venerdì 21 dicembre 2007

Beh... auguri!!!


La finanziaria, le «stranezze della legge»


E la manovra «inghiottì» muli e burattini


Scivoloni e promesse non mantenute: il «percorso di guerra» per arrivare a chiudere la manovra


Silvio Berlusconi si è scottato con la borsa dell'acqua calda? C'è chi si è ustionato di più con la Legge finanziaria. Come le famiglie con figli down. Che ancora una volta si sono sentite tradite. Erano più di dieci anni che aspettavano che fosse riconosciuto a tutti i disabili, anche a quelli un po' meno gravi che qualche lavoretto riescono a farlo, il diritto alla pensione di reversibilità dei genitori. I quali vivono con l'incubo di morire lasciando i loro cari esposti alla vita quotidiana come ai flutti di un mare in burrasca. Avevano scritto a Tommaso Padoa-Schioppa e il ministro dell'Economia, turbato, aveva dato la sua parola: quel milione e mezzo di euro necessario, cascasse il mondo, sarebbe stato trovato.


Macché: all'ultimo momento la commissione bilancio della Camera, dovendo tagliare qua e là per far quadrare i conti, ha tagliato là: «Spiacenti, i soldi sono finiti». Una figuraccia. Imbarazzante. L'ennesima di un percorso governativo accidentato. E segnato da scivoloni. Prima la rimozione dal cda Rai di uno dei rappresentanti del centrodestra, quell'Angelo Maria Petroni che, sbrigativamente rimpiazzato con l'«indipendente» Fabiano Fabiani, ha vinto il ricorso per tornare al proprio posto. Poi la destituzione del comandante della guardia di finanza Roberto Speciale con procedure così sballate (a partire dalla «promozione » rifiutata alla Corte dei Conti) da esporre l'atto all'annullamento da parte del Tar. Poi ancora il «pacchetto sicurezza» che, mille volte promesso e rilanciato dopo il brutale omicidio a Roma di Giovanna Reggiani, finisce per venire talmente pasticciato, sia sotto il profilo costituzionale sia sotto quello politico con l'aggiunta dell'omofobia, da dover essere ritirato prima di essere esposto a nuove bocciature... Insomma, una via crucis. Della quale la Finanziaria, corretta in corsa anche nelle tabelle riassuntive dato che si sono accorti che c'era un errore di 345 milioni (!) è una stazione. Di spine e dolori. C'è chi dirà che, quanto a delirio burocratese, va già meglio dell'ultima volta. Quando i commi inseriti in un solo articolo per tagliar corto con obiezioni, emendamenti e ostruzionismi vari, furono 1.365, record planetario. Ed è vero: i commi sono scesi a 1.201, cioè 164 di meno e spalmati su tre articoli. Ma sono comunque più del doppio di quei 572 commi che nel 2005 costarono al governo delle destre un brusco richiamo di Carlo Azeglio Ciampi. E' questo che intendeva Romano Prodi quando, sotto l'infuriare delle polemiche intorno al progressivo e mostruoso gonfiarsi delle leggi di bilancio (244 commi nel 1995, 471 nel 2002 o 612 nel 2006...) promise che quella di quest'anno, dopo la prima di «rodaggio», sarebbe stata «una Finanziaria snella»? Boh...


Certo è che, rispetto agli ultimi tempi della famigerata Prima Repubblica, quando la legge di bilancio introdotta nel 1978 diventò in pochi anni una creatura affetta da una spaventosa elefantiasi e si guadagnò da Giuliano Amato la definizione di «ultimo treno per Yuma» («Chi non sale rischia di restare definitivamente a terra. Di qui le mille spinte per infilarci dentro di tutto, grandi e piccole cose, dalla spesa sanitaria al rafforzamento della Rocca di Orvieto, dalla Valtellina al restauro delle mura di Ferrara») non sembra essere cambiato molto. Anzi. Certo, non ci sono più personaggi come Wilmo Ferrari, un commercialista veronese dalle lenti spesse come fondi di bottiglia che veniva chiamato «Wilmo la clava» per l'irruenza modello Flintstones con cui randellava tutto quello che poteva dar fastidio ai suoi elettori. E anche Teresio Delfino, che pure siede ancora alla Camera per l'Udc, non ha più la cocciutaggine piemontese di un tempo, quando nei giorni in cui stava nel suo collegio cuneese produceva mucchi di figli (fino ad arrivare a sette) e quando stava a Roma produceva mucchi di emendamenti, come quello indimenticabile che fissava: «l'accettazione delle scommesse sulle corse dei levrieri di cui alla legge 23/3/1940 n. 217 è consentita presso gli impianti di raccolta situati all'interno dei cinodromi... ».


Il senso della Finanziaria, però, è rimasto quello che Paolo Cirino Pomicino teorizzò un giorno, ironicamente, col nostro Dino Vaiano: una distribuzione di vol-au-vent. Uno stuzzichino a tutti, con «la dignità di un negoziato politico»: alla maggioranza e all'opposizione. Basti pensare ai due milioni di euro concessi a Treviso come prima tranche per il velodromo, fortissimamente voluto (nella speranza di avere i mondiali di ciclismo del 2012: auguri) dai parlamentari leghisti Gianpaolo Dozzo e Guido Dussin, che sono tra i promotori della società «Ciclisti di Marca» e hanno fatto della bicicletta agonistica uno dei cavalli da battaglia, scusate il bisticcio, della loro campagna elettorale. Direte: cosa c'entra il velodromo con la Finanziaria? Poco. Ma non meno delle nuove disposizioni fiscali sugli «spettacoli di marionette e burattini». O delle nuove regole erariali sui «cavalli, gli asini, i muli e i bardotti destinati all'alimentazione». O del «recupero delle ferrovie dismesse con piste ciclabili». O ancora della destinazione a Foggia di 2 milioni di euro per realizzare nella città pugliese, poco nota al mondo gastronomico nonostante la «Farrata» con la ricotta o la «tiella» di riso, patate e cozze, una sede distaccata dell'Autorità della sicurezza alimentare. Per non dire della cessione alla Russia della proprietà della chiesa ortodossa di Bari oggi di proprietà del Comune, il quale avrà in cambio dallo Stato italiano un edificio oggi caserma. O della detassazione degli utili reinvestiti nelle produzioni cinematografiche voluta da Willer Bordon e Gabriella Carlucci. O della norma che finanzia l'acquisto di idrovolanti destinati al collegamento con le isole minori. Tutte cose che, per carità, saranno utilissime, centrali, indispensabili.


Come ai tempi delle Finanziarie berlusconiane, apparve indispensabile l'autofatturazione per i ristoranti che acquistano tartufi da raccoglitori occasionali «non muniti di partita Iva». Ma resta la domanda: possibile che tutte queste cose debbano ogni volta finire nell'imbuto della Finanziaria? Facciamo una scommessa. Chiusa la faticosissima partita, c'è chi dirà: basta con queste finanziarie, questa sarà l'ultima. Ecco: vorremmo che almeno questo sfogo vecchio come il cucco, almeno stavolta, ci fosse risparmiato. E' chiedere troppo?


Gian Antonio Stella


Corriere della sera (20 dicembre 2007)






E questa mi pare la degna conclusione, scritta da uno dei migliori giornalisti in circolazione, del mio blog-anno.


Chiudo per alcuni giorni e ho tempo solo di lasciare qui i miei auguri per quella serenità sempre inseguita e mai raggiunta. Che possa essere, come sempre si dice di un nuovo anno, un buon 2008. A me basterà proprio un pizzico, perché sia meglio del 2007, per il motivo che conoscete.


Del resto, di tutto il resto, alla prossima volta.




 

mercoledì 19 dicembre 2007

San Daniele decollato


Ieri mattina sia “il manifesto” che “l’Unità” hanno dato ampio risalto a Daniele Luttazzi pubblicando lunghi stralci del suo monologo, quello che La7 ha censurato, facendo circolare l’idea, pretestuosa e falsa, che il programma “Decameron” fosse stato cancellato dal palinsesto a causa delle offese rivolte a Giuliano Ferrara, autorevole (si dice sempre così) collaboratore dell’emittente televisiva. Il testo è stato recitato, domenica sera, all’Ambra Jovinelli di Roma e in realtà c’è ben altro che si collega armonicamente alla genuflessione del novello Pd all’arroganza della Curia di non volere un registro delle unioni civili, che già esiste in altre località italiane, proprio a Roma. Libera Chiesa (fin troppo sì) in libero Stato ancora un’utopia (pensando pure al pluridecennale vassallaggio nei confronti di Washington).


Sul quotidiano comunista il titolo dato al monologo di Luttazzi è: “Tutto quello che dovete sapere sulla “Spe salvi” ed occupa metà della pagina 3, tutta incentrata sul comico “sacrilego”, assieme al pezzo di accompagnamento di Gianfranco Capitta e al puntuale commento di Norma Rangeri, critica televisiva del giornale.


Su “l’Unità” è l’intera pagina 19 ad essere dedicata al monologo. Il titolo è: “Le registrazioni che inchiodano Luttazzi”. Singolarmente, nel pur lungo pezzo che si può leggere sul quotidiano fondato da Antonio Gramsci, mancano alcune parti pubblicate invece da “il manifesto”. Per questo motivo sono stato costretto ad una paziente opera di assemblaggio che spero non presenti lacune ed errori. A titolo di curiosità ho lasciato in corsivo e in nero i pezzi copiati ed incollati.


 


SATIRA Per gentile concessione dell'au­tore, ecco gran parte del testo del monolo­go recitato da Daniele Luttazzi l'altra sera a Roma. Dovreste trova­re qui il movente della sua improvvisa deca­pitazione dalla tv...


di Daniele Luttazzi


Dice: «Daniele, come fai a soppor­tare la chiusura di Decameron?» Come faccio a sopportare la chiu­sura di Decameron? Penso a Giu­liano Ferrara in una vasca da ba­gno, con Berlusconi e Dell'Utri che gli pisciano addosso, Previti che gli caga in bocca e la Santanchè in completo sadomaso che li frusta. Mi dispiace molto che ab­biano chiuso Decameron. Pro­prio adesso che Berlusconi mi aveva telefonato per piazzare un'attrice in uno sketch. Uuuuh! Stasera sono proprio elettrico. Sa­rà che mi devono arrivare.


Benvenuti a DECAMERON. Politi­ca, sesso, religione e morte. Un pro­gramma televisivo così bello che ne vedi una puntata e dici: "Oh, non guarderò mai più la vita vera finché campo!". Qua a Roma è arri­vato l'inverno. Fa molto freddo. Fa tal freddo che le minorenni sulla Salaria offrono pompini gratis ai ciccioni. Un mio amico va a putta­ne sulla Salaria. Gli ho detto che in giro è pieno di ragazze oneste e ri­spettabili. Sì, mi fa lui, ma quelle non posso permettermele. Fa vera­mente molto freddo. Fa talmente freddo che oggi Mussi spalmava il vicks vaporub sulla Cosa Rossa. Fa molto freddo, ma sono bellissi­me giornate. C'è un sole splendi­do. E quando c'è il sole, sono tutti allegri. Oggi ho visto un funerale entrare in un McDonald's. Ballava­no la conga.


Mi accodo al trenino ed entro an­ch'io. Era il McDonald's di piazza Mi accodo al trenino ed entro an­ch'io. Era il McDonald's di piazza di Spagna. Sì, a Roma in piazza di Spagna c'è un McDonald's. Non bi­sogna stupirsi. I McDonalds sono ormai dappertutto. Mia sorella ha un McDonalds nella sua cucina. Io ne ho uno nei miei pantaloni.  


E mentre sono lì che contribuisco a disboscare la foresta pluviale mangiando un Big Mac da 3 etti, mi viene in mente una cosa. Nessu­no pensa mai al sacrificio delle mucche che vengono macellate per la goduria del nostro palato. Bi­sognerebbe onorare il loro sacrifi­cio. Con delle raffigurazioni. Con delle icone. In chiesa ci sono le sta­zioni della via Crucis, no? In un McDonald's dovrebbero esserci dei quadretti simili. Con una muc­ca al posto di Gesù. Più o meno 14 quadretti: 14 stazioni della via Cru­cis della mucca, la Cow Crucis, con sotto delle brevi didascalie. Mi sembra una buona idea. Onoria­mo il sacrificio delle mucche. An­che perché sembra che le mucche tengano una lista delle persone che mangiano hamburger: per quando si vendicheranno.


Qualcuno mi ha chiesto: Daniele, perché ce l'hai con la religione?


Perché mi sono convinto che le re­ligioni sono pericolose. Operano un plagio di massa che ha una fun­zione sociale di controllo; e che di­venta pericolosissimo quando la religione, forte del numero, tende a far coincidere il peccato col rea­to, e a condizionare l'attività dei governi.


Gli esempi in questo senso sono sempre all'ordine del giorno ( sta­minali, pacs, eutanasia ) e ormai in­sopportabili. ...Ricorderete come la Chiesa si sia opposta alla ricerca sulle staminali degli embrioni per­ché "l'embrione è uno di noi, è già persona". C'erano però tre con­tro-argomenti formidabili:


a) Quello teologico. S.Tommaso nega agli embrioni la resurrezione, in quanto privi di anima raziona­le, e pertanto non ancora esseri umani. (Supplemento alla Summa Theologiae, 80,4); b) Quello prag­matico. La Chiesa nega il battesi­mo ai feti abortiti in modo sponta­neo. Nella prassi, cioè, la Chiesa non considera il feto una persona finché non nasce vivo, c) Quello naturale. Di tutti i concepiti, solo il 15-20% riesce ad annidarsi nel­l'utero materno. La natura stessa, cioè, non tutela così tanto il diritto alla vita del concepito, diritto che però si arroga la Chiesa. ...È stata poi la scienza, e non la reli­gione, a scoprire, la settimana scorsa, che è possibile ricavare cellule staminali anche da tes­suti adulti. Fine del dilemma etico sollevato ad arte. Con la nuova ricerca sulle stami­nali, gli scienziati ritengono che adesso potrem­mo fare grandi progres­si, dalla cura del Parkinson alla rigenerazione della spina dorsale nel centrosinistra. .... Abbiamo poi visto le mille pressioni vaticane per ostacolare prima i pacs, poi i dico, e adesso i cus. La Chiesa ostacola i patti civi­li perché minacciano la santità del matrimonio, come se si potes­se considerare sacro tutto quello che si fa davanti a un sacerdote. In realtà, lo sap­piamo, il motivo vero è che la Chiesa teme le unioni omosessua­li. Ma se è un tema così importan­te, com'è che Gesù non dice una parola in proposito? Gesù non di­ce una parola su questo, ma tante sulla tolleranza, l'accettazione, il non giudicare, il frequentare i reiet­ti e gli ultimi. La Bibbia dice: "Non guardare la pagliuzza nell'occhio del tuo vicino, ma la trave nel tuo occhio". Al che i gruppi gay han­no replicato: se la trave te la metti nell'occhio, lo stai facendo in mo­do sbagliato".


La regola della convivenza umana è terrestre, non divina: ogni uomo è libero e deve poter decidere su di sé. ...E invece mille ostacoli. Col pa­radosso che i nostri parlamentari, per tenersi buoni i voti vaticani, da anni negano a noi, cittadini che li eleggiamo, i diritti che per sé loro si sono già attribuiti: da ben 16 an­ni, infatti, i parlamentari conviven­ti hanno gli stessi diritti dei parlamentari sposati.......Nel frattempo Veltroni si trova a dover trattare con la segreteria di stato vaticana sull'eventuale istituzione di un registro delle coppie di fatto nel comune di Roma. Alla faccia della pari dignità dei cittadini che cattolici non sono, o che hanno preferenze sessuali non omologate. ...Ennesimo scadimento della laicità dello Stato, riconfermato dal voto della sinistra in Parlamento a favore dei privilegi economici della Chiesa cattolica: l'esenzione ICI e i meccanismi di assegnazione dell'8 per millealle..... Ecco papa Ratzi. Ride. Riderei anch'io se la mia ditta non pagasse le tasse. Ma la Chiesa non fa che rispettare il dettame evangelico. Gesù disse: "I miti erediteranno la terra". Ed evitò astutamente di parlare della tassa di successione. Comunque, alla Chiesa piace travalicare i limiti concordatari. Quando la Chiesa provò a fare la morale al governo spagnolo, nel gennaio di due an­ni fa, Zapatero convocò il nunzio apostolico e gli tirò le orecchie. Da noi chi tira le orecchie al cardinal Bertone, la Binetti? Oh, que­sta battuta rovinerà la mia amici­zia col cardinal Bertone. Niente più orge sadomaso a casa sua.


…L'abito di un cardinale: mozzetta rossa chiusa da dodici bottoncini Sotto, rocchetto bianco in cotone con maniche a tre quarti ornato di pizzi e ricami. Sotto, fascia rossa di seta alla vita, con frangia, e sotta­na rossa di lana fine con bottonci­ni fino ai piedi. In testa, zucchetto rosso e berretta rossa a quattro an­goli e tre spicchi o cappello a satur­no nero ornato da cordone e fioc­chi oppure mitria di seta bianca da­mascata. Se Gesù si imbattesse in un cardinale, scoppierebbe a ride­re. ....La separazione tra Stato e Chiesa, cioè fra reato e peccato, la indicò Gesù, quando disse: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Ne deduco che, se il papa è cattolico, Cristo non lo era. Altro guaio delle religio­ni: spesso danno una cornice nobi­le a comportamenti aberranti. Guardate come i musulmani in certi Paesi lapidano le loro donne. Non potrebbero farla franca, se non fosse per motivi religio­si.


Oppure, sempre  la Chiesa  cattolica. Milioni di perso­ne muoiono in Africa di AIDS anche perché   la Chiesa condanna l'uso del preservativo. Il preservativo, a quanto pare, è con­tro gli insegnamenti di Cristo. Anche se Cri­sto non ne ha mai parlato...Qualche mese fa il papa ha chiesto a una commissione vati­cana un dossier sull'uso del preservativo co­me protezio­ne dalle malattie.    Oh, proprio adesso che mi ero abituato alla castità. Avete letto  l'ultima enciclica di Papa Ratzi? E chi non l'ha letta? È così amena! È più divertente di un barile pieno di anguille. «Spe salvi», salvi nella speran­za. Un testo sulla superiorità della fede  cristiana, che esalta la sofferenza, perché avvicina alle sofferenze di Cristo. Cristo è morto in croce per i nostri peccati! Uuh, ma co­sì ci fa sentire troppo in colpa! Non poteva solo lussarsi un'anca, per i no­stri pecca­ti? L'encicli­ca è piena di citazioni colte. E questo è il QUIZ della settimana: quali fra questi intellettuali non è ci­tato da papa Ratzi nell'ultima enciclica? Sant'Agostino, Kant, Adorno, De Sade. E la risposta è: De Sade. La Spe salvi, sorpresa! è una dura condanna della moderni­tà. Il giorno che venne eletto, dissi in teatro: "Hanno eletto il nuovo .papa. È il cardinal Ratzinger. Subito condannato di nuovo Galileo". Non mi sbagliavo. Dopo un mese Ratzi disse: "La risposta alla moder­nità è Cristo". Io ho 46 anni, nella mia vita ho imparato una cosa: se la risposta è Cristo, la domanda è sbagliata. Non dimenti­co che l'Europa moderna, laica, del commercio e della democra­zia, appare col Rinascimento, nel momento in cui il cristianesimo, scosso dalla Riforma, comincia a perdere il controllo sull'organizza­zione sociale. E non dimentico che la repubblica, la separazione dei poteri, il suffragio universale, la libertà di coscienza, l'eguaglian­za dell'uomo e della donna non derivano dalla religione, che li ha anzi a lungo combattuti. E non di­mentico che, grazie alla rivoluzio­ne francese, le adultere occidenta­li non vengono lapidate......Ratzi attacca l'illumini­smo, ma la Chiesa in 18 secoli non abolì la schiavitù, cosa che fece la Prima Repubblica francese del 1794. D'altra parte è noto che la Chiesa è lenta ad abbracciare la modernità. Fino a poco tempo fa, la loro idea di portatile era un chie­richetto.  Aver fe­de significa sospendere il proprio pensiero razionale. Ogni religio­ne dice al mondo: «Noi non cre­diamo ai fatti». Non posso dar ret­ta a chi crede di parlare con Dio, dai! È da psicotici!...Dico questo: se Dio avesse voluto che credessimo in lui, sarebbe esistito. ...Le religioni sono un fatto culturale. È tutto molto relativo. Il papa vorrebbe che tutti fossero cattolici. Le muc­che vorrebbero che tutti fossero di religione indù. ....Qual è la verità sull'aldilà? Direi di partire da un semplice assioma: che nessuno ne sa niente. Mi piacerebbe che il pa­pa una domenica si affacciasse su S. Pietro e dicesse: "Sapete una co­sa? Nessuno ne sa niente. Siete libe­ri!" ...L'anno scorso Ratzi scrisse la "Lettera sulla collaborazione del­l'uomo e della donna". Ratzinger ha scritto un documento sulle don­ne. La cosa mi colpì perché non immaginavo che Ratzinger ne co­noscesse una. Nella lettera, Ratzin­ger scrive che la famiglia è il fonda­mento della società. Vecchio ada­gio dei reazionari di sempre. Ma già negli anni 60, filosofi e psichia­tri come Deleuze e Guattari, Laing, Reich hanno spiegato che la fami­glia patriarcale serve a perpetuare la società proprietaria e autoritaria. ....Qualche anno fa, una commis­sione teologica internazionale gui­data da Ratzinger si riunì per ri­spondere alla domanda: "Dove vanno le anime dei bambini morti senza battesimo?".


Questi temi mi affascinano. In au­to ascolto sempre Radio Maria. An­che perché è inevitabile: accendi la radio, c'è Radio Maria. ..."Dove vanno le anime dei bambini morti senza battesimo?" Io avrei voluto essere in quella commissione di Ra­tzinger. Come fai a dare una ri­sposta? È come chiedere "Dove vanno le anime dei Klingon dopo morti?" Da nessuna parte, dato che i Klingon sono un FRUTTO DELLA FANTASIA UMANA. Cen­ni storici...Nella Genesi, è il serpen­te a convincere Eva a mangiare la mela proibita. Eva da un morso e cade in un lungo sonno da cui Ada­mo la risveglia con un bacio. No, questa è Biancaneve. Bè, se da pic­colo ti avessero detto che Biancane­ve è una religione, ci avresti credu­to! Comunque: Adamo ed Eva mangiano la mela e Dio li caccia dal paradiso terrestre. Meno male che non ha scoperto cosa avevano fatto con le banane. ....Nel tempo, le funzioni mitiche svolte dalle reli­gioni e dalle monarchie non spari­scono: oggi vengono assolte dai mezzi di comunicazione di massa e dal potere simbolico dei se­gni-merce, nuovi mondi-di-so-gno. La pubblicità come teologia della lavatrice. Provate adesso a im­maginare qualcuno che pretenda di vendervi una lavatrice alla con­dizione che, se non la comprate, brucerete all'inferno. Lo mandere­ste a cagare. Ma no, lui pretende anche di essere rispettato, perché non è solo una lavatrice, è una reli­gione! Segnalo una grande novità: nella Spe salvi, il papa mette in dubbio l'esistenza delle fiamme eterne dell'inferno. Ma il paradiso, raccontato da Ratzinger, sembra la stanza da letto di Cristiano Malgioglio. Il papa oggi scrive che la scien­za non salva l'uomo. Allora, d'ora in avanti, niente più antibiotici a Ratzi, ok? ... Sentiamo cos'ha da dirci Nostradamus.


LE ULTIME PROFEZIE DI NO­STRADAMUS: La mafia aumente­rà gli stipendi ai dipendenti. Verrà scoperta una nuova suoneria cellu­lare di Mozart. Fabrizio Cicchitto si ritirerà dalla vita politica. Passerà più tempo coi familiari, che chie­deranno di non essere identificati. L'editore di Penthouse diventerà cattolico e metterà sulla copertina del mensile una Vergine "gratta&annusa". Un gigantesco asteroide colpirà la Terra nel 2014. L'impat­to avrà l'effetto di 20 milioni di bombe atomiche simili a quella sganciata su Hiroshima. Le autori­tà militari prepareranno il mondo alla nuova vita post-impatto deto­nando una bomba atomica al gior­no nei sette anni precedenti. Quel­lo della Chiesa è pensiero magico. Nell'udienza di mercoledì, il papa ha esortato gli esorcisti a continua­re il buon lavoro. Parole di incoraggiamento anche ai cacciatori di vampiri.


Dice: Ma tu Daniele sei cattolico? Certo. Sono cattolico, apostolico, decaffeinato. ....E mi affascina la storia di Giacomo, il fratello di Ge­sù. Sapevate che Gesù aveva un fratello? Io l'ho letto anni fa sulla Set­timana enigmistica e non l'ho più dimenticato. Dev'essere stata du­ra, avere Gesù come fratello. Vinci una gara di nuoto, lui cammina sulle acque. Sai fare un cocktail, lui trasforma l'acqua in vino. Fai ripar­tire un'auto in panne, lui resuscita Lazzaro. Ti viene l'herpes, lui muo­re crocifisso. Che palle! ....No, in realtà non sono cattolico. Sono cristiano monofisita: non ri­conosco le decisioni del concilio di Calcedonia nel V secolo. Ero catto­lico, finché un giorno Dio mi è apparso in sogno e mi ha rivelato che erano tutte stronzate. Ok, non era un sogno: mi ha parlato da un ro­veto ardente. Ok, non era un rove­to ardente: era il boschetto di una ragazza che stavo leccando. Comunque resto convinto che il cri­stianesimo sarebbe stato diverso, se Gesù avesse avuto una decap­pottabile.


il manifesto e l’Unità (18 dicembre 2007)

martedì 18 dicembre 2007

Irragionevoli ragioni


Ieri sera, nella trasmissione “Che tempo che fa”, c’era come ospite il Presidente del consiglio Romano Prodi, il quale alla domanda di Fabio Fazio sul Dalai Lama e sul mancato incontro, ha risposto con una certa veemenza e malcelata irritazione che, in primo luogo lui si trovava all’estero e, secondariamente, che nessuno lo aveva invitato, richiamandosi infine alla ragione di Stato. Una ragione che a me pare irragionevole e che andrebbe tradotta con un linguaggio più esplicito. “Se riconosciamo il Dalai Lama quale rappresentante del Tibet occupato dalla Cina, questa poi si arrabbia e di brutto, ci chiude le frontiere, impedendoci di sfruttare la manodopera cinese e negandoci tutte quelle opportunità che quell’immenso Paeseoffre. Insomma, questioni di business”.


Ora, accettare questa impostazione come quella corretta, significa piegare la testa e tutto il resto alla tirannia degli affari e dei soldi. Significa barattare la violazione dei diritti civili e delle migliaia di condanna a morte, eseguite ogni anno in quel Paese, con un più rassicurante atteggiamento che chiude entrambi gli occhi di fronte all’oppressione esercitata sulla popolazione tibetana, nonché al disprezzo per la vita umana che l’esercizio della pena di morte legalizzata autorizza a fare.


In sostanza, l’ipocrisia va sempre di moda e le ragioni del portafoglio continuano a prevalere senza che nessuno trovi ciò aberrante. Un motivo in più per non partecipare, con le rappresentative ufficiali, ai Giochi Olimpici di Pechino. Il boicottaggio: la vera e sacrosanta opportunità.


Pubblico qui un articolo apparso il 16 ottobre scorso su AsiaNews.it. Per non dimenticare l’effimera ondata emotiva che ci ha schiaffeggiato pochi mesi fa ed è poi scivolata via senza alcun rimpianto.


16/10/2007 10:48

MYANMAR

Boicottare le Olimpiadi di Pechino per liberare il Myanmar


di Piero Gheddo


Anche se ha scarse possibilità di successo, la proposta appare come l’unica strada per far muovere la Cina, la sola che può veramente costringere la giunta militar-socialista ad ascoltare il popolo. L’alternativa è il silenzio che entro breve tempo tornerà ad avvolgere il dramma dei birmani.

Roma (AsiaNews) - Alcuni amici dalla Birmania mi scrivono: “Aiutateci! Per noi è problema di vita o di morte!”. Da Yangon uno molto ben informato scrive: “Le sanzioni economiche alla Birmania contano nulla, poiché il regime può schiacciare il popolo come vuole e quanto vuole. Ha azzerato l’unica forza di opposizione, i monaci buddisti, e può importare ed esportare tutto quanto gli occorre della Cina: i capitali gli vengono soprattutto dal commercio di oppio e dalla vendita di gas e di petrolio. Se non succede qualcosa in campo internazionale che possa liberarci da questa schiavitù interminabile, fra alcuni mesi tutto ritornerà come prima! A noi, schiavi del nostro tempo, pare che l’unica cosa da fare sia di boicottare le Olimpiadi cinesi. Crediamo sia la sola minaccia che può portare la Cina e poi il regime birmano ad ascoltare il popolo e concedergli la libertà di cui ha diritto”.


 Ancora oggi, dal Myanmar riferiscono della massiccia presenza di militari intorno alle due pagode più famose di Yangon, la Shwedagon e la Sule. Forte è anche la presenza dei soldati intorno alla pagoda Kyaikkasan a Thingangyun, nella quale numerosi monaci sono stati rastrellati e si dice che alcuni siano stati uccisi: 15 camionette sono vicine alla pagoda e l’hanno chiusa, lasciando aperto un solo ingresso.


Già si è parlato di boicottare le Olimpiadi dell’estate 2008 in Cina, ma finora la proposta non decolla. Anzi, due mesi dopo l’inizio della rivolta contro la dittatura militar-socialista della Birmania, la situazione è nettamente peggiorata e non si vedono segni di miglioramento. L’ONU è bloccata da Cina e Russia e sta tramontando l’interesse dell’Occidente per i monaci buddhisti e il popolo birmano, mentre la pesante repressione dei militari è giunta fin dove non erano arrivati né gli spietati imperatori di un tempo (nel 1878 il ventenne Thibaw fece strangolare 86 parenti: arrestato a Mandalay dagli inglesi nel 1886 e mandato in esilio in India) né i colonizzatori inglesi e nemmeno i giapponesi che avevano invaso la Birmania negli anni 1942-1945. Per millenaria tradizione, i luoghi sacri del buddismo erano sempre rispettati. Oggi si hanno notizie di assalti ai conventi e alle pagode, antichi Budda decapitati per ricuperare le pietre preziose incastonate, monaci uccisi, migliaia di loro arrestati: li vedremo nelle regioni remote (non le poche frequentate dai turisti) al lavoro lungo le strade, legati in coppia con una catena (come ho visto personalmente pochi anni fa). Questa la sorte dei monaci buddisti. Facile immaginare la fine delle decine di migliaia di laici che sono scesi in piazza a protestare, in maggioranza giovani!


Anche a noi di AsiaNews il boicottaggio delle Olimpiadi sarebbe l’unica proposta che potrebbe portare a qualche risultato concreto per la liberazione del popolo birmano. Non importa molto che poi possa avere più o meno successo. Da anni la Cina ha investito miliardi e miliardi di dollari nel preparare le Olimpiadi e ci gioca la sua “faccia” a livello mondiale. Vuole apparire un paese moderno, ricco, evoluto, organizzato, affidabile. La minaccia condivisa da molti popoli di un boicottaggio di quell’evento storico per i dirigenti cinesi è peggio di qualsiasi altro insuccesso o bancarotta. Fra due-tre mesi il popolo birmano sarà di nuovo stabilmente sotto il tallone di ferro delle armi birmane e cinesi, chissà per quanti decenni ancora. E noi saremo qui a consolarci facendo marce e fiaccolate e tentando il “dialogo” con  i satrapi birmani e i loro protettori cinesi. Ma è possibile che la Cina continui ad opprimere (o aiuti chi opprime) i diritti umani in Tibet, in Birmania, in Darfur e altrove e sia considerata intoccabile per motivi economici? Sono autentici i nostri pacifismi e le nostre proteste per le violazioni dei diritti dell’uomo?

giovedì 13 dicembre 2007

Fiori strappati

  


La violenza sulle donne


Antonello Piroso


Copertina Tg La7 del 26 novembre 2007


La storia di Hina, uccisa a coltellate dal padre a Brescia, resta impressa nella memoria.

Per la brutalità del fatto in sè e l'irrazionalità del movente: il desiderio di vivere come una qualsiasi donna italiana.


Una vicenda che è solo un tassello di quello stomachevole puzzle chiamato "violenza sulle donne", giocato sulla loro pelle, giorno dopo giorno.


Nel nostro paese più di sei milioni e mezzo di donne hanno subito, almeno una volta nella vita, una forma di violenza fisica o sessuale.


Il pericolo non è la strada, la notte, l'isolamento, l'estraneo o l'extracomunitario.

Il nemico è invece tra noi, nella quotidianità della vita domestica.Nel 62% dei casi i "femminicidi" avvengono infatti tra le mura di casa. Donne percosse, seviziate, abusate, spesso violentate dal marito, dal partner, dal padre o comunque da un componente della famiglia.


All'interno della coppia, nei nuclei a basso reddito e anche in quelli altoborghesi, di cultura elementare o più elevata.


La violenza è la prima causa di morte o di invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni.


E nel paradosso di una violenza spesso dimenticata, molte altre donne continuano a scegliere il silenzio per la paura di denunciare chi magari ancora si crede di amare o si è amato, per il timore spesso di non essere credute, per la mancanza di autostima e autonomia e perché, a tutt'oggi, nell'Italia del terzo millennio, non c'è una legge che le tuteli.


 


La violenza sulle donne è resa molto esplicita anche dai numeri che, assieme alle testimonianze, offrono un quadro d’insieme raggelante, sempre tenendo conto che il nostro vorrebbe definirsi un Paese normale e civile.


Sono state 6.743.000 le donne dai 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita. 5 milioni hanno subito violenza sessuale. 3.961.000 violenze fisiche. 1 milione circa ha subito stupri o tentati stupri. Negli ultimi 12 mesi sono state 1.150.000 le donne che sono state vittime di violenza. 74.0000 hanno subito stupri o tentati stupri. Nel corso della vita hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner il 14,3%, da uomo non partner il 24,7%; violenza fisica da partner il 12%, da uomo non partner il 9,8%; violenza sessuale da partner il 6,1%, da uomo non partner il 20,4%; stupro o tentato stupro da partner il 2,4% da uomo non partner il 2,9%; stupro da partner l’1,6%, da uomo non partner lo 0,8%; tentato stupro da partner l’1,3%, da uomo non partner il 2,3%.


Le violenze subite dal partner e non denunciate sono il 96%, gli stupri non denunciati il 91,6%, , il 33,9% sono le donne che non parlano a nessuno delle violenze  subite. (Fonte: ISTAT).


 


Ed è ancora l’Istituto Italiano di Statistica a offrire nuovi dati che ribaltano un diffuso stereotipo, vale a dire l’immigrato che violenta l’italiana.


Stupri/ Istat, nel 69% dei casi sono commessi dai partner, 3-10% dagli immigrati


In Italia impera lo stereotipo dell'immigrato che violenta la donna italiana, ma non è questa la più grande violenza contro le donne italiane: secondo l'Istat il 69% degli stupri è opera dei partner, mariti o fidanzati e solo il 6% degli estranei. "Se anche considerassimo che di questi estranei il 50% sono immigrati - ha spiegato Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat per le indagini su condizione e qualità della vita, nell'ambito del Global forum sulle statistiche di genere in corso presso la sede dell'Istat - ciò vorrebbe dire che si arriverebbe al 3% degli stupri, e se anche ci aggiungessimo il 50% dei conoscenti al massimo si arriverebbe al 10% del totale degli stupri opera di stranieri. E invece l'immagine che viene fuori è qualla di stupri in strada ad opera di immigrati".


Secondo Sabbadini il "non fare i conti con le statistiche esistenti nel Paese può portare ad orientare in modo errato le priorità e il tipo di politiche"; spesso i reati di cui sono autori gli immigrati sono rivolti contro propri connazionali ma - nota Sabbadini - "di questo si parla ancora poco". La realtà è invece che gran parte delle violenze più gravi subita dalle donne è domestica e quindi nella maggior parte dei casi è opera dei partner italiani". Per avere un quadro obiettivo della realtà bisognerebbe condurre indagini con metodologie adeguate e per questo servono secondo la direttrice centrale dell'Istat misurazioni in un ottica di genere. (10 dicembre 2007)


 


Questo, infine, un frammento - fra i tanti - delle storie di donne che hanno cercato aiuto presso il Telefono Rosa.


Ottobre 2007, un martedì.


«Quando ho conosciuto il mio partner me ne sono perdutamen­te innamorata, pensavo che la no­stra storia d'amore sarebbe durata per sempre. Poi dopo sei mesi di convivenza, qualcosa ha comin­ciato a turbare i nostri momenti fe­lici: una lite violenta, un insulto, un'offesa, le continue critiche da­vanti agli amici, uno schiaffo, un li­vido. Ci sono momenti in cui mi sento confusa, insicura, di essere io quella "sbagliata", provo vergogna, non so con chi parlare dei miei problemi, anzi a volte penso che esagero e che in fondo va tutto abbastanza bene, che lui è così ira­scibile e intrattabile solo perché è molto stanco per il lavoro e per le sue ambizioni artistiche frustrate. Capisco di avere bisogno d'aiuto, ma mi è difficile e doloroso parlare del mio problema anche perché avverto il timore di non essere ca­pita. Anche domenica mattina il mio ex mi ha inseguita. Insistente­mente e ossessivamente me lo tro­vo ormai dappertutto, mi segue, mi pedina, mi assilla, una vera per­secuzione. Sono spaventata e ho paura. Ma cosa può volere quest'uomo con il quale ho passato 2 anni della mia vita, annullandomi come donna e come persona. Vive­vo nella speranza che un giorno lui si sarebbe reso conto di quanto ero innamorata.


Invece, un momento mi diceva di amarmi, un momento mi diceva che per lui non ero nulla, un gior­no ero in paradiso e il giorno dopo finivo all'inferno...e sempre così con lui. Poi un pomeriggio, vigilia di Pasqua, presi il telefono, lo chia­mai e gli dissi di non cercarmi più. Da qui inspiegabilmente inizia il mio calvario. I Carabinieri afferma­no che per intervenire serve un suo passo falso e, nel frattempo, de­vo cercare di non farmi trovare da sola. Ma come cavolo faccio, visto che non posso permettermi di assoldare un gorilla come guarda­spalle. Io sto morendo per la paura e devo stare nell'attesa di ciò che potrà accadermi? Questa è la triste e cruda realtà».


 

lunedì 10 dicembre 2007

Lacrime e sangue


Pietro Ingrao. Il grande vecchio comunista, autenticamente doc. Ho colto in un tg le frasi pronunciate dal palco oggi ed era un parlare che assumeva valore e significato.  Mi sono accorto, così, che stavo lì ad ascoltare con attenzione. Il vecchio comunista misurava ogni frase ed io calibravo la mia concentrazione su quelle frasi, perché non erano il frivolo eloquio, da macchietta televisiva, che i leader (abusivi) dispensano quotidianamente in ogni telegiornale che passa in tv, ma rappresentavano sostanza e forse anche la speranza (vorrei conservare la speranza) che possa rinascere una vera sinistra senza tanti orpelli e con il colore rosso vivo, sotto la falce e il martello, strumenti che trascendono il mero simbolismo. Almeno che possa sognare ancora un po’.


La sua conversazione-intervista su “il manifesto” dell’8 dicembre testimonia lo spessore dell’uomo e del politico. C’è tutto, proprio tutto quello che avrei voluto ascoltare sulla strage in fabbrica, che nessuna delle tante edizioni dei tg nostrani ha riportato.


 


«Il silenzio del potere»


Pietro Ingrao si interroga sul rapporto tra il lavoro, la vita, la morte. Sulla strage di Torino pesa la mancata risposta


Loris Campetti


Pietro Ingrao è un compagno della vecchia scuola, uno abituato a ragionare sui fatti, a scavare dentro le notizie, non si lascia andare con facilità. Se ti dice «sono proprio incazzato», se usa un termine per lui inusuale, più normale nel linguaggio di un ragazzo che di un comunista serio e attento a ogni messaggio, sempre attraversato dal dubbio, vuol dire che è proprio incazzato. Ma si ricompone subito: «Sono turbato per queste morti, è un sentimento elementare il mio. Siamo ancora qui, a parlare del problema di sempre, di questi eventi tragici che si ripetono». Quale sia «il problema», l'indomani della strage di Torino, è ovvio. E Ingrao spiega così il suo turbamento: «E' l'intreccio tra il lavoro e la morte, e le forme della morte, la sua atrocità». Vuole sapere tutto Pietro, ogni particolare sulla dinamica che ha trasformato dieci lavoratori in torce umane: le macchine surriscaldate, tirate fino a scoppiare; gli uomini superspremuti, sfruttati fino a morire bruciati. La scintilla, l'olio che brucia e il tubo spezzato che spara fuoco addosso ai lavoratori, alle macchine, all'intero reparto. Uccisi - già due mentre discutiamo con Pietro Ingrao, che salgono a tre subito dopo - da un tubo trasformato in un lanciafiamme. Come in guerra, una guerra antica come il lavoro e insieme modernissima. «Qui e ora, nell'Occidente sviluppato, non nello Shanxi» dove i minatori scavano e muoiono come topi per un'esplosione di grisù, «non in un angolo dell'Africa. A Torino, città d'avanguardia, la capitale dell'industria».


Andiamo per ordine. Pietro vuole parlare del «prezzo del lavoro». Trova «offensivo», prima ancora che intollerabile, che la direzione della ThyssenKrupp abbia chiesto ai suoi operai di riprendere il lavoro nei reparti attigui a quello bruciato, solo 24 ore dopo il disastro. Ma c'è una cosa, in particolare, che fa soffrire un uomo che oltre a essere stato un dirigente politico comunista, ha ricoperto una delle più alte cariche dello Stato, come presidente della Camera: «Non c'è stato uno scatto nel paese, nelle istituzioni non ho sentito un allarme per questi eventi che si ripetono. Sento rabbia per questo mancato allarme da parte di chi comanda, di chi tiene il potere. Ma cosa deve ancora succedere perché su questo tema antico del rapporto uomo-fatica, un potere costituito si turbi, si preoccupi, si domandi "che dobbiamo fare"»? Insiste, Pietro, sulla dinamica dei fatti, e si chiede come sia possibile che un giovane di 36 anni possa lavorare 12 ore consecutive «in quell'inferno», in una fabbrica che sta per chiudere ma i cui padroni pretendono di togliere anche l'ultima goccia di sangue ai loro dipendenti prima di trasferire in Germania la produzione. Ma è ancora la risposta «ordinaria» delle istituzioni, del potere, a farlo soffrire: «Non mi sarei sorpreso, né scandalizzato, se le due assemblee politiche di questo paese, Camera e Senato, avessero di colpo troncato il loro lavoro per aprire il dibattito sull'evento torinese, non foss'altro per parlare da lontano a coloro che stavano morendo o rischiavano ancora la morte». Sembra passato un secolo da quando il «compagno presidente» della Camera andava a discutere con il consiglio di fabbrica della Montedison di Castellanza, un luogo dove si alimentò un approccio nuovo e straordinario, figlio del lavoro di Maccacaro, al rapporto tra uomo, lavoro e salute. Quella visita rappresentò forse il punto più alto del rapporto tra movimento operaio e istituzioni in Italia. «E' vero, mi ricordo, lo puoi scrivere», e si schernisce quando gli chiedo perché non l'abbia ricordato nel suo libro di memorie.


Il potere, e i poteri, non rispondono con forme e contenuti all'altezza della gravità del problema. I grandi giornali ieri aprivano con la «sicurezza», ma quella del governo che guarda ai rumeni come un pericolo e non guarda ai lavoratori come vittime. E il giornale della Confindustria che dedica all'esplosione della ThyssenKrupp un semplice richiamo di prima. Ingrao si chiede da cosa sgorghi «questo rumoroso silenzio», e perché «il cupo evento» non venga raccolto «dalla massa vivente del paese, in primis dalla sua rappresentanza politico-sociale». Un «evento materialmente rovinoso che sta lì a ricordarci amaramente cos'è ancora, all'inizio del terzo millennio, l'atto lavorativo - la condizione del soggetto lavorativo. E' un triste segnale di come ancora oggi sia terribile, incerta, precaria, questa esperienza umana elementare che è il lavorare. Da millenni l'essere umano è stato fuso con l'atto lavorativo, da secoli dura questo problema. Che la tragedia delle morti e degli infortuni sul lavoro riesploda irrisolta nell'anno 2007 spaventa uno come me, in età così avanzata - ho scavalcato i novant'anni. Ero poco più che adolescente quando ho cominciato a capire la centralità di questo problema». Il dubbio, l'interrogarsi inquieto di Ingrao che neanche la rabbia per i morti di Torino riesce a interrompere: «Dai primordi, dal formarsi dell'aggregazione familiare, la vita umana si intreccia con il problema del lavoro, del modo in cui un essere umano vi si raffronta. E' un nodo ineludibile, spesso in età ancora acerba. E insieme c'è un tema che si è sviluppato nei secoli e ancora brucia: come tutelare chi lavora, come lavorare, come produrre senza ferire e uccidere?».


Pietro Ingrao teme che «tra pochi giorni l'evento cupo di Torino si dissolverà, impallidirà, senza diventare un fatto emblematico e rivelatore». Le lacrime - quelle del potere, non quelle dei compagni e dei familiari dei caduti nella guerra del lavoro - durano un giorno. Da domani si tornerà a parlare di flessibilità, del dio mercato. «Insieme alle lacrime sento il bisogno di porre e pormi una domanda: cosa è stato? cosa è accaduto? E soprattutto, di fonte al ripetersi implacabile di questa storia tragica, come risponde questo paese?».


Questo nostro dialogo con Pietro, per sua volontà, non ha la forma classica (e forse un po' fredda) dell'intervista. Vuole che sia un confronto, Ingrao, vuole sentirsi libero di essere lui stesso a porre domande. Perché le risposte vanno cercate insieme. Nella politica, nella cultura, nella società.


il manifesto (8 dicembre 2007)

sabato 8 dicembre 2007

Il massacro degli operai


7/12/2007 (18:10) - INCIDENTE ALLA THYSSEN KRUPP


Incendio in acciaieria, è strage: sale a quattro il numero dei morti


Roberto Scola, Angelo Laurino e Bruno Santino non ce l'hanno fatta.

Rabbia dei sindacati: fermare la strage


TORINO - Ormai è strage. Nell'inferno alle acciaierie della ThyssenKrupp di Torino sono morti altri tre operai: Roberto Scola, Angelo Laurino e Bruno Santino. Restano gravissimi ancora altri tre lavoratori colpiti dalle fiamme.(…) www.lastampa.it (7 dicembre 2007)


 


982: i morti dall’inizio dell’anno, 24.552: gli invalidi, 982.102: gli infortuni. Sono i raccapriccianti numeri relativi agli incidenti sul lavoro in Italia, cifre che pongono il mondo imprenditoriale e politico sotto la stessa soma di responsabilità, gravissime, che vanno dall’elusione delle norme di protezione e sicurezza, alle spese irrisorie per mettere a norma apparecchi e impianti. Per l’ottica padronale non generano reddito e, conseguentemente, diventano improduttive, dunque da minimizzare. Loro gli stragisti con i colletti bianchi lordi di sangue.


 


Dodici ore nel pericolo


Luciano Galllino


la Repubblica (7 dicembre 2007)


Lavorare a produrre acciaio è sempre stato un mestiere molto pericoloso, non foss’altro perché i materiali e i macchinari che si utilizzano per trasformare il metallo sovrastano ogni dimensione umana.


Se ci sono di mezzo processi di fusione o di forgiatura a caldo, l’operaio si trova a poca distanza da decine di tonnellate di metallo incandescente.


Rispetto a venti o trent’anni fa, la tecnologia ha inserito qualche protezione e qualche metro in più tra lui e la massa rovente, ma il pericolo che questa rappresenta è sempre in agguato. Sui treni di laminazione a freddo le lamiere scorrono a una velocità di parecchi metri al secondo, ciò che le rende capaci di distruggere qualsiasi oggetto o arto umano, che capiti sul loro cammino.


Nell’interazione con tali smisurati mostri meccanici, ogni minimo guasto può costare una mutilazione o la vita.


In quello stesso ambiente, anche un minimo cedimento di attenzione può portare al disastro. Perché oltre ad essere molto pericoloso, lavorare l’acciaio comporta una immensa fatica. Vi contribuiscono tutti insieme l’impegno fisico, il rumore, le masse in movimento di materiali e le macchine che le muovono, il senso di rischio che incombe in ogni minuto della giornata


Non sembra che i tecnici e i dirigenti della Thyssen Krupp di Torino avessero particolarmente presenti tali elementari considerazioni. Infatti, se soltanto la metà di quello che si è visto in tivù e che hanno raccontato gli operai e altri accorsi sul luogo dell’incidente risultasse vero, combinato con la tipologia stessa dell’incidente, la sottovalutazione dei rischi da parte di coloro che dovevano semmai sopravvalutarli configura una grande responsabilità morale, che va molto al di là della eventuale responsabilità giuridica che la magistratura dovrà accertare. Non si dovevano lasciar invecchiare gli impianti oltre un certo limite, anche se i dati tecnici e le statistiche dei guasti dicevano che, dopotutto la probabilità di un incidente grave era bassa. Non si dovevano lasciare deperire le misure di sicurezza e di intervento rivelatesi terribilmente lente e inefficaci, anche se qualche perizia dimostrerà che quel cartellino di questo o di quell’estintore sta a comprovare che quest’ultimo era stato debitamente controllato. E meno che mai si doveva chiedere, o permettere, che operai già sottoposti alla fatica massacrante delle normali otto ore ne facessero fino ad altre quattro di straordinario.


Quello che si intravede nello sfondo di questo incidente è una cultura di impresa che nella sua lista di priorità colloca la produzione, il fatturato, i bilanci la competitività molto in alto, mentre ripone molto in basso il destino delle persone le quali alla produzione, al fatturato e al bilancio aziendale materialmente provvedono


Lo sappiamo. Ce lo hanno spiegato cento volte. Se non si fa il fatturato, si perdono i posti di lavoro. Bisogna far fronte alla concorrenza nazionale, europea, mondiale, altrimenti si è costretti a chiudere. Sicuramente c’è del vero in tali luoghi comuni. Ma a questo punto sarà pur lecito chiedersi che cosa ci stanno a fare i manager pagati milioni di euro l’anno, le legioni di laureati in economia aziendale che sanno tutto su come si genera un corposo flusso di cassa, le falangi di tecnici che inventano prodotti e apparati produttivi aggiornati quasi di giorno in giorno, gli autori di infiniti saggi scientifici che spiegano come ottimizzare la redditività del capitale, i soliti inviti ad affrontare la sfida della competitività


Che cosa ci stanno a fare tutti costoro, voglio dire, se alla fin dei conti non riescono a elaborare e a mettere in pratica una cultura di impresa che sappia combinare buoni fatturati e solidi bilanci con una organizzazione del lavoro e della produzione che non rechi con sé ogni giorno, quale fosse un fenomeno di natura, una scia smisurata di lutti e sofferenze.


 


Il sacrario virtuale dei caduti sul lavoro


I caduti sul lavoro sono quasi mille. A darne notizia è il sito web www.cadutisullavoro.it, creato da Raffaele Russo e Nicola Savoia, sul quale campeggia la scritta: «Il sacrario virtuale dei caduti sul lavoro».


Dal 1 gennaio a oggi i morti sul lavoro sono 980, 24mila 512 lavoratori rimasti invalidi e 980mila 504 infortuni. Le cause - ovviamente - sono la mancata applicazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e d'investimenti mirati a ridurre infortuni e incidenti.


Si può leggere nel sito web, creato da Raffaele Russo e Nicola Savoia: «1328 morti ogni anno è la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005: poco meno di 4,5 morti al giorno. Nel 2006, 1280 "morti bianche". Il 2007 non mostra segni d'inversione di tendenza. Questo succede in Italia, uno dei Paesi più ricchi al mondo. A considerare solo la faccia emersa della tragedia, i dati ufficiali».


Sono cifre da guerra. «Quattro anni di occupazione militare dell'Iraq sono costati molte meno vittime dell'esercito Usa». E - infatti - la grafica del sito ricalca l'immagine creata dal New York Times sulle morti dei soldati Usa in Iraq. Questa volta è un teschio sul quale si possono vedere nomi, cognomi e fotografie delle ultime vittime sul lavoro. «Questa non è una guerra per il petrolio», osserva il curatore del sito, «è una guerra combattuta ogni giorno da gente costretta a lavorare per pochi soldi, senza difese, senza tutele». http://www.unita.it   (7 dicembre 2007)



Post dedicato alla memoria di ANTONIO SCHIAVONE, ROBERTO SCOLA, ANGELO LAURINO e BRUNO SANTINO

venerdì 7 dicembre 2007

Familiarmente italiani


Paginate di cronaca interna degli ultimi giorni. A caso.


Aggrediti perché difendono un clochard


Quattro ragazzi l’altra sera a Bologna hanno aggredito tre giovani che li avevano redarguiti perché stavano insultando un barbone. Sono stati denunciati. È successo in Strada Maggiore. Tre bolognesi tra i 17 e i 18 anni hanno visto i quattro (uno di 17 anni bolognese, un romano residente a Forli di 19, un l8enne della provincia di Ancona e un 28enne di Cesena) insultare l’uomo che stava rovistando in un bidone. I tre sono intervenuti, e uno di essi è stato colpito con una sberla dall’ anconetano. Il 113 ha rintracciato gli aggressori: il bolognese e il cesenate avevano anche due coltelli.


Ragazza pestata davanti alla ‘disco’


Una trentenne riminese è stata colpita al volto con un pugno che le ha fratturato il naso. L’altra sera la vittima usciva dalla discoteca Ecu di Rimini insieme al fidanzato. Proprio davanti all’ingresso del locale due giovani stavano orinando. La donna e il fidanzato hanno protestato: sono volate parole grosse, poi un cazzotto in pieno viso alla trentenne, talmente violento da fratturarle il naso. Il gestore del locale l’ha soccorsa ed ha chiamato il 113. In breve, grazie alla descrizione fatta dagli aggrediti, i poliziotti hanno rintracciato gli energumeni, due cattolichini di 26 e 27 anni, denunciati per lesioni.


A unire questi due episodi la nazionalità dei responsabili: tutti italiani.


Proseguiamo. Monza, tragedia familiare. “Ho sparato a mio figlio. Era violento, faceva paura”. Coppia regolarmente sposata. Sempre Italia, addirittura il cuore del profondo Nord: la Brianza.


Arrestato un uomo di 55 anni nel veneziano. Decapita l’anziano padre. “Una lite, poi il raptus”. Il parricida, in cura per disturbi mentali, ha utilizzato una scure. La tragedia in un condominio di Spinea (Ve). Sempre Italia e italiani, cuore del Nord Est stavolta.


Si continua in crescendo. “Strangola la moglie. Si stavano separando”. Bologna (a Dozza, per la precisione), è stato l’uomo a chiamare il 118. “Sta male”, ma lo arrestano per omicidio. Da pochi giorni la moglie si era rivolta ad un avvocato. In casa c’erano anche i due figli. Coppia italiana, regolarmente sposata.


Più pruriginoso l’altro episodio. “Macabro triangolo, spara all’amico-rivale e poi si uccide”. L’omicidio simulato come incidente di caccia, la telefonata alla moglie di lui: «Ti ho resa felice». In seguito il rimorso e il suicidio. La donna si era accordata con l’amico innamorato di lei. Poi crolla: arrestata per concorso in omicidio. Qui siamo ad Aulla, in Lunigiana. Coppia di italiani regolarmente sposati.


Udine, uccide moglie e figlio di quattro anni poi si suicida. I Carabinieri del comando di Udine stanno indagando e al momento non si conoscono le ragioni che hanno portato al duplice omicidio-suicidio. Italiani, regolarmente sposati.


A unire queste vicende di sangue non è soltanto la nazionalità comune, italiani cioè, ma anche il fatto di essersi svolti all’interno della famiglia.


Mi sono chiesto più volte per quale motivo l’informazione vomitata dalla televisione non aggiunga mai questi particolari,  vale a dire la precisazione sulla nazionalità, valida, anzi d’ obbligo in caso di stranieri, anzi di extracomunitari, anzi di extracomunitari di serie B, perché anche Amanda Knox, in carcere per l’omicidio dell’amica Meredith, è extracomunitaria però di lusso, essendo statunitense.


E poi la sottolineatura che queste tragedie avvengono laddove si dovrebbe essere più sicuri, cioè in famiglia e, dunque, quando si straparla del problema reale della “sicurezza” non sarebbe affatto fuori luogo includervi pure la famiglia, tanto celebrata per deteriori speculazioni elettorali che giungono al parossismo di quattro separati, o divorziati, che prendono parte al Family Day e non perdono mai occasione di ficcare il becco laddove si minaccia, secondo loro, questa istituzione. Mai nessuno di questi “senza vergogna” che si senta chiamato in causa e così l’ etnia e gli pseudo valori diventano oggetto di mercanteggiamento ai danni di coloro che sono vittime. Il mito degli italiani brava gente è tramontato da un pezzo, mentre i portatori di verità assolute proliferano rinchiusi più che mai nella cittadella della presunzione, alieni da una società che, purtroppo, è ormai implosa travolgendo le loro certezze ostinatamente proclamate davanti ai tanti reggitori di microfono. Che tacciono e acconsentono.


 


 

sabato 1 dicembre 2007

Il delitto nell’era della globalizzazione


Un italiano, un’americana, un’inglese, uno zairese, un ivoriano: cinque personaggi e un omicidio in cerca di autore. E’ una brutta storia. Da qualunque parte la si analizzi, la morte di Meredit Kercher, ammazzata a Perugia nella notte tra l’1 e il 2 novembre, lascia sconcertati, amareggiati, addolorati. E schifati.


Ho trovato molto interessanti questi due contributi che posto, scritti in tempi diversi e che contengono vari spunti di riflessione. Attenzione alle date, perché nel frattempo qualche situazione è cambiata. Purtroppo l’unica certezza che rimane è la morte di Meredith. Che almeno adesso la ragazza dal dolce sorriso possa riposare in pace.


 


Perugia, quei bravi ragazzi


Lidia Ravera


 


Belli, giovani e benestanti. Di scolarizzazione medio alta. Nel decòr di una delle più preziose città d’arte d’Europa (cioè del mondo, visto che le città d’arte stanno quasi tutte in Europa), Perugia. Benedetti da un vita allegra e gratificante: musica, amici, libertà, studio, soldi, nessuna responsabilità, le famiglie (lontane) che, senza pesare con la loro presenza, rendono possibile la bella vita. Si può tirar tardi, si può fare sesso, si può tirare il sesso oltre i limiti del, già probabilmente consumato fino alla noia, rapporto tra «fidanzatini». Le orgette, gli scambi. Le ammucchiate. La studentessa della porta accanto non ci sta?


Meglio, capace che è anche più divertente. La metti sotto, le fai il mazzo, «niente sesso siamo inglesi» non era il titolo di una commedia? Un po’ di violenza è un eccitante mai provato. Meglio se fa la riottosa, c’è più gusto. Poi qualcosa va storto. E la studentessa della porta accanto muore.


Una specie di «caso Montesi» senza adulti di potere, orizzontale, fra principianti? È uno scenario possibile, per la morte di Meredith. Come è possibile anche l’altro, più classico, che piacerebbe ai leghisti: Patrik Lumumba, di anni 37 secondo alcune fonti, secondo altri 47, congolese e musicista, anche lui d’alto lignaggio (esistono, anche fra i neri), nonché gerente di un locale alla moda: con la sua brutta faccia schiacciata (giudico dalle fotografie) e i capelli annodati di ricci vuole fare sesso con la bella ragazza inglese. Lei non vuole. Lui, in un impeto di rabbia al testosterone, la prende a coltellate.


È una reazione, di questi tempi, sciagurata e conosciuta. Fidanzati che non vogliono essere mollati, ex mariti, innamorati respinti, stupratori a vari titolo convinti di essere ben accolti... non siamo ancora arrivati al getto di acido solforico in faccia come in Pakistan, in Nepal o in Bangladesh, ma certo l’epilogo di sangue è diventato sempre più frequente, anche nel nostro civilizzato paese. Il terzo scenario, quello che vede presunto assassino protagonista (pare che a colpire sia stata una mano maschile) un laureando in ingegneria decisamente bello, decisamente ricco (basta guardarlo) e fidanzato con una specie di Sharon Stone bambina, è una vera ghiottoneria mediatica, in quanto, per i più, sorprendente.


Possibile che, avendo tutto quel ben di Dio, si voglia altro? Possibile che si diventi anche cattivi? A guardare la fotografia dei due fidanzati, Amanda Knox (un nome da top model) e Raffaele Sollecito (un nome da romanzo sulla provincia meridionale), lei di profilo, lui di tre quarti, mentre la macchina della polizia li porta in Questura, quasi sprezzanti nel freddo sguardo assorto dei quattro occhi azzurri, c’è di che interrogarsi sulle nostre adulte fantasie di felicità, sulle nostre nostalgie.


Nessuna condizione, nessun privilegio ci mette al riparo dalla violenza, dalla sopraffazione. Non c’è spiegazione sociologica che valga per tutti. Non ci sono colpevoli collettivi, categorie di comodo che disinneschino la sensazione brutta di un degradarsi progressivo delle relazioni fra donne e uomini, fra ragazze e ragazzi. Non si può dire «i rumeni sono violenti» o «gli albanesi sono cattivi». Non si può dire: «togliamoci dai piedi i Rom». Cioè, si può, ma è inutile. Non ci libererà dal male.


Una seducente studentessa nata e cresciuta a Washington non è l’immagine che ci viene in mente quando sentiamo la parola «extracomunitario», è una straniera di qualità, di quelle coccolate dalla nostra esterofilia. Una turista dai paesi ricchi. Una che ci onora con la sua augusta presenza. Che sia, come già Erika de Nardo (la graziosa biondina sedicenne colpevole d’aver assassinato sua madre e suo fratello nel 2001), una piccola amorale che mente come respira, non ridurrà il suo appeal. Ha inanellato bugie per quattro giorni? Non importa, ci sarà sempre un sito che raccoglie per lei lettere di innamorati: perché è bella, perché è bionda, perché è giovane. Nella nostra società l’immagine è tutto. Ha preso il posto del sacro, della fatica, del sacrificio, del talento, della bontà. L’immagine, e il sangue. Quando i due ingredienti si mescolano l’attenzione si fa spasmodica. Corrono fiumi di parole, si ricostruisce, si analizza, si commenta, si chiosa. Anche se c’è ben poco da dire.


Nei primi sei mesi del 2007 le donne uccise in Italia sono state 57. Quasi dieci al mese. Nei primi sei mesi del 2007, 141 donne sono state vittime di tentato omicidio, 10.383 di lesioni, 1805 di stupro o abuso sessuale. Dovremmo parlare di questo, dovremmo cercare di capire quale disordine profondo, quale terremoto inconscio, produce questo fall out di dolore, questa aggressività fra consanguinei, fra amanti, fra coniugi, fra compagni. Dovremmo cercare di capire perché, a trent’anni dalle lotte femministe che ci hanno conquistato il diritto di esistere emotivamente, di desiderare invece che essere soltanto oggetto di desiderio, ancora oggi, una ragazza, come ai tempi di Maria Goretti, successivamente ordinata santa, non può dire di no, non può opporre un rifiuto a chi vuole servirsi del suo corpo.


Che cosa ci sta succedendo?


l’Unità (9 novembre 2007)


 


... A reti unificate


Antonello Piroso 


Copertina  Tg La7 (22 novembre 2007)


(…) Discorso inverso per il delitto di Perugia. Lì abbiamo la realtà di un omicidio i cui contorni stanno sfumando in memoriali, in mezze ammissioni subito smentite, in diari sotto forma di blog, di foto e video che girano su internet, di suggestioni su sesso, droga e l' "uomo nero". Il tutto dimentico di qualche umana "pietas" nei confronti della vittima (reale), il suo corpo e il suo sangue si smaterializzano in un delirio di sondaggi, controinchieste e processi che rimandano a una "second life", un surrogato dell'esistenza catapultato in una realtà del tutto virtuale. Quindi, un reality show dell'irrealtà. O, se preferite, della realtà tutta da dimostrare.

Quando gli dei vogliono far del male agli uomini, esaudiscono i loro desideri. Volevamo il villaggio globale? Eccoci accontentati. (…)