La domanda era questa già prima che la morte della signora la togliesse dalle cronache locali e la rovesciasse sulle prime pagine.
Ho letto, nei primi lanci di agenzia di ieri, che all´inizio della sua protesta Mariarca Terracciano aveva detto, mentre filmavano il suo salasso: «Lo stipendio è un diritto». Poi ho guardato il video. Aveva detto: «Secondo me, lo stipendio è un diritto della persona». Non è la stessa cosa. Certo, quel «secondo me» può essere stato del tutto gratuito, un intercalare come altri: però, riascoltato, vuol dire che un´ovvietà come «lo stipendio è un diritto» non è, o non è più, un´ovvietà, non è più un´enunciazione oggettiva, è diventata un´opinione. Secondo la signora Mariarca, 45 anni, infermiera alla ginecologia del San Paolo a Fuorigrotta, madre di due figli piccoli, lo stipendio è un diritto. Dunque secondo altri no.
Anche togliersi ogni giorno 150 millilitri di sangue per rivendicare un diritto dovrebbe essere una pazzia, ovviamente, "oggettivamente". E lì invece c´era una lavoratrice che stava di fatto obiettando: Secondo me, buttare il sangue è un modo ragionevole di mostrare che c´è chi gioca con la pelle, con la vita di chi lavora. «Il sangue è vita», ha detto. Certo che si sente il colore di Napoli, l´Asl da diecimila dipendenti, la più numerosa d´Italia, le espressioni dialettali - «Buttare ‘o sangue, jettare ‘o sangue», che sono pressappoco sinonimi di lavorare - e proverbiali, «il lavoro fa buttare il sangue». E tuttavia il discorso di Mariarca T. non era dialettale. «Forse può sembrare quasi un atto di pazzia, però secondo me, è un atto che dimostri che stanno giocando sulla pelle e sulla salute di tutti quanti». (Vorrei sottolineare quel congiuntivo, «che dimostri»...). Non è dialettale, e - ripeto: prima e indipendentemente dalla commozione per la morte di questa signora, e la disputa incresciosa sulle sue cause cliniche - si lega a una sequela impressionante di eccessi di legittima difesa da parte di persone che le risorse tradizionali e nobili del mondo del lavoro non sanno più assicurare. «Sciopero», aveva chiamato con naturalezza i proprii salassi e il proprio digiuno l´infermiera. Non aveva certo messo in conto di morire - solo di dare il sangue. E intanto, da un capo all´altro dell´Italia, ci sono operai restati senza lavoro e salario e piccoli imprenditori non più in grado di far fronte alla responsabilità per i dipendenti e le famiglie, che si ammazzano, per disperazione, o per stanchezza, o magari, come tanto tempo fa, quando ci si vergognava della propria inadeguatezza e delle porcherie altrui, per vergogna. Operai e tecnici che si accampano sulle ciminiere e sui tetti hanno fatto parlare di "nuove forme di lotta", e magari c´è davvero qualcosa su cui fare affidamento, e non solo la corsa al rialzo per farsi vedere, per smettere di essere invisibili: anche Mariarca aveva girato il suo video per una televisione locale, e ora tutti lo guardano in rete, come si guarda un preannuncio, benché involontario, di morte. Ma queste lotte "estreme" sono più probabilmente una retrocessione che una promessa, e non a caso ricordano gesta di prigionieri sepolti vivi che si arrampicano sui tetti e sventolano lenzuoli e gridano al cielo. Operai provetti che vanno a stare nella galera dell´Asinara, l´isolamento in un´isola di punizione. Ieri su questo giornale due pagine raccontavano il Call Center di Incisa Valdarno - Toscana, dov´è bello vivere - in cui perfino un frustino serviva a galvanizzare la produttività dei lavoratori. «Lavoravo in nero - raccontava una ex-dipendente a Laura Montanari - per 600 euro e in certi casi anche 13 ore al giorno, mezz´ora di pausa e se chiedevi di andare in bagno a volte c´era da discutere. Eppure non mi è mai venuto in mente di andare al sindacato, di pensare che avevo dei diritti. Mi svegliavo la notte in preda all´ansia». Non le era venuto in mente che aveva dei diritti. Una frase terribile nella sua semplicità, che fa da complemento e da conferma all´altra di Mariarca: «Secondo me, lo stipendio è un diritto della persona». A lei era venuto in mente.
(15 maggio 2010)
 



3 commenti:

  1. Mi ha molto turbato questa triste vicenda, e mi chiedo se in questo nostro sventurato Paese abbia ancora un senso il concetto di "dignità della persona": dove l'accento non è solo quello sulla dignità, ma dovrebbe essere quello sulla PERSONA.

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  2. Dici bene, amico mio, sebbene con parole diverse: è una storia paradigmatica.
    Ma forse solo Napoli poteva prestarsi come scenario a questa tragedia , che dici?

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  3. kittymol77maggio 22, 2010

    questa storia produce in me due sentimenti contrapposti: uno di incazzatura per una scelta così platealmente drammatica e drammaticamente "inutile" (è passato solo qualche giorno è già è scivolata nel passato); l'altra di risentimento rabbioso (una volta di più) verso i sindacati. Perché , alla fine, in altri tempi, fatti così non sarebbero potuti accadere senza che il sindacato mobilitasse tutti contro una logica del lavoro che crea ogni giorno da una parte morti sul lavoro, dall'altra disperati che si immolano per mancanza di lavoro. O di stipendio dopo aver lavorato. Tutto tace. Tutto viene digerito. Tutto è cronaca di un solo giorno, una postilla nel tg dopo l'ampio spazio al governo, al politico di turno, alle economie dei giganti che si mangiano letteralmente la vita delle persone pur di realizzare profitti borsistici. Non è più tempo di sindacati o partiti. E' tempo di cittadinanza attiva, di strategie organizzate dai cittadini contro la politica, contro i sindacati, contro le borse dei commerci e dei capitali pagata con la vita delle persone. Dobbiamo rinascere come cittadini e non consentire più che si arrivi a dare il sangue per il lavoro e una vita degna.

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