C’è qualcosa di vecchio oggi nell’aria, miasmi velenosi la stanno ammorbando fino a renderla irrespirabile. C’è puzza di razzismo. Ed è nauseante.
Non avrei mai pensato di vedere qui in Italia, terra di migranti, nel 2010 anno di grazia (o del signore? Ma quale?) le atroci scene di caccia al nero da parte dei bianchi, la violenza dispensata a piene mani attraverso la forza eloquente delle immagini.
Ho dovuto comprimere la commozione ribollente ascoltando le frasi smozzicate di uomini, prima ridotti in schiavitù e poi colpevoli. E se ci sono riuscito è perché ha prevalso in me la rabbia verso l’indegnità di uno Stato colpevole e latitante, connivente con la mafia calabrese che si chiama 'ndrangheta e capace solo di lamentare il troppo buonismo. Verso chi? Certo verso i criminali che, attraverso la forma miserevole del caporalato, sfruttano questa umanità che da ben altri inferni deve essere fuggita per vedere il paradiso nei manufatti industriali abbandonati, abitare in baracche fatiscenti, prive di qualunque servizio igienico, al freddo e al gelo (ci fu un precedente duemila anni fa), accettando di dormire sulla nuda terra dopo giornate disumane trascorse a lavorare nei campi. Migranti che non sono stati più in grado di contenere le loro giuste rivendicazioni, persino ovvie in un Paese normale, ma che in questa Italia guidata da bande di cialtroni, avventuristi, erotomani, avvinazzati e piduisti vengono invece considerate come esorbitanti ed eccessive. “Pretendono di comandare da noi” è uno dei commenti più idioti.
Oggi pomeriggio mi sono sorbito quasi mezz’ora di ragli, in salsa razzista, della somara unica, nell’omonima trasmissione condotta da Lucia Annunziata. E se sono durati meno dei trenta canonici minuti previsti è stato grazie all’intervento di Antonello Mangano
Cosa sia la ‘ndrangheta e di quale potenza economica disponga (è la più ricca delle mafie italiane), lo ha scritto eloquentemente Roberto Saviano, alcuni giorni fa. Per tale motivo il razzismo mafioso fa ancora più paura, favorito dall’ignavia della casta.
Il post è lungo, lo so bene, però non conosco un differente modo di sfogarmi e smaltire la rabbia per questo declino inesorabile dei principi fondanti del vivere civile, prima ancora che della disapplicazione della Carta Costituzionale (articoli 3 e 10, per esempio).
La domenica giornalistica è tradizionalmente il giorno riservato agli editoriali impegnativi e puntualmente, sia Eugenio Scalfari che Barbara Spinelli, hanno affrontato con la consueta impeccabile lucidità l’argomento Rosarno. L’articolo dell’opinionista de “
Perché ci siamo dentro fino al collo.
Saviano: perché la ' ndrangheta scende in guerra contro i pm
Chi parla di mafia diffama il Paese? Chi parla di mafia difende il Paese. Le organizzazioni criminali contano molto: solo con la coca i clan fatturano sessanta volte quanto fattura
ROBERTO SAVIANO
(5 gennaio 2010)
L' AMACA
Se fossi Mario Balotelli me ne andrei a giocare in Inghilterra. Lo dico a malincuore, e a scapito di quel micidiale ricatto emotivo che è il tifo (sono interista, e Balotelli sarà presto uno dei migliori attaccanti di tutti i tempi). No, questo paese non è pronto per i "negri italiani". Non è pronto a trattare i braccianti immigrati da lavoratori e non da schiavi, non è pronto a chiamare razzisti i razzisti, non è pronto a restituire il calcio ai cittadini civili e inermi levandolo dalla morsa bellica (e mafiosa) degli ultras. Che non sia pronto, il nostro Paese, lo si capisce dagli alibi dietro i quali si nasconde. Nessun paese, nessuna comunità è esente da vizi, traumi, impedimenti civili. Ma una comunità adulta conosce le proprie malattie, le chiama con il loro nome. Negli Usa la questione razziale è annosa e grave, ma si chiama "questione razziale". Nei paesi europei l' immigrazione ha prodotto la nascita di molti partiti xenofobi, ma li chiamano "partiti xenofobi". Da noi l'ipocrisia e più ancora la vocazione autoassolutoria che è tipica dei bambini, impedisce di guardarsi allo specchio. In molti, calciatori, dirigenti, politici, opinionisti, dicono che Balotelli viene contestato perché è antipatico, non perché è nero. Forse il razzismo è una faccenda troppo seria perché gli italiani se ne sentano all'altezza. –
MICHELE SERRA
(9 gennaio 2010)
L'EDITORIALE
L'inferno di Rosarno e i suoi responsabili
di EUGENIO SCALFARI
A ROSARNO ha infuriato per due giorni e due notti prima una sommossa e poi una caccia al "negro" con ronde armate che sparano a pallettoni per ferire e ammazzare. Nel terzo giorno, cioè ieri, gran parte degli immigrati è stata portata via dalla polizia nei centri di concentramento chiamati centri di accoglienza, sulla costa jonica della Calabria, ma la caccia al "negro" continua contro i pochi dispersi che vagano ancora nella piana di Gioia Tauro. Un incidente mortale potrebbe ancora accadere, visto lo stato d´animo dei "cacciatori" che ricorda quello degli aderenti al "Ku Klux Klan" nell´America degli anni Sessanta. Siamo arrivati a questo? Perché ci siamo arrivati?
I calabresi hanno difetti e virtù, come dovunque in Italia e nel mondo. Fra le virtù più radicate c´è quella dell´ospitalità, che ha un che di antico ed è tipica della civiltà contadina. Ma anche l´ospitalità si è logorata col passare del tempo e il mutare delle condizioni sociali. E con l´arrivo della mafia.
Fino ai Sessanta non esisteva mafia in Calabria. Esisteva il brigantaggio nei boschi dell´Aspromonte e delle Serre. Esisteva da secoli, ma non la mafia. Ora, da quarant´anni, la mafia calabrese è diventata la più potente delle organizzazioni criminali che operano nel Sud d´Italia e la gestione degli immigrati è una delle sue attività, specie nella piana di Gioia Tauro, dove le "´ndrine" possiedono anche fertili terreni coltivati ad aranci. Il caporalato è diffuso e utilizza il lavoro dei clandestini.
Attualmente sono valutati a circa ventimila i braccianti destinati alla raccolta delle arance, dei mandarini e dei bergamotti. Ma non è un fenomeno recente, dura da quindici o vent´anni in qua. Riguarda solo i maschi, non ci sono femmine tra loro né famiglie. Sono maschi singoli, senza dimora, alloggiati in ovili diroccati, senz´acqua, senza luce, senza cessi. E vagano per quelle terre in cerca di lavoro giornaliero.
Vagano in Calabria, in Sicilia, in Basilicata, in Puglia. Secondo le stagioni raccolgono agrumi, olive, uva, pomodori. Il lavoro è in mano ai caporali, quasi tutti affiliati alle mafie locali. Dodici ore per venti o venticinque euro sui quali i caporali trattengono un pizzo di cinque e i camionisti che li trasportano sui campi un prezzo di due o tre euro.
«Cercavamo il paradiso abbiamo trovato l´inferno» ha detto ieri uno di loro avvicinato da un cronista. Eppure, se continuano a cercar lavoro in quell´inferno vuol dire che sono fuggiti da inferni ancora peggiori. Sono gli ultimi della Terra. Quelli ai quali Gesù di Nazareth nel discorso della Montagna promise che sarebbero stati i primi nel regno dei cieli. Alla fine dei tempi. Dodici ore di lavoro a 15 euro di paga. I tremila di Rosarno e gli altri come loro non hanno tempo di pregare, stramazzano in un sonno da cavalli o da maiali grufolosi. È questo l´amore, è questa l´ospitalità?
I calabresi di Rosarno non sono certo abitanti di un paradiso. Sono quindicimila di povera gente e vivono in un paese sotto il tacco della mafia. Il Comune fu sciolto per infiltrazioni (si fa per dire) mafiose ed è amministrato da un commissario prefettizio. Ma quando si faranno nuove elezioni vinceranno ancora le "´ndrine" perché in quella piana la mafia è un potere costituito, in attesa che lo Stato lo sconfigga. Speriamo che avvenga presto, ma se mi domandate quando sarò tentato di rispondervi: «alla fine dei tempi», quando verrà il regno dei giusti e il giudizio universale. Prima ci sarà stata l´Apocalisse. Che sembra già cominciata.
Qualche domanda però è di rigore. La rivolgiamo al ministro dell´Interno, a quello del Lavoro, a quello delle Attività produttive, a quello dell´Agricoltura, competenti e quindi politicamente responsabili di quell´inferno. Ma le rivolgiamo anche al Prefetto, al Questore, al Comandante dei carabinieri, al Governatore della Regione. Non sapevate? Non sapevate che la raccolta dei frutti di quelle terre è affidata a ventimila immigrati, in maggior parte clandestini, gestiti da caporali e pagati in nero? Non sapevate come vivevano? Non vi rendevate conto che si stava accumulando un materiale altamente infiammabile e che l´incendio poteva divampare da un momento all´altro? Non avevate l´obbligo di intervenire? Di attrezzare un´accoglienza decente? Di regolarizzare i clandestini e il loro lavoro, oppure di rimpatriarli ma sostituirli visto che gli italiani quel tipo di lavoro non sono disposti a farlo?
Maroni ha messo le mani avanti ed ha dichiarato l´altro ieri che c´è stata troppa tolleranza: bisognava cacciare i clandestini o processarli per il reato di clandestinità. Ma se di tolleranza si tratta, a chi è rivolta l´accusa di Maroni se non a se stesso? Non è lui che predica la sera e la mattina la tolleranza zero? Se ne scorda per le terre a sud del Garigliano? Oppure si rende conto che, clandestini o no, gli immigrati sono indispensabili all´economia italiana? E che la tolleranza zero ci ridurrebbe alla miseria?
Al Nord è diverso: la miriade di piccole imprese della Val Padana e del Nordest hanno bisogno degli immigrati e organizzano un´accoglienza decente, salvo poi dare i voti alla Lega a tutela dell´"integrità urbana", della separazione o dell´integrazione col contagocce. Si può capire: l´immigrazione in Italia è arrivata tardi ma in dieci anni siamo passati da un milione a quattro milioni di immigrati. Il tasso d´aumento è stato dunque molto alto ed ha determinato inevitabili tensioni sociali. La classe politica avrebbe dovuto gestire questo complesso processo; invece ha puntato le sue fortune sulla paura e ne ha ricavato consenso.
Nel Sud non poteva che andare peggio. Lì non c´è purgatorio ma inferno. Lì sono i volontari i soli che tentano di sfamare gli "ultimi" e dar loro una parvenza di riconoscimento. Maroni e Scajola e Zaia e Sacconi preferiscono far finta che non esistano. Aprono gli occhi solo quando scoppia la sommossa e poi la caccia al negro. Ma non hanno altra ricetta che l´espulsione, anche se ieri Maroni ha smentito che di questo si tratterà per i clandestini di Rosarno. Ma chi raccoglierà le arance, i pomodori, le olive? Chi attrezzerà l´accoglienza?
Il partito dell´amore dovrebbe materializzarsi in quelle terre dove regna invece la violenza mafiosa, i bulli di paese che si spassano giocando al tiro a segno con i fucili ad aria compressa e sparando sul negro per vincere la noia.
Noi aspettiamo risposte alle nostre domande, anche se sappiamo per esperienza che questo potere non ha l´abitudine di rispondere. (…)
(10 gennaio 2010)
Se questi sono uomini
BARBARA SPINELLI
Il futuro in cui siamo già immersi comincia nella piana di Gioia Tauro: a Rosarno in provincia di Reggio Calabria (un’autentica guerriglia urbana è ancora in corso), come a Castel Volturno e a Reggio stessa, dove la ’ndrangheta ha voluto intimidire i magistrati con un attentato alla procura generale. Il futuro comincia a Rosarno perché i principali problemi della nostra civiltà si addensano qui: le fughe di intere popolazioni dalla povertà e dalle guerre (guerre spesso scatenate dagli occidentali, generatrici non di ordine ma di caos); le vaste paure che s’insediano come nebbie, intossicando la vita degli immigrati e dei locali; le cruente cacce al diverso; il dilagare di una mafia esperta in controllo mondializzato.
A ciò si aggiunga l’impossibilità di arrestare migrazioni divenute inarrestabili, perché da tempo non si trovano italiani e cittadini di Paesi ricchi disposti a fare, allo stesso salario, i lavori fatti da africani. Si aggiunga l’ipocrisia di chi crede che la risposta consista in un’identità monoculturale da ritrovare.
E la menzogna di chi non sopporta lo sguardo inquieto e assicura: abbiamo già praticamente vinto le mafie, Gomorra appartiene al passato, è «un vecchio film in bianco e nero», come dice Maroni. Non per ultimo, si aggiunga lo Stato che perde il controllo del territorio e il monopolio della violenza: i neri a Rosarno combattono contro ronde private di locali, infiltrate da ’ndrangheta e armate di fucili. Il pensiero della Lega è egemonico e le rivolte vengono associate, dal ministro Maroni, non alle mafie ma all’immigrazione clandestina che si promette di azzerare sanando ogni male. È inganno anche questo. Quando in Francia s’infiammarono le banlieue, nel novembre 2005, Romano Prodi disse che il fenomeno, mondiale, non avrebbe risparmiato l’Italia. Fu deriso e non creduto.
Non era menzogna invece. È vero che l’Italia ha da anni una reputazione cupa, e impaura a tal punto immigrati e fuggitivi da suscitare, nei loro animi, il senso di schifo di cui parla Balotelli. Gran parte dell’Europa ha una cupa reputazione, ma questo non scusa i nostri misfatti e silenzi: il silenzio del sindacato soprattutto, abituato a proteggere pensionati e operai delle grandi industrie (ormai dei privilegiati) e del tutto afasico sull’intreccio mafia, immigrati, sfruttamento. Il massimo della spudoratezza è raggiunto quando i nostri ministri citano Zapatero o Sarkozy, quasi che gli errori altrui nobilitassero i nostri. Quasi che non esistesse, in Italia, quel sovrappiù che è il potere malavitoso. Le rivolte di questi giorni discendono dal fallimento dello Stato e lo rivelano. È la conclusione cui giunge il prezioso libro di Antonello Mangano, scritto sui ventennali disastri di Rosarno e Castel Volturno. Il titolo è: Gli africani salveranno Rosarno - E, probabilmente, anche l’Italia (Terrelibere.org 2009).
Le rivolte odierne hanno infatti una storia alle spalle, occultata dai politici e da molti giornali. Coloro che a Rosarno hanno reagito con ira distruttiva a un’ennesima aggressione contro i lavoratori neri (due feriti a colpi di carabina, giovedì) sono gli stessi che nel dicembre 2008 si ribellarono alla ’ndrangheta. Erano stati feriti quattro immigrati, e gli africani fecero qualcosa che da anni gli italiani non fanno più. Scesero in piazza, chiedendo più Stato, più giustizia, più legalità. Contribuirono alle indagini dei magistrati con coraggio, rompendo l’omertà e rischiando molto.
Denunciarono gli aggressori a volto scoperto, pur non essendo protetti da permessi di soggiorno. È vero dunque: gli africani salveranno Rosarno e forse l’Italia, come scrive anche Roberto Saviano. Poco prima della rivolta a Rosarno si erano ribellati gli africani a Castel Volturno, il 19 settembre 2008, rispondendo a una sparatoria di camorristi che aveva ammazzato sei immigrati.
Quel che è accaduto dopo è una sciagura prevedibile, e per rendersene conto basta vedere come vivono, gli africani dell’antimafia. Sono eloquenti più di altri i video di Medici senza Frontiere, che parlano di crisi umanitaria nella piana di Gioia Tauro. Il rapporto che Msf ha redatto nel
Ci nutriamo volontariamente di menzogne, come il protagonista nel poema di Rimbaud, quando diciamo che quest’oscenità nasce dall’eccessiva tolleranza verso i clandestini. Abbiamo chiamato noi gli africani a raccogliere aranci, consci che nessuno lo farà a quel prezzo e per tante ore (25 euro per un giorno di 16-18 ore; 5 euro vanno a caporali mafiosi e autisti di pullman). E la tolleranza denunciata da Maroni non è verso i clandestini ma verso le condizioni in cui vivono clandestini o regolari.
Dopo aver tollerato tutto questo, e versato nella regione milioni di euro finiti in tasche sbagliate, ogni stupore è fuori luogo. I tumulti odierni non sorprendono: se questi africani non son uomini, come s’intuisce nei video, impossibile che non sboccino, prima o poi, i Frutti dell’Ira di John Steinbeck. Scritto nel ’39 durante
Ne abbiamo tuttavia bisogno, di un New Deal, che metta fine all’apartheid e non si limiti a spostare immigrati come mandrie da un posto all’altro. Perfino i poliziotti, spiega Antonello Mangano, dicono che la risposta non può essere solo punitiva, che gli africani sono una comunità mite, che le migrazioni continueranno. Con l’estendersi delle catastrofi climatiche saranno enormi, gli esodi. Non è vero che la questione della cittadinanza viene per ultima. Le grandi crisi si affrontano con grandi scommesse iniziali, fondatrici di nuove solidarietà. Non è vero neppure che i liberal e
Dicono che l’identità stiamo smarrendola, a forza di rinunciare alle nostre radici e di convivere con diversi che ci condannano al meticciato.
Anche questa è menzogna. In realtà siamo già cambiati: non perché incomba il meticciato tuttavia, ma perché la nostra identità non è più quella curiosa, accogliente, porosa che fu nostra quando emigravamo in massa e incontravamo violenza. È un ottimo viatico l’ultimo libro di Gian Antonio Stella (Negri Froci Giudei - L’eterna guerra contro l’altro, Rizzoli 2009): si scoprirà che la mutazione già è avvenuta, nel linguaggio della Lega e nella disinvoltura con cui si accettano segregazioni che trasformano l’uomo in non uomo.
L’identità che abbiamo perduto, la recuperiamo solo se non tradiamo quella vera inventandone una falsa. Solo se sblocchiamo le memorie e ricordiamo che le sommosse antimafia dei neri prolungano le rivolte italiane condotte, sempre in Calabria, da uomini come Peppe Valarioti e Giannino Losardo, i dirigenti comunisti uccisi dalle ’ndrine nel 1980. Solo se scopriremo che il nostro problema irrisolto non è l’identità italiana, ma l’identità umana. Le scuole non hanno bisogno delle quote del ministro Gelmini (non più di tre alunni su dieci per classe in tutta Italia, come se Gesù avesse imposto quote di accesso alla stalla di Betlemme: non più di tre Magi). Hanno bisogno di insegnare il mondo che muta. Altrimenti sì, è l’inferno di Rimbaud: «L’Inferno antico: quello di cui il Figlio dell’Uomo aperse le porte».
(10 gennaio 2010)
Le prime pagine nell’ordine sono nell'ordine: "il manifesto", "il Fatto" e "l’Unità" del 10 gennaio 2010; "il manifesto", "l’Unità" e "il Fatto" del 9 gennaio 2010.
Qui sotto le miserabili e spregevoli prime pagine di “Libero” e “
Non ti preoccupare per la lunghezza del post: la rabbia è tanta e anche il senso di impotenza. Le condizioni di questi migranti, per noi che non abbiamo il prosciutto sugli occhi, erano note. Diversi libri e inchieste le denunciano da tempo. Può essere positivo che i fatti di Rosarno portino questa barbarie in prima pagina ma purtroppo tempo un paio di giorni e nessuno ne parlerà più. E' questo quello che mi dà più noia.
RispondiEliminaTra le frasi idiote aggiungici anche che gli schiavi si sarebbero dimostrati "ingrati"!
Ultimamente sono così demotivata che non riesco più a parlare di politica sul mio blog. Non vedo spiragli di speranza francamente.
Ciao, Frank.
Artemisia
Stiamo scivolando sempre più in basso, oltre il fondo del barile. Che la tolleranza zero sia necessaria contro la mafia e non contro dei poveracci trattati come bestie, è un dato oggettivo che qualsiasi persona di buon senso dovrebbe capire. Invece non è così.
RispondiEliminaPurtroppo abbiamo una classe politica la cui intenzione è quella di convivere allegramente con il malaffare e che riempie le teste dei cittadini di slogan facili, grazie al lavoro sporco compiuto dai media di regime, televisione in testa.
I cittadini fortunati, quelli dotati di senso critico, di un po' di cultura e di un certo senso etico, sono in grado di difendersi dalla propaganda di regime, ma gli altri ne restano vittime.
Saluti
Romina
Artemisia, fatico moltissimo anch'io a trovare barlumi di speranza. La condizioni dei migranti riflette, a livello nostrano, l'immensa tragedia provocata dalla sperequazione di risorse mondiali che, il terremoto di Haiti, ha evidenziato e reso palese.
RispondiEliminaUn caro abbraccio.
Romina, i più esposti alle perniciose radiazioni sono tanti, abilmente narcotizzati dal regime mediatico. Anche per questo sono così recalcitranti a ridurre il digital divide. Perchè il cittadino informato reagirebbe, perciò è meglio che restino in pochi.
Cari saluti.